Navigando sulle pagine Facebook dedicate a D&D, mi è capitato
spesso di leggere una curiosa affermazione spacciata quale verità
incontrovertibile, e cioè che la 5° edizione di D&D, avendo un regolamento
semplice e snello “lascia più tempo per ruolare”. La frecciatina, per chi non
lo avesse capito, è rivolta in particolare alla 3° edizione e al suo fratello
Pathfinder, accusati di avere un regolamento complesso, barocco, farraginoso,
dove la ricerca ossessiva di combo fra poteri e talenti mette in ombra
l’interpretazione e il divertimento.
Facciamo finta di non vedere che la maggior parte delle persone che
entra in queste pagine lo fa per chiedere qual è la miglior “build” (cioè
costruzione) del personaggio, quali talenti scegliere, quale arma conviene
usare, qual è l’incantesimo più potente, insomma facciamo finta che i giocatori
della 5° edizione non siano identici a quelli che giocano alla 3° e Pathfinder,
ma siano sinceramente dediti all’interpretazione. Ebbene, la frase di cui
sopra, è vera? La 5° edizione, con il suo regolamento snello da 800 pagine in
tre manuali, davvero lascia più spazio all’interpretazione? Davvero il tempo
che si risparmia viene utilizzato interamente per lunghe e vibranti
interpretazioni?
La risposta breve è NO, questa affermazione è una bestialità pura e
semplice. E’ falsa, come dimostrerò fra poco ma soprattutto è una falsità
ripetuta per due ragioni: 1) per semplice ignoranza e sentito dire, 2) in
malafede, per bieca partigianeria. Schierarsi da una parte ed offendere l’altra,
ma soprattutto schierarsi dalla parte del vincente è uno sport nazionale qui in
Italia, e si applica tanto nelle questioni serie quanto per argomenti più
triviali, come D&D (e spero che nessuno si offenda qui, gioco da decenni e
per me il gioco di ruolo tutto è tranne che banale ma credo si possa convenire
che rispetto a temi come politica, religione, economia, ambiente e diritti
umani sia ben poca cosa). Il vincente, in questa occasione, è chiaramente
l’ultima edizione di D&D. Al di là dei gusti personali, è difficile
paragonare un’edizione di 20 anni fa (come la 3° edizione) o di 10 anni fa
(come Pathfinder) contro una nuova edizione, che avrà sempre dalla sua il fatto
di essere l’edizione ufficiale in quel momento storico. Momento storico molto favorevole
al gioco di ruolo, serie come Big Bang
Theory e Stranger Things hanno
sdoganato la cultura nerd e il gioco di ruolo, Game of Thrones ha portato il genere fantasy nel nuovo millennio
mentre su internet appaiono addirittura video di giocate di ruolo quale estremo
narcisismo dei nostri tempi. D&D è più popolare adesso di quanto non fosse
negli anni ’80 e la 5° edizione è osannata come la migliore di sempre. Qualche
nostalgico ancora gioca alle precedenti edizioni (diamine, c’è chi gioca ancora
a quella cagata di AD&D o addirittura al primissimo D&D scatola rossa)
ma la maggior parte è passata alla nuova edizione. Comportamento assolutamente
normale, se non fosse poi seguito dallo spalare merda sulle vecchie edizioni,
come se uno le avesse giocate per anni col fucile alla schiena. Ma sto
divagando, perdonatemi, quando posso togliermi qualche sassolino dalla scarpa
non mi tiro indietro. Torniamo alla nostra frase. Cambiare edizione e più in
generale giocare al gioco che si preferisce è giusto e doveroso, scrivere
stronzate invece no, ed è per questo mi permetterò di demolire l’affermazione
che la 5° edizione “lascia più tempo per ruolare” (espressione tra l’altro
orribile, questi inglesismi hanno rotto le palle).
Avere “più tempo per ruolare” implica che ci sia un risparmio di
tempo. Ma, esattamente, dove si verificherebbe questo risparmio? Certamente non
nel creare un personaggio, che è un’attività assolutamente off-game. Non ho
difficoltà a riconoscere che fare una scheda del personaggio con la 5° edizione
è questione di 10 minuti; la 3° edizione e Pathfinder offrono molte più
possibilità di personalizzazione al giocatore ma tale ricchezza si paga con il maggior
tempo da dedicare alla creazione del personaggio. Si tratta però di attività
che vengono normalmente svolte fuori dal gioco e dalla partita, quindi non c’è
alcun risparmio di tempo (si potrebbe anche aggiungere che una maggior
personalizzazione potrebbe condurre a personaggi più interessanti da giocare e da
interpretare, questione che sembra molto a cuore ai fan della 5° edizione ma
lasciamo stare).
Forse, si può risparmiare tempo nella conduzione del gioco: avendo
meno regole e gestendo a braccio molte situazioni, è possibile evitare di
impantanarsi nella ricerca di specifiche regole, ricerca che rallenta
inevitabilmente il gioco e porta a noiosi tempi morti. Apparentemente è così ma
analizziamo meglio la questione. Avere meno regole aumenta quasi sempre la
discrezionalità del master e porta, inevitabilmente, alle lamentele dei
giocatori. Se c’è una regola che dice che quella cosa non si può fare o che va
fatta in quel modo specifico, c’è poco da fare. Una volta trovata la si applica
e finisce li. Se la regola non c’è il master deve crearla. Potrà espandere una
regola simile, muoversi per analogia (se è fortunato) ma resta sempre il fatto
che dovrà inventarsi qualcosa. Inventare una regola può essere arduo per
giocatori poco esperti (e in effetti, sulle pagine Facebook, dopo la richiesta
di trucchi per rendere più forte il personaggio, la seconda questione più
gettonata sono appunto consigli su come cavarsela in situazioni non
disciplinate dal manuale) e resta un compito impegnativo anche per giocatori
esperti. Mentre per un novizio la difficoltà è proprio nel figurarsi una
soluzione, un master esperto troverà più rapidamente una regola da utilizzare
ma si interrogherà sul bilanciamento di tale soluzione rispetto al sistema:
quella che all’inizio sembra una buona idea potrebbe portare dei problemi in
seguito. Sia come sia, qualunque regole creata dal master per l’occasione dovrà
essere digerita dai giocatori, i quali, anche solo per il semplice ed egoistico
fatto che tale regola è svantaggiosa per il proprio personaggio, avranno spesso
da ridere in quanto “non ufficiale”. Il master ha l’autorità di gestire le
regole, verissimo, ma è altrettanto vero che soluzioni non condivise dal gruppo
possono alla lunga portare dei problemi e senza giocatori, sarà banale dirlo,
non si gioca! Tutto questo per dire che gestire le situazioni a braccio, con un
regolamento snello, fa perdere lo stesso tempo di un gioco più complesso, con
regole che devi andare a cercarti durante la partita se non le ricordi. Vorrei
anche aggiungere che un gioco con più regole porta, probabilmente, ad avere
giocatori più competenti ed esperti a lungo andare. Nel corso della mia lunga
esperienza da master con decine di giocatori diversi, mi sono accorto che i
giocatori che non vogliono impararsi le regole (e sono tanti), non lo fanno
neppure quando si offre loro un regolamento molto semplice. Il buon giocatore
si studia le regole, tante o poche che siano; il giocatore scarso non lo fa per
niente o al massimo lo fa con superficialità. Semplificare il gioco e le regole
per venire incontro a questi giocatori è inutile, perché non faranno sforzi neppure
in questa occasione. Con questo non voglio dire che si deve preferire un gioco
con più regole. Scegliete il sistema che preferite ma sappiate che il buon
giocatore non ha problemi con nessun sistema, quello pessimo lo stesso ma in
maniera negativa. Il tempo risparmiato, in ogni caso, è zero.
Il tempo risparmiato dovrà pur saltar fuori da qualche parte, se
vogliamo avere “più tempo per ruolare”. Forse il risparmio può venire dalla
stessa interpretazione? Magari, giocare con un sistema più semplice significa
anche interpretare con un sistema più semplice. In realtà non è così,
interpretare un personaggio è essenzialmente la stessa cosa, sia con la 5° edizione
che con Pathfinder, Gurps o Rolemaster. Quando un giocatore parla in prima o in
terza persona, quando da voce al suo personaggio, non esistono regole. Non a
caso, le questioni interpretative non trovano neppure spazio nei manuali di
gioco: come si può dare regole all’impersonare un personaggio? Servono regole
per combattere, per la magia, per le armi da fuoco ma nessun manuale potrà mai
dirti come devi impersonare il tuo personaggio. In questo caso, semmai, è vero
il contrario: se non ci sono regole, è facile far comportare il tuo personaggio
in maniera poco coerente, secondo la convenienza. Giochi più elaborati
utilizzano delle regole per tradurre in termini di gioco difetti caratteriali,
regole che aiutano il giocatore a stare nei binari e a sanzionarlo nel caso ne
esca a piacimento. Queste regole non sono una gabbia, perché è il giocatore
stesso ad utilizzarle. Se un giocatore decide di interpretare un nano avido, è
una sua libera scelta. Stabilendo quanto è difficile per il personaggio
allontanarsi dai suoi difetti, in termini di regole, questi giochi aiutano il
giocatore nel ricordargli i paletti di comportamento che lui stesso si è
autoimposto. Decidere di essere avido e poi comportarsi volta per volta secondo
il proprio comodo non è buon gioco di ruolo, ma D&D (tutte le edizioni, per
rimarcare che non è un problema solo della 5°) non ha alcuna regola per gestire
questa situazione. Questo è uno dei casi dove più è meglio e non è un caso di
poca importanza, perché l’interpretazione è il cuore del gioco di ruolo.
C’è un solo caso dove regole più semplici possono portare un risparmio
di tempo ma, ahimè, si tratta nuovamente di tempo fuori dal gioco, e cioè progettare
le avventure. Quando il master si siede al tavolo e comincia a pensare
all’avventura, a buttare su carta le sue idee, a scrivere le statistiche di
mostri e creature, regole più snelle possono in effetti portare un risparmio di
tempo. Il master sicuramente sarà felice ma l’interpretazione dei suoi
giocatori non ne sarà minimamente toccata. E sul risparmio di tempo del master,
ci si può chiedere a quanto corrisponda esattamente. Prendendo in esame la 5°
edizione e paragonandola alla 3° o a Pathfinder, credo che ci sia un certo risparmio
di tempo unicamente per ciò che riguarda la creazione dei personaggi non
giocanti. E’ molto più rapido il sistema della nuova edizione rispetto a quelli
precedenti ma se si tratta invece di usare mostri già fatti non cambia nulla, i
manuali contengono tutto il necessario. Per quanto riguarda trappole, veleni,
regole di esplorazione e altro, resta valido il discorso fatto sopra. Anche se
la 5° è più semplice, spesso e volentieri mancherà la regola specifica che serve
al master, per cui il tempo risparmiato verrà sprecato nel creare ciò di cui si
abbisogna.
Siamo alla fine. Vi ho dimostrato come l’affermazione
che la 5° edizione lasci più spazio all’interpretazione, per via delle sue
regole più semplici, è una cretinata. Anche senza tutto ciò che ho scritto in
questo articolo, la questione è davvero auto evidente. Pensate a tutte le
partite che avete giocato: quando avete cambiato sistema di gioco, quando avete
giocato a Gurps, al Richiamo di Chtulhu, a D&D, a Runequest, cosa è davvero
cambiato nel vostro modo di interpretare? Nulla. Avete usato regole diverse per
fare personaggi, per gestire i combattimenti, ma davvero avete giocato diverso
dal solito? Quando il vostro ladro ha tentato di convincere la guardia che non
stava provando a forzare quella porta ma passava di li per caso, quando il
vostro marine spaziale ha tentato di convincere il comandante a seguire un
piano di battaglia diverso, quando il vostro vampiro si angosciava per la
perdita di umanità, cosa avete fatto di tanto diverso? Avrete tirato dadi
diversi, controllato statistiche diverse ma a parte questo? Esatto, la risposta
è che non è cambiato assolutamente niente (poi oh, se avete solo giocato a
D&D per 20 anni senza mai cambiare o provare un gioco nuovo, è un problema
vostro). Se un gioco ha regole meno complesse, l’avventura è finita prima o
avete giocato più a lungo, tutto qua. La vostra interpretazione? E’ rimasta
esattamente la stessa. E meno male (se era buona). Alla prossima!