lunedì 30 giugno 2014

La Torre Nera



Entrando in libreria, se vi fate un giro fra gli scaffali dedicati al fantasy, noterete subito come sia piuttosto difficile trovare libri “stand alone”. Personalmente, dopo aver preso in mano un libro, corro subito alla quarta di copertina per sapere se si tratta di una storia che inizia e finisce nello stesso volume, ma immancabilmente scopro che è soltanto la prima parte di una trilogia. Non importa se sei un signor nessuno e scrivi un libro fantasy per la prima volta nella tua vita, il tuo progetto è già quello di farne una trilogia! Per Tolkien, ai suoi tempi, fu una scelta artistica; oggi è solo una scelta commerciale, rafforzata dalla possibilità di un’eventuale trasposizione cinematografica: le major di Hollywood non vedono l’ora di trovare una gallina dalle uova d’oro che possa inaugurare un nuovo franchise di successo. La sindrome da trilogia non risparmia neppure generi attigui come la fantascienza, ma soprattutto l’horror o l’urban fantasy. Vi sono poi delle storie che una trilogia non basta, e si trasformano allora in saghe da mille volumi: Harry Potter (7 libri), Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (5 libri inglesi al momento, più di 10 nell’adattamento italiano), o la Ruota del Tempo (terrificante polpettone di 14 libri). A volte, per fortuna, alla quantità si accompagna la qualità ed è da questo connubio che nascono i capolavori, come la saga della Torre Nera di S. King.


Prima della Torre Nera avevo letto poche cose del maestro dell’horror, ma tutte di altissimo livello: Le Notti di Salem e It. Sapevo della sua saga fantasy-western (così almeno la reputavo all’inizio) e mi attraeva, ma i 7 volumi della storia mi incutevano timore e pertanto continuavo a rimandarne la lettura. Il desiderio di misurarmi con una lettura ambiziosa è lentamente cresciuto (l’ultima grossa saga che ho letto è stata quella di Harry Potter, terminata nel 2007), spingendomi infine al grande passo. Ho preso in mano il primo libro a maggio dell’anno scorso e, dopo averlo finito, non mi sono più fermato sino alla conclusione della saga, a novembre. Era dai tempi delle medie, quando scoprii il Signore degli Anelli, che non leggevo una storia così epica! Harry Potter è affascinante, pieno di colpi di scena e misteri da svelare, ma non è “epico”; non lo è neppure il fantasy del Trono di Spade di Martin: ha molti personaggi, intrighi, profondità, battaglie campali ma di epicità neppure l’ombra. La saga della Torre Nera mi ha permesso di (ri)vivere situazioni e personaggi dal respiro eroico: lo scontro fra il bene e il male, viaggi in terre desolate alla ricerca di qualcosa di perduto, antiche profezie e battaglie fra pochi valorosi contro mille avversari.

Come e perché nasce questa storia ce lo racconta lo stesso autore nella varie introduzioni e postfazioni dei romanzi della saga: influenzato dal Signore degli Anelli, già a 19 anni Stephen King progetta di scrivere una sua storia fantasy. Tuttavia non è ancora pronto, sente che gli manca qualcosa. Quel qualcosa si chiama “Il bello, il brutto e il cattivo”, il celebre spaghetti-western di Sergio Leone: dopo averlo visto al cinema, il giovane King ne resta profondamente affascinato e capisce di voler mischiare le atmosfere fantasy a quelle western. Nessuno ha mai tentato una cosa simile prima di lui: la saga della Torre Nera non è soltanto il coronamento della sua strepitosa carriera, ma è anche il tentativo di dare uno spessore epico alla giovane storia americana, mischiando il genere western con i miti e le leggende di stampo occidentale/europeo. Il primo volume della saga, “L’Ultimo Cavaliere”, esce nel 1982; l’ultimo, “La Torre Nera”, viene dato alle stampe nel 2004: ventidue anni di sofferenza e passione, tra il desiderio dei fan di sapere come sarebbe finita la storia e il terrore che potesse non concludersi affatto! Eh già, perché nel 1999 S. King viene investito da un minivan mentre fa la sua consueta passeggiata nelle campagne del Maine. Ferito e menomato seriamente alla gamba, lo scrittore sopravvive ma inizia per lui un periodo di convalescenza lungo e difficile. Lo stesso autore capisce che il momento è cruciale: o finisce di scrivere la storia in fretta oppure non ce la farà più. King ci si mette d’impegno e, a differenza dei primi quattro libri, pubblicati a 4-5 anni di distanza l’uno dall’altro, scrive di getto gli ultimi tre romanzi della saga, che usciranno tutti fra il 2003 e il 2004. Nel 2012 esce l’ottavo libro della saga, “La Leggenda del Vento”, che in ordine di lettura andrebbe collocato fra il 4° e il 5° volume. King sentiva di aver ancora qualcosa da dire sul suo universo fantastico e ne ha ripreso in mano i suoi personaggi un ultima volta. La Leggenda del Vento non ha aggiunto nulla di particolare alla saga, già completa nei suoi 7 libri, ma ha offerto un ultimo sguardo al Medio Mondo ed alla sua storia che di certo ha reso felice tutti i fan della saga. Fan che hanno dimostrato nei riguardi della Torre Nera un affetto profondissimo, al punto da stupire e commuovere lo stesso King. Nella postfazione al 4° romanzo, lo scrittore pubblica la lettera di un’anziana lettrice malata di cancro. La signora sa che i suoi giorni sono contati e chiede a King se può rivelarle il finale, non potendolo leggere di persona. Era il 1997 e credo che all’epoca neppure King sapesse come avrebbe terminato la saga, chissà cosa deve aver provato leggendo quelle righe … 


La Torre Nera ha infine avuto il suo finale e noi, per fortuna, abbiamo avuto la possibilità di leggerlo. Questo pezzo non vuole essere una recensione dell’opera, sarebbe un compito difficile, lungo e probabilmente impossibile. No, questo pezzo vuole essere un invito alla lettura, voglio farvi capire quanto straordinaria sia questa saga e quanto meriti di essere letta, a dispetto della sua lunghezza. Non è priva di difetti, si tratta pur sempre di una storia che è stata sviluppata nell’arco di venti anni, e non mancano neppure incongruenze o cadute di tensione, ma il risultato finale resta comunque superlativo. La Torre Nera è un affresco di personaggi, avventure e situazioni molto complesse, ed è una storia che tocca diversi generi narrativi. Ho parlato di fantasy-western, e in prima battuta è esatto, ma non mancano sconfinamenti nella fantascienza e nell’horror. La storia è ambientata (principalmente) nel Medio Mondo, un incrocio fra una società feudale e il vecchio west, con residui di tecnologia superiore di un’epoca passata. Si tratta di un mondo che, usando le parole del protagonista, è “andato avanti”, un’espressione che indica il passaggio impietoso del tempo e la rovina che incombe. Un solo mondo, però, stava stretto a S. King: utilizzando la tematica dei mondi paralleli (tanto cara alla fantascienza), inserisce realtà alternative simili alla nostra e viaggi nel tempo! Il protagonista della storia è Roland Deschain, ultimo membro di una stirpe di pistoleri-giustizieri, impegnato nella ricerca della misteriosa Torre Nera. Secondo Roland, la Torre Nera è un nexus, il fulcro di tutte le realtà ed è accessibile fisicamente soltanto dal Medio Mondo. La sua ricerca gli farà attraversare mondi, tempo e spazio, accompagnato da alcuni alleati e ostacolato da molti nemici, fra cui spiccano l’Uomo in Nero e il Re Rosso. King tira le fila di tutta la sua produzione letteraria prendendo personaggi dai suoi precedenti libri e facendoli incontrare lungo il cammino di Roland. Il lettore occasionale, però, non si lasci spaventare: per seguire e godere della saga della Torre Nera non serve aver letto nessuna opera di King. Colui che già le conosce troverà maggior piacere nel rivedere taluni personaggi ma null’altro. All’inizio della storia, le motivazioni di Roland non sono molto chiare, e il lettore deve mettersi in testa che le spiegazioni arriveranno (ve lo assicuro!) ma a tempo debito.


Poco importa, comunque, perché il primo libro, “L’Ultimo Cavaliere”, si apre in medias res, con Roland all’inseguimento dell’Uomo in Nero in un torrido deserto. Inizialmente c’è spazio solo per l’azione, ma si intuisce che dietro deve esserci qualcosa di più grande, un grande arazzo di cui il lettore riesce per ora a vederne solo una minima parte. Questa caratteristica è in comune con il Signore degli Anelli: si capisce subito come la Terra di Mezzo abbia una storia antica e come tutte le vicende di Frodo e dell’anello affondino nel passato più remoto di quel mondo, ma ci sarà tempo e luogo per le spiegazioni. La storia prosegue e al protagonista (Roland) e al suo antagonista (l’Uomo in Nero) si uniscono tanti altri personaggi, alcuni come alleati, altri come avversari. Le spiegazioni iniziano ad arrivare ma si percepisce come King non abbia ancora svelato gli assi: è nel quarto libro che, finalmente, ci viene narrata la gioventù di Roland e gli eventi che hanno innescato la storia. A quel punto il lettore è in trappola: non è davvero possibile pensare di scendere dal treno e non seguire Roland fino alla fine! Finale che arriva per davvero e non smette di far discutere i fan neppure adesso. Dopo averlo letto si è confusi, l’impressione è quella di essersi persi qualcosa, quella che “ma no, davvero?”. Poi lo rileggi, e lo rileggi ancora e alla fine tutto diventa chiaro e resti folgorato, vai a riprendere i vecchi libri e scopri che c’era già tutto (complice anche la riscrittura del primo romanzo). Non sono in grado di dirvi se lo apprezzerete (dopo un’iniziale incertezza, io l’ho fatto), né che avrete tutte le risposte che stavate aspettando, ma c’è un finale. Dopo 7 libri Roland giunge insieme a voi alla Torre Nera e il suo destino si compie. Non vi dirò altro: se siete curiosi è tempo di fare un salto in libreria! Cosa aspettate?

mercoledì 4 giugno 2014

Intanto al cinema...



Complice la settimana del cinema e l’uscita di alcuni titoli davvero interessanti, mi è capitato di vedere parecchi film di recente. Dato che non sono riuscito a scrivere dei pezzi singoli nel momento in cui li ho visti, ho deciso di fare un singolo articolo con delle mini-recensioni. Occhio agli eventuali spoiler e cominciamo da “The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro”. 

Potrei essere davvero sintetico e dirvi che il film è una cagata, però questo blog allora non avrebbe senso, quindi meglio motivare un po’ il giudizio. Pur non essendo Spiderman il mio super eroe preferito, mi era piaciuta parecchio la trilogia originale di Sam Raimi. Sull’onda del successo del terzo capitolo (a dir la verità il più debole della serie), la Sony aveva chiesto al buon Sam un quarto film e lui aveva accettato, purché potesse prendersi il tempo necessario per tirarne fuori qualcosa di decente. La Sony però aveva fretta di capitalizzare e decise di fare un reboot della serie, affidandola allo sconosciuto (e incapace, aggiungerei io a questo punto) Mark Webb. Il primo film della nuova serie, “The Amazing Spider-Man” (2012), è universalmente considerato una schifezza, ma poiché Spiderman è pur sempre Spiderman, riuscì ad incassare abbastanza per generare un sequel. Le aspettative per un film migliore del primo c’erano tutte: innanzitutto perché fare meglio di un film davvero brutto dovrebbe essere facile; in secondo luogo perché mentre il primo capitolo di una saga deve necessariamente trattare delle origini dell’eroe, il sequel può spingersi su territori nuovi e, si spera, più interessanti. Questo non è accaduto: “The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro” è appena un po’ meglio del primo capitolo, ma resta comunque un film brutto. I nemici di Spiderman (Electro e Goblin) sono tratteggiati in maniera superficiale e banale, i combattimenti sono brevi e tutto il film è pieno di scene che fanno venire voglia di gridare “ma che cazzo?” a pieni polmoni! Sono andato a vedere il film solo grazie allo sconto della settimana del cinema, altrimenti me ne sarei tenuto alla larga, che è un po’ quello che hanno fatto gli spettatori di tutto il mondo. Questo film nasce col difetto di essere il sequel di un film orrendo e la gente, al momento di scegliere se andare a vederlo, se ne è ricordato. 

Grazie alla festa del cinema sono andato a vedere pure “Godzilla”. Anche qui è necessaria una premessa: non ho alcun legame affettivo o emotivo con la saga del gigantesco lucertolone e non ho mai visto nessuno dei suoi film, a parte quello del 1998 di Roland Emmerich. Tale pellicola non è ben considerata dai fan poiché, a parte il nome, non ha nulla in comune con la sua controparte nipponica (anche se personalmente io l’ho trovata divertente). Oggi, dopo aver visto il remake ed aver compreso cosa sia davvero Godzilla (un mostro che picchia altri mostri) posso dire che continuo a preferire la versione di Emmerich: meglio vedere Godzilla alle prese con l’esercito americano piuttosto che involontario salvatore della Terra mentre lotta con altri mostri. Parlando del film vero e proprio, i suoi difetti sono principalmente due: totale mancanza di empatia con gli attori umani e scarso minutaggio di Godzilla in azione. Il ruolo degli esseri umani nel film è misero, e in un film del genere posso anche capirlo, ma in questo caso la loro rilevanza è sotto lo zero! Ciò che è grave, però, è l’incapacità del film nel suscitare un minimo di empatia nei loro confronti: che vivano o muoiano, alla fine, è lo stesso, perché di loro non ti frega nulla! Quanto alla presenza di Godzilla, questi appare per la prima volta dopo un’ora abbondante del film, e pure le sue successive apparizioni sono estremamente centellinate. Persino i suoi mostruosi nemici trovano maggior spazio nella pellicola, e questo mi pare un bel controsenso, considerando che dovrebbe essere Godzilla il protagonista! Aggiungete al tutto un paio di grossi buchi nella trama, degli ottimi effetti speciali, ed avrete un’idea precisa di cosa potete aspettarvi da questo film.

Finita la festa del cinema sono arrivati sugli schermi i film più interessanti (e ti pareva!), il migliore dei quali è certamente “X-Men: Giorni di un Futuro Passato”. La saga cinematografica degli X-Men ha alternato ottimi film (X1, X2 e X-Men: L’inizio) ad altri più debolucci (X3 e i film a solo di Wolverine): il ritorno di Bryan Singer alla regia e la scelta di Giorni di un Futuro Passato (famosa saga a fumetti) come base per la storia del film ha mandato a mille le aspettative dei fan. Aspettative che non sono andate deluse: questo nuovo capitolo della storia degli X-Men è solido, roccioso, ben interpretato e con delle scene d’azione fantastiche! La coesistenza di due linee temporali con i rispettivi attori, poi, è stata la ciliegina sulla torta: veder tornare sullo schermo Patrick Stewart e Ian McKellen nei panni dei vecchi Professor X e Magneto è stata pura goduria per gli occhi. “Giorni di un Futuro Passato” fa da ponte fra due generazioni di X-Men e, oltre ad essere un bel film di per sé, rappresenta il passaggio di testimone dall’una all’altra. Il finale, sul quale non voglio rivelare nulla, è un omaggio ai personaggi della vecchia trilogia mentre il già annunciato sequel (X-Men: Apocalypse) vedrà esclusivamente la presenza del nuovo cast (con l’aggiunta dell’onnipresente Wolverine). Potrei tessere le lodi di questa pellicola ancora a lungo ma ritengo sia inutile e poi, trattandosi di un film sui viaggi nel tempo, non voglio farvi spoiler che possano rovinarvi la storia: vi consiglio semplicemente di fiondarvi al cinema più vicino, sono certo che non resterete delusi. E per i fan dei fumetti: si, c’è una scena dopo i titoli di coda, pazientate e rimanete seduti, ne varrà la pena!

Un altro bel film, che ho avuto la fortuna di vedere gratis grazie all’anteprima nazionale, è stato “Edge of Tomorrow: Senza Domani”, con Tom Cruise e Emily Blunt. Tratto da una light novel giapponese, il film racconta dell’invasione aliena dei Mimics e della lotta senza quartiere fra essi e l’umanità. Il maggiore William Cage viene “infettato” dal loro potere e si trova a rivivere ogni volta lo stesso giorno: quando viene ucciso si risveglia il giorno prima come se non fosse successo niente, con l’invasione ancora alle porte. Morte dopo morte, il maggiore Cage affinerà le sue capacità belliche fino a diventare un combattente eccezionale. La svolta nella storia avviene quando perde il suo straordinario dono e, a quel punto, dovrà giocarsi il tutto per tutto, con la sopravvivenza dell’umanità come posta in palio. Il film è piacevole, ben scritto e interpretato, divertente nei momenti giusti, adrenalinico e drammatico quando serve. La trama può sembrare banale, ma a conti fatti non lo è, merito di una regia che tiene lo spettatore sempre sul chi vive, pronta a cambiare registro al film quando è necessario. Il lieto fine può sembrare eccessivo ma c’è da considerare che si tratta di un film blockbuster con Tom Cruise e poi, vi assicuro, sarete i primi a desiderarlo alla fine della storia. 

L’ultimo in ordine di visione è stato “Maleficent”, il film Disney che tenta di offrire una nuova versione della fiaba della bella addormentata, stavolta dal lato dei cattivi, rappresentato per l’appunto dalla protagonista Malefica. Se non fosse stato per la mia ragazza, vi giuro, non sarei mai andato a vedere un simile film. Fare opera di revisionismo sulle fiabe è una cosa aberrante e del tutto contraria allo spirito delle fiabe stesso. In questo film, poi, il revisionismo si mischia al femminismo (tutte le donne del film sono brave, tutti gli uomini dei bastardi) ed il danno è compiuto: una delle icone malvagie più affascinanti dei film Disney, Malefica, viene stravolta e rovinata al punto da farla apparire buona. Già solo per questo motivo il film merita una stroncatura; aggiungeteci un trama scontata, senza sussulti o colpi di scena, e un paio di assurdità sparse qua e là, e il (desolante) quadro è completo.