Fra i tanti generi di film esistenti, quelli horror hanno un
posto speciale nel mio cuore, per vari motivi. Da piccoli era motivo di
orgoglio vedere un film di paura senza battere ciglio … e pazienza se poi il
coraggio vantato fosse una spudorata finzione! Ricordo che dopo aver visto con
i miei cugini Profondo Rosso avevo paura anche solo ad andare al bagno, ed
accendevo tutte le luci possibili nella casa. Chi è stato un ragazzino a
cavallo fra gli anni ’80 e ’90 forse ricorderà la trasmissione Notte Horror,
che andava in onda in seconda serata su Italia Uno, nelle calde serate estive.
Ogni settimana mi riunivo con alcuni amici del paese per godermi una serata di
terrore e paura: quando le scene diventavano più intense ci mettevamo le mani
davanti agli occhi oppure guardavamo le piastrelle sul pavimento, sfidando il
vicino ad alzare la testa per raccontarci cosa stava accadendo … e non vi dico
le urla e lo spavento quando il fratello più grande di un nostro amico, quello che
metteva a disposizione la casa, si appostò alle nostre spalle per farci uno
scherzo! Bei tempi, chiaramente, ma la passione per il genere horror, almeno
nel mio caso, ha superato l’infanzia e l’adolescenza, radicandosi saldamente
nel mio cuore: soltanto un film di paura è in grado di scatenare quelle
reazioni viscerali, quelle botte di adrenalina e di tensione impossibili da
trovare in ogni altro genere. Il genere horror ti permette inoltre di conoscere
meglio una persona! Sembra una banalità, ma è vero; ogni persona si spaventa
per un motivo diverso: c’è chi i film sugli zombie non gli fanno né caldo né
freddo, mentre invece è terrorizzata dai film sui rapimenti alieni, c’è chi
adora i film del tipo “slasher” mentre i classici vampiri e lupi mannari lo
fanno sbadigliare, e potrei continuare con centinaia di esempi, ma il discorso
non cambia. C’è un motivo se una persona teme una cosa piuttosto che un’altra,
un motivo che è profondamente (forse inconsciamente) radicato nella sua
personalità, e che i film horror riescono a portare alla luce.
Tutta questa introduzione (si lo so, l’ho presa un po’ alla
larga) per dire che con questo articolo inauguro una sezione un po’ speciale
del blog, che per amor di originalità chiameremo Horror Cult, in cui discuterò
dei più famosi film e delle più famose saghe horror. Saranno articoli a metà fra
una recensione e un racconto e gli spoiler non mancheranno, anche se si tratterà
quasi sempre di film abbastanza datati. Lo scopo di questi pezzi non è analizzare
il film nel dettaglio, bensì quello di gettare uno sguardo d’insieme
sull’opera, sottolineandone i punti chiave, lo sviluppo (nel caso di saghe
composte da più titoli) e, perché no, facendovi notare le assurdità che, vi
assicuro, volontarie o meno, in film del genere non mancano mai! E cominciamo
davvero alla grande con la lunga saga di Halloween! Il primo film, con la firma
di John Carpenter, è uscito nell’ormai lontano 1978, ed è il capostipite del
sottogenere slasher, quello in cui un pazzo maniaco, spesso dotato di poteri
sovrannaturali, fa strage di teenager utilizzando qualunque arma gli passi
sotto le mani. La saga di Halloween si è sviluppata (in maniera un po’
contorta, come poi vedremo) in 8 lunghi capitoli, fino ad “Halloween: la
Resurrezione” del 2002. Nel 2007 è uscito un remake ad opera di Rob Zombie,
nonché un seguito due anni dopo, sempre per mano dello stesso regista; tuttavia
non considero tali film come parti integranti della saga di Halloween, dato che
non sviluppano la storia originale ma si limitano a rinarrarla da capo,
esattamente come ci si aspetta da un remake (sia pure un maniera leggermente
diversa).
“Ogni saga ha un inizio”, diceva lo slogan dell’Episodio I
di Guerre Stellari, e la saga di Halloween non fa eccezione. Tutto comincia con
il film “Halloween” (1978); la storia è nota e arcinota, ma vale la pena di
fare un piccolo riassunto. Nella notte di Halloween del 1963, nella cittadina
di Haddonfield, in Illinois, Michael Myers, un bambino di appena sei anni,
uccide sua sorella Judith con un grosso coltello da cucina. Il piccolo Michael
finisce in un ospedale psichiatrico, sotto le cure del dottor Samuel Loomis. Il
buon dottore capisce presto di aver a che fare con un caso allo stesso tempo
eccezionale e disperato: Michael è senza rimorso, un buco nero della coscienza,
un lupo in un gregge di pecore. Passano gli anni, e Michael Myers resta
confinato nell’ospedale, senza dire una parola, in una sorta di catatonia.
Esattamente 15 anni dopo l’omicidio della sorella, alla vigilia di Halloween,
Michael si rianima e riesce a fuggire dall’istituto psichiatrico, destinazione
Haddonfield. Con indosso una maschera bianca (che ha le fattezze del capitano
Kirk di Star Trek, l’avevate notato?), e armato di un lungo coltello, inizia la
sua strage di teenager nella notte di Halloween. Il film segue le vicende della
liceale Laurie Strode, 17 anni appena, e delle sue amiche, destinate a cadere
una dopo l’altra sotto le pugnalate di Michael Myers insieme con i loro
fidanzati. Laurie è l’ultima della lista, ma la sua tenacia, nonché il
tempestivo arrivo del dottor Loomis la salvano da morte certa. Lo psichiatra
scarica un intero caricatore del suo revolver contro il petto di Michael Myers,
che precipita dal balcone della casa di Tommy Doyle, il bambino presso cui
Laurie faceva la babysitter. Sembra tutto finito, ma quando il buon dottore si
affaccia dalla finestra, osserva sgomento che del presunto cadavere non c’è
traccia. Giudicare un film come Halloween a 35 anni di distanza non è semplice,
e probabilmente neppure giusto. Basti sapere che non solo ha inaugurato un
ciclo fortunato di film horror, ma ha addirittura definito il sottogenere “slasher”,
e non è poco per un film che è costato due spiccioli ed ha incassato milioni di
dollari. Vale comunque la pena soffermarsi su alcune caratteristiche:
innanzitutto, per essere un film horror dove un maniaco uccide le sue vittime a
coltellate, si può dire che il sangue è praticamente assente. Non si sta
parlando della mancanza di scene splatter, che per l’epoca poteva anche essere
una cosa normale, qui si parla proprio del fatto che non si vede mai nessuna
vittima sanguinare, neppure un po’. Halloween è costruito soprattutto sulla
tensione, grazie alla sua strepitosa colonna sonora, composta da Carpenter in
persona. Un’altra cosa interessante da notare è come Halloween fornisca una “morale”
ai film horror, una guida etica a cosa è bene e cosa è male, seppur solamente
in un’ottica di pura sopravvivenza: le amiche di Laurie si distinguono per la
loro sessualità disinvolta, e vengono punite duramente da Michael Myers;
Laurie, al contrario, appare casta e pura agli occhi dello spettatore, e merita
pertanto di essere salvata. Il regista John Carpenter, interrogato al riguardo,
ha decisamente negato che la cosa fosse voluta, ma ormai i giochi erano fatti,
e ciò ha influenzato non solo gli altri film della serie, ma anche altri slash
movie, come ad esempio la saga di Venerdì 13.
Il secondo film della serie, “Halloween II” (1981), comincia
esattamente dove finisce il primo: Laurie Strode viene portata in ospedale per
le cure, mentre il dottor Sam Loomis, dopo aver constatato con orrore che il
corpo di Michael Myers non è li dove l’aveva lasciato, lo continua a cercare nella
convinzione che sia ancora vivo. Se guardando il primo film si poteva pensare
che Michael fosse ancora un essere umano, magari molto resistente, all’inizio del
secondo film queste convinzioni vengono rapidamente meno: Michael Myers è vivo
e vegeto, e continua ad aggirarsi nei sobborghi di Haddonfield mietendo nuove
vittime. Come guidato da una forza invisibile, Michael si dirige verso l’ospedale,
dove massacra allegramente infermieri e guardie giurate, fino a ritrovarsi
faccia a faccia con la povera Laurie Strode, che prova a scappare dal maniaco.
Il prode dottor Loomis riesce a salvarla anche questa volta, e sacrifica la sua
vita per cercare di uccidere Michael una volta per tutte: dopo aver aperto
alcune valvole dal gas, accende un cerino per innescare una clamorosa
conflagrazione che distrugge una parte dell’ospedale. Il film si chiude con l’immagine
della bianca maschera di Michael Myers che brucia, suggerendo che forse l’orrore
stavolta sia davvero finito. Questa era sicuramente l’intenzione di Carpenter, che
di questo secondo capitolo si era limitato a scrivere la storia, ma non dei
produttori; su questo punto,comunque, torneremo in seguito. Halloween II è
leggermente più splatter del primo capitolo, ma viaggia ancora su livelli
davvero bassi se pensiamo agli standard attuali. Di grande interesse per la
comprensione (e il futuro) della storia, è la rivelazione che Laurie Strode è in
realtà la sorella minore di Michael Myers; questo spiega perché tanto
accanimento nei confronti di una povera
babysitter. Laurie era piccolissima all’epoca dell’omicidio della sorella maggiore
Judith da parte di Michael, ed era stata adottata dagli Strode e messa sotto un
sicuro anonimato. Ma il sangue non è acqua, e il nostro Michelone sapeva per
istinto chi fosse la sorellina ancora in vita, e il suo unico scopo era
diventato quello di finire ciò che aveva iniziato in quella lontana notte di
Halloween del 1963.
Il terzo film della saga, “Halloween III: Season of the
Witch” (1982), fa parte della serie solo di nome, dato che non ha alcun
collegamento con gli eventi dei primi due. Come accennavo poco fa, per John Carpenter
la storia di Michael Myers si era chiusa con il secondo capitolo, non essendoci
più nulla da dire sul personaggio; la sua intenzione era di trasformare la
serie di Halloween in una serie antologica, presentando ogni anno un film
diverso con un soggetto diverso. L’idea ebbe scarso successo, così come il film;
e poiché questo non è minimamente legato alla storia di Michael Myers, possiamo
beatamente ignorarlo e passare direttamente al prossimo capitolo.
Come suggerisce il titolo, “Halloween 4: The Return of
Michael Myers” (1988), questo vede il ritorno del nostro caro Michelone. Il
film si apre con una ret-con degli
eventi finali del 2° film: la potente esplosione che ha distrutto una stanza
dell’ospedale di Haddonfield non è bastata ad uccidere né Michael, né il dottor
Loomis. Sono passati dieci anni, è il 1988, e Michael da allora è rimasto in un
ospedale psichiatrico, gravemente ustionato ma ancora vivo, seppur silenzioso e
immobile come al suo solito quando non va in giro ad ammazzare la gente; il
dottor Loomis ha una bella cicatrice sulla guancia e sulla mano destra, ma pure
lui gode di buona salute. Laurie Strode, la sorella minore di Michael, è morta
in un incidente stradale, ma ha fatto in tempo ad avere una figlia, una bambina
di nome Jamie Lloyd, prontamente adottata da una brava famiglia di Haddonfield.
La piccola Jamie soffre di incubi in cui vede l’uomo nero, ma intanto si
prepara a festeggiare la sera di Halloween andando in città a comprare un
vestito da clown, accompagnata dalla sorella (adottiva) Rachel. Durante un
trasferimento con l’ambulanza, Michael uccide gli inservienti, si libera e
fugge. Il dottor Loomis capisce subito cosa è successo e si reca immediatamente
nella cittadina di Haddonfield, prevedendo le intenzioni di Michael. Il buon
psichiatra si allea con lo sceriffo del posto, ma è troppo tardi, Michael Myers
ha già fatto una strage alla stazione di polizia, ed insegue Rachel e Jamie
nella scuola elementare. Un gruppo di cittadini armati aiuta le due ragazze a
scappare, le fa salire su un furgoncino e le porta via, ma inutilmente: Michael
si è già nascosto sull’auto, nonostante fosse fisicamente impossibile, e fa a
pezzi questi bravi samaritani. Solo l’arrivo provvidenziale dello sceriffo e
dei pochi agenti rimasti evita il peggiorare della situazione: Michael viene bersagliato
da decine di proiettili e cade in pozzo, scomparendo alla vista dei presenti.
La bambina e Rachel vengono riaccompagnate a casa, il film sembra finito ma
arriva il colpo di scena: la piccola Jamie indossa la sua maschera da clown e
pugnala a morte la madre adottiva con delle forbici. Il dottor Loomis vede gli
occhi privi di sentimento della bambina, le sue mani sporche di sangue ed
inizia a gridare: stavolta il film è davvero finito. Che dire? Il film si
sviluppa in maniera abbastanza classica, la parte iniziale è obbligata a rettificare
il finale della pellicola precedente, allo scopo di recuperare i personaggi di
Michael e del dottore; vedremo, andando avanti con l’analisi della saga, che
questo espediente verrà usato diverse volte. Michael Myers ha sempre avuto la
capacità di apparire sempre e ovunque gli facesse comodo, ma in questo film
supera se stesso nella scena dell’automobile: Rachel e Jamie fuggono dal
micidiale assassino che in quel momento si trova dentro la scuola, salgono sul
furgone, che è presidiato da uomini armati ed è sempre inquadrato nella scena,
quindi se lo ritrovano all’improvviso sull’auto insieme a loro! Il film si
trascina stancamente verso il finale, ma proprio il finale viene illuminato da
un lampo di genio, il colpo di scena finale in cui Jamie sembra aver assorbito
la malvagità dello zio pugnalando la madre adottiva. Quando il piccolo Michael
uccise la sorella maggiore Judith, indossava un costume e una maschera da clown
molto simili a quelli indossati da Jamie, ed è proprio questo parallelismo a
rendere ancora più inquietante l’evento.
Arriviamo così al 5° film della saga, “Halloween 5: The
Revenge of Michael Myers” (1989); l’introduzione rivede in parte lo shoccante
finale del 4° film: Jamie ha davvero accoltellato la madre adottiva, ma senza
ucciderla, e per questo ora è tenuta in osservazione in una casa di cura dal
dottor Loomis in persona. Più in generale, sembra che l’impulso omicida del
precedente film sia stato un caso isolato: Jamie è ancora una bambina dolce e
spaventata, ed a tenerle compagnia c’è sempre Rachel e la sua amica Tina. E’
passato un anno esatto dagli eventi precedenti, e la notte di Halloween
incombe. Avevamo lasciato Michael Myers dentro ad un pozzo naturale dopo essere
stato crivellato di proiettili, ma ovviamente non è morto, e forse non può
neppure morire! Michael si trascina al sicuro in una grotta, dove trascorre un
anno fra la vita e la morte, accudito da un eremita mezzo matto. Appena Michael
si risveglia, fa fuori senza tanti complimenti il suo benefattore e si mette
alla ricerca di Jamie. La bambina, nel frattempo, ha sviluppato un legame
empatico con il diabolico zio, e riesce a prevedere in parte le sue mosse.
Michael uccide rapidamente la sorella adottiva Rachel, quindi passa a trucidare
un po’ di ragazzi che stanno festeggiando Halloween in una fattoria, fra cui
anche Tina. Loomis e la polizia tendono una trappola a Michael nella sua
vecchia casa di quando era bambino, e dopo un combattimento furibondo riescono
persino a catturarlo. Un misterioso uomo vestito di nero, però, assalta la
stazione di polizia e fa saltare in aria le celle di detenzione; la piccola
Jamie, sconvolta, non può far altro che constatare la scomparsa di Michael,
appena prima della fine del film. Questo 5° capitolo della saga (l’unico a non
essere stato doppiato in italiano, vai a sapere perché) si muove nella scia dei
precedenti: ragazze sessualmente disinibite che si appartano con i loro
fidanzati pronte per essere trucidate dal crudele Michael, nonché le sue
mirabolanti apparizioni in luoghi anche molto distanti fra loro. Di
interessante c’è questo tipo vestito di nero, che non viene mai visto in
faccia, che segue Michael a distanza e arriva persino a liberarlo. Per il
momento non c’è nessuna spiegazione, ma vengono lasciate aperte diverse
possibilità interessanti per il seguito.
Seguito che puntualmente arriva nel 1995 con “Halloween: The
Curse of Michael Myers”. Sono passati 6 anni dagli eventi narrati nel
precedente film, e scopriamo che Jamie Lloyd è ancora viva, ha circa 15 anni ed
è incinta. La ragazza è stata rapita da un culto guidato dal misterioso uomo
vestito di nero, che sembra in grado di controllare Micheal Myers. La ragazza è
incinta proprio del malefico zio, anche se viene più lasciato intuire che non
propriamente detto; riesce a fuggire grazie ad un’infermiera, ma non sono
passati neppure pochi minuti che sulle sue tracce c’è già il terribile Michael.
Prima uccide l’infermiera, quindi si lancia all’inseguimento della nipote, la
raggiunge e la uccide. Jamie è però riuscita a nascondere il neonato, che viene
trovato da un certo Tommy Doyle. Come dite? Vi sembra un nome familiare? Avete
ragione: Tommy è il bambino presso cui Laurie Strode faceva la babysitter nel
primo film della serie. Tommy è cresciuto da allora, ma è rimasto ossessionato
da ciò che è successo quella notte. Michael si mette alla ricerca del neonato, recandosi nuovamente nella cittadina di Haddonfield. Nella sua vecchia casa
vive adesso un altro ramo della famiglia Strode, che ha rimesso a nuovo la
fatiscente abitazione. Inutile dire che Michael si limita a fare ciò che sa
fare meglio, uccidendo gli abitanti della sua vecchia casa. In una girandola di
morti e inseguimenti, viene rivelata l’identità dell’uomo vestito di nero: è il
dottor Wynn, un collega di Loomis. Wynn spiega al dottor Loomis come Michael
sia posseduto dalla maledizione celtica del Thorn, per cui un uomo deve
uccidere tutti i membri della sua famiglia allo scopo di portare equilibrio
nell’umanità. La spiegazione, ammettiamolo, è campata per aria e senza senso,
ma almeno dà conto della semi immortalità di Michael Myers. Wynn e il suo culto
vengono sterminati da un Michael fuori controllo, ma Tommy e Kara Strode, l’unica
rimasta della famiglia, riescono a salvare la pelle. I due implorano il dottor
Loomis di fuggire insieme a loro, ma lui rifiuta sorridendo, dicendogli di
avere ancora qualcosa da fare, e rientra nell’ospedale dove si trova Michael.
Che non finisca bene lo si intuisce dal grido straziante che si alza nella notte,
ma il film termina qui. Questo 6° capitolo ha il pregio di riprendere
personaggi e situazioni di tutti i film precedenti, ma è rovinato dalla banale spiegazione
delle origini della forza di Michael Myers. Questo è anche l’ultimo film che
vede l’attore Donald Pleasence nella parte del dottor Loomis, l’unico personaggio
presente in tutti i film insieme a Michael Myers. A titolo di pura curiosità
segnalo come le cicatrici dovute al fuoco, che il dottore presentava negli
ultimi due capitoli, in questo film scompaiono misteriosamente. Plastica
facciale o dimenticanza degli sceneggiatori?
L’ennesimo sequel arriva con “Halloween: 20 Years Later”
(1998), giusto in tempo per i venti anni del franchise. Il fatto strano è che
questo film non è il prosieguo del precedente, bensì segue direttamente il 2°
capitolo della serie! Confusi? Immagino di si, per cui fate attenzione:
prendete il 4°, il 5° e il 6° della saga e fate come se non esistessero (il 3° presentava
una storia autonoma senza Michael Myers, quindi era fuori dalla continuity già
di suo). Sono passati esattamente 20 anni dalla strage di Halloween e Laurie
Strode (che non è mai morta in un incidente stradale come rivelato nel 4° film)
vive sotto falso nome in California facendo la preside di una scuola fra i cui
studenti c’è anche suo figlio John. Laurie ha cercato di rifarsi una vita in
questi 20 anni, ma è chiaro che è difficile riprendersi del tutto dagli eventi
di una notte come quella ha passato lei, soprattutto se si pensa che chi ha
cercato di ucciderti altri non era che tuo fratello! Il figlio John (un
giovanissimo Josh Hartnett) è stufo della madre, sempre così protettiva, e si
prepara a vivere una notte di Halloween all’insegna del divertimento insieme ai
suoi amici e alla sua ragazza. Michael Myers è ritenuto morto nell’incendio
dell’ospedale (ricordate la fine del 2° film?), mentre il dottor Loomis, sopravvissuto
all’esplosione, è deceduto prima dell’inizio del film (il personaggio, mentre l’attore
Donald Pleasence era già morto nel 1995). Michael Myers, che ovviamente non è
morto, irrompe nella casa di Marion Chambers, storica assistente del dottor
Loomis (già vista nel primo Halloween), fruga fra le sue carte alla ricerca di
indizi con cui rintracciare Laurie Strode; dopo averli ottenuti trucida la
povera assistente e un paio di giovanotti sfigati, quindi si dirige senza
indugio in California. Nella notte di Halloween la scuola è vuota, ci sono solo
John e i suoi amici che tengono un festino in gran segreto; Michael inizia a
fare strage di studenti, ricorrendo ancora una volta alla sua leggendaria
ubiquità: una studentessa scappa da un piano della scuola ad un altro con il
montacarichi, solo per ritrovarsi faccia a faccia con Michael dopo pochi
secondi! John riesce a scappare e ad avvisare la madre: è giunto il momento che
Laurie e Michael si affrontino di nuovo, venti anni dopo. Laurie fa scappare il
figlio e comincia la sua battaglia con il diabolico fratello: riesce ad
ucciderlo, ma fidandosi poco del fatto che uno come Michael possa restare morto
a lungo, ruba il furgone della polizia che trasporta il suo cadavere e lo fa
schiantare. Faceva bene a non fidarsi: Michael infatti è ancora vivo, pur trovandosi in una brutta posizione, schiacciato
fra le lamiere del furgone ed un grosso tronco; Laurie si avvicina, ha un attimo
di esitazione, come se provasse pietà per il fratello, ma poi lo decapita con
un preciso colpo d’ascia. La testa
mascherata di Michael rotola per terra, gli occhi spalancati, mentre in
lontananza si odono le sirene della polizia. Tutto sommato questo 7° capitolo
non è affatto male, ed è un piacere ritrovare l’attrice Jamie Lee Curtis nel
ruolo che l’ha resa famosa; l’unica cosa che davvero dispiace è che per girare
questo film si sia dovuto buttare a mare tutto ciò che era stato raccontato nei
film precedenti. In pratica, da questo film in poi, è come se esistessero due
linee di sequel: i capitoli dal 4° al 6°, e questo 7° episodio, fermo restando
il 1° e il 2° film che fanno da base per tutti i seguiti.
L’ottavo e ultimo film della serie, “Halloween: Resurrection”
(2002), è il sequel della nuova linea iniziata con capitolo precedente. Il film
si apre con un colpo di scena: il tizio decapitato da Laurie non era veramente suo
fratello, ma un infermiere a cui Michael avevo messo a forza la maschera dopo
avergli distrutto la laringe, così che non potesse parlare o chiedere aiuto.
Per questo motivo Laurie si trova adesso in un manicomio; prende le medicine e
sta buona e tranquilla, ma è solo una finta: sa che presto o tardi Michael si
farà vivo, e lei lo sta aspettando. Tre anni dopo le sue paure diventano
realtà, Michael irrompe nell’edificio facendo strage delle infermiere, l’eterna
lotta fra lui e la sorella riprende esattamente da dove era terminata. Laurie sembra
avere la meglio e riesce ad impiccare Michael con uno stratagemma, ma prima di
vibrare il colpo finale cerca di togliergli la maschera, per essere sicura di uccidere
la persona giusta. Purtroppo questo scrupolo le si rivela fatale, poiché
Michael riesce a bloccarla e pugnalarla a morte. A questo punto il film
potrebbe pure finire, dato che Michael ha ammazzato l’unica parente rimasta in
vita della sua famiglia e non c’è nessun accenno al figlio John che avevamo
visto nel film precedente. Il problema è che ci troviamo ad appena 15 minuti
dall’inizio film, e manca ancora un’ora alla fine! Michael torna nella sua
città, Haddonfield, per scoprire che nella sua casa si sta svolgendo uno
squallido reality show: i concorrenti sono dei ragazzi e delle ragazze che
devono passarvi la notte tentando di scoprire cosa possa aver trasformato un
bambino in un maniaco assassino. Inutile dire che Michael non prende molto bene
questa profanazione della casa avita, ed inizia ad ammazzare tutti quanti. Nonostante
la casa sia piena di telecamere, nessuno si accorge di Michael che sale e
scende le scale mentre accoppa chi gli pare e piace! Alla fine di un film ormai
privo di un scopo, Michael finisce fulminato da alcuni cavi elettrici e prende
fuoco; il suo corpo viene portato all’obitorio dove una dottoressa tenta di
rimuovere la maschera parzialmente squagliata dalla sua faccia, ma nell’istante
in cui apre gli occhi termina il film, lasciando a noi spettatori il compito di
immaginare quali ulteriori orrori potrà ancora commettere. Questo ultimo
capitolo è interessante solo per i primi quindici minuti, esattamente quando
muore Laurie Strode, il resto è noia. Michael Myers uccide volentieri e
gratuitamente, è vero, ma lo scopo di voler sterminare la sua famiglia è ciò
che lo caratterizza maggiormente; una volta che questo incentivo viene meno,
Michael appare privo di una direzione, e senza di essa il film va alla deriva.
I ragazzi del reality show erano così stupidi ed irritanti che ti trovavi a
tifare per Michelone, e ci resti abbastanza male quando riescono ad ucciderlo
alla fine.
La saga di Michael Myers sembrava terminata nel 2002, finché
Rob Zombie, con il benestare di John Carpenter, non ha girato il remake “Halloween
– The Beginning” (2007). Il film ripercorre la storia del primo Halloween, con l’aggiunta
di una maggiore attenzione all’infanzia del piccolo Michael, allo scopo di far
vedere che razza di carogna sociopatica fosse sin da bambino. Il film è molto
più splatter e violento dell’originale, ma per fare questo ci voleva poco, dato
che di sangue nel primo film proprio non se ne vedeva. Persino il remake di Rob
Zombie ha avuto un seguito, “Halloween II” (2009), sempre dello stesso regista.
Il film continua dove si interrompe il precedente, con Michael che torna in
vita la stessa notte di Halloween ed insegue Laurie in ospedale. Nel momento in
cui sta per raggiungerla ed ucciderla, Laurie si sveglia urlando, e scopriamo
che tutta questa scena era un sogno. Nella realtà è passato un anno, Laurie
cerca di tirare avanti, ma Michael è davvero vivo e vegeto, e torna ad
Haddonfield per ucciderla. Dopo morti sanguinose ed inseguimenti senza fine,
Laurie riesce ad uccidere Michael, ma a questo punto è lei ad essere impazzita
e ad indossare la maschera del fratello. Il film si chiude con Laurie in un reparto
psichiatrico con un sorriso che non promette nulla di buono. Halloween II è un
seguito abbastanza moscio, che non ha realmente nulla da dire, e si limita a
fare un collage di situazioni già viste negli altri film, come l’inseguimento
in ospedale da Halloween II del 1981, oppure Laurie che impazzisce come Jaime
in Halloween 4.
La saga di Halloween è e resta una delle più
famose nella storia del cinema horror, e anche solo per questo motivo merita di
essere vista. Negli anni passati avevo visto solo alcuni film della saga, e
certamente mai uno appresso all’altro, come ho fatto di recente. Personalmente
mi sono molto divertito, e anche se si tratta di film abbastanza datati (remake
esclusi), non hanno perduto il loro fascino. La figura di Michael Myers incute
timore, soggezione e anche un certo fascino morboso. La sua bianca maschera di
morte, il suo essere una forza distruttrice della natura resterà negli annali
del cinema horror, e mi spinge a fare un paio di considerazioni finali. In
tutti e 10 i film, se fate attenzione, non vediamo mai davvero il volto di
Michael Myers. Lo vediamo chiaramente soltanto da bambino, ma da adulto, dopo
che è diventato l’incarnazione del male, lo intravediamo appena in un paio di
scene, in maniera così veloce da non riuscire a distinguerne il volto. Credo
che questa sia stata una scelta voluta: non è importante sapere come sia davvero la faccia Michael perché il volto del male può nascondersi dietro qualunque
viso, chiunque può essere Michael Myers. Sotto la maschera non c’è un volto
deforme o mostruoso, il male dentro Michael non si estrinseca in
caratteristiche fisiche negative. La maschera diventa la sua caratteristica
fisica negativa, e la maschera è indice di segreto, di menzogna, di
sotterfugio. Michael Myers è il riflesso oscuro di quelle persone che nascondono
il male dentro di loro, quelle persone capaci di atti bestiali e miserevoli ma
all’apparenza normali, al punto che in TV, quando si intervistano i vicini di
casa, l’unica cosa che riescono a dire è “sembrava una brava persona”. L’altro
punto che mi ha davvero colpito è la diagnosi che il dottor Loomis fa di
Michael Myers. Michael è solo un bambino e Loomis uno psichiatra, eppure non ha
dubbi nel descriverlo come il male assoluto. Lo descrive alla sua infermiera
come un essere pericolosissimo, additandolo semplicemente come “quello”, senza
neppure un nome. Michael non ha diritto ad un nome, perché Loomis non lo
riconosce come un essere umano: non ha coscienza, non ha sentimenti, l’unica
cosa da fare con un tipo del genere è rinchiuderlo il più lontano possibile dal
mondo civile. Quando il buon dottore pronunciava queste parole, nel lontano
1978, le cose erano un po’ diverse, ma oggi, in questi tempi di esasperato buonismo
e politicamente corretto, fanno un certo effetto. Oggi le colpe di Michael
Myers verrebbero fatte ricadere banalmente sulla società, e certamente si
troverebbe qualche psichiatra impaziente di farsi un nome e comparire in TV
pronto ad assolverlo. Il dottor Loomis del remake, un personaggio più moderno, si
guarda bene dal pronunciare tali parole: sente che Michael è una sua
responsabilità perché non è riuscito ad aiutarlo, ma non va oltre. Anche il
dottor Loomis del 1978 si sentiva responsabile, ma non per non essere riuscito
ad aiutare Michael, ma perché era sfuggito alla sua custodia. Non si può essere
responsabili del male assoluto, nessun dottore avrebbe potuto aiutare Michael, nessuna
cura psichiatrica gli avrebbe giovato. Oggi, come allora, l’unica cosa sensata
da fare era imprigionarlo.