venerdì 1 giugno 2018

D&D 5e lascia più spazio all'interpretazione?



Navigando sulle pagine Facebook dedicate a D&D, mi è capitato spesso di leggere una curiosa affermazione spacciata quale verità incontrovertibile, e cioè che la 5° edizione di D&D, avendo un regolamento semplice e snello “lascia più tempo per ruolare”. La frecciatina, per chi non lo avesse capito, è rivolta in particolare alla 3° edizione e al suo fratello Pathfinder, accusati di avere un regolamento complesso, barocco, farraginoso, dove la ricerca ossessiva di combo fra poteri e talenti mette in ombra l’interpretazione e il divertimento. 




Facciamo finta di non vedere che la maggior parte delle persone che entra in queste pagine lo fa per chiedere qual è la miglior “build” (cioè costruzione) del personaggio, quali talenti scegliere, quale arma conviene usare, qual è l’incantesimo più potente, insomma facciamo finta che i giocatori della 5° edizione non siano identici a quelli che giocano alla 3° e Pathfinder, ma siano sinceramente dediti all’interpretazione. Ebbene, la frase di cui sopra, è vera? La 5° edizione, con il suo regolamento snello da 800 pagine in tre manuali, davvero lascia più spazio all’interpretazione? Davvero il tempo che si risparmia viene utilizzato interamente per lunghe e vibranti interpretazioni?

La risposta breve è NO, questa affermazione è una bestialità pura e semplice. E’ falsa, come dimostrerò fra poco ma soprattutto è una falsità ripetuta per due ragioni: 1) per semplice ignoranza e sentito dire, 2) in malafede, per bieca partigianeria. Schierarsi da una parte ed offendere l’altra, ma soprattutto schierarsi dalla parte del vincente è uno sport nazionale qui in Italia, e si applica tanto nelle questioni serie quanto per argomenti più triviali, come D&D (e spero che nessuno si offenda qui, gioco da decenni e per me il gioco di ruolo tutto è tranne che banale ma credo si possa convenire che rispetto a temi come politica, religione, economia, ambiente e diritti umani sia ben poca cosa). Il vincente, in questa occasione, è chiaramente l’ultima edizione di D&D. Al di là dei gusti personali, è difficile paragonare un’edizione di 20 anni fa (come la 3° edizione) o di 10 anni fa (come Pathfinder) contro una nuova edizione, che avrà sempre dalla sua il fatto di essere l’edizione ufficiale in quel momento storico. Momento storico molto favorevole al gioco di ruolo, serie come Big Bang Theory e Stranger Things hanno sdoganato la cultura nerd e il gioco di ruolo, Game of Thrones ha portato il genere fantasy nel nuovo millennio mentre su internet appaiono addirittura video di giocate di ruolo quale estremo narcisismo dei nostri tempi. D&D è più popolare adesso di quanto non fosse negli anni ’80 e la 5° edizione è osannata come la migliore di sempre. Qualche nostalgico ancora gioca alle precedenti edizioni (diamine, c’è chi gioca ancora a quella cagata di AD&D o addirittura al primissimo D&D scatola rossa) ma la maggior parte è passata alla nuova edizione. Comportamento assolutamente normale, se non fosse poi seguito dallo spalare merda sulle vecchie edizioni, come se uno le avesse giocate per anni col fucile alla schiena. Ma sto divagando, perdonatemi, quando posso togliermi qualche sassolino dalla scarpa non mi tiro indietro. Torniamo alla nostra frase. Cambiare edizione e più in generale giocare al gioco che si preferisce è giusto e doveroso, scrivere stronzate invece no, ed è per questo mi permetterò di demolire l’affermazione che la 5° edizione “lascia più tempo per ruolare” (espressione tra l’altro orribile, questi inglesismi hanno rotto le palle).


Avere “più tempo per ruolare” implica che ci sia un risparmio di tempo. Ma, esattamente, dove si verificherebbe questo risparmio? Certamente non nel creare un personaggio, che è un’attività assolutamente off-game. Non ho difficoltà a riconoscere che fare una scheda del personaggio con la 5° edizione è questione di 10 minuti; la 3° edizione e Pathfinder offrono molte più possibilità di personalizzazione al giocatore ma tale ricchezza si paga con il maggior tempo da dedicare alla creazione del personaggio. Si tratta però di attività che vengono normalmente svolte fuori dal gioco e dalla partita, quindi non c’è alcun risparmio di tempo (si potrebbe anche aggiungere che una maggior personalizzazione potrebbe condurre a personaggi più interessanti da giocare e da interpretare, questione che sembra molto a cuore ai fan della 5° edizione ma lasciamo stare).

Forse, si può risparmiare tempo nella conduzione del gioco: avendo meno regole e gestendo a braccio molte situazioni, è possibile evitare di impantanarsi nella ricerca di specifiche regole, ricerca che rallenta inevitabilmente il gioco e porta a noiosi tempi morti. Apparentemente è così ma analizziamo meglio la questione. Avere meno regole aumenta quasi sempre la discrezionalità del master e porta, inevitabilmente, alle lamentele dei giocatori. Se c’è una regola che dice che quella cosa non si può fare o che va fatta in quel modo specifico, c’è poco da fare. Una volta trovata la si applica e finisce li. Se la regola non c’è il master deve crearla. Potrà espandere una regola simile, muoversi per analogia (se è fortunato) ma resta sempre il fatto che dovrà inventarsi qualcosa. Inventare una regola può essere arduo per giocatori poco esperti (e in effetti, sulle pagine Facebook, dopo la richiesta di trucchi per rendere più forte il personaggio, la seconda questione più gettonata sono appunto consigli su come cavarsela in situazioni non disciplinate dal manuale) e resta un compito impegnativo anche per giocatori esperti. Mentre per un novizio la difficoltà è proprio nel figurarsi una soluzione, un master esperto troverà più rapidamente una regola da utilizzare ma si interrogherà sul bilanciamento di tale soluzione rispetto al sistema: quella che all’inizio sembra una buona idea potrebbe portare dei problemi in seguito. Sia come sia, qualunque regole creata dal master per l’occasione dovrà essere digerita dai giocatori, i quali, anche solo per il semplice ed egoistico fatto che tale regola è svantaggiosa per il proprio personaggio, avranno spesso da ridere in quanto “non ufficiale”. Il master ha l’autorità di gestire le regole, verissimo, ma è altrettanto vero che soluzioni non condivise dal gruppo possono alla lunga portare dei problemi e senza giocatori, sarà banale dirlo, non si gioca! Tutto questo per dire che gestire le situazioni a braccio, con un regolamento snello, fa perdere lo stesso tempo di un gioco più complesso, con regole che devi andare a cercarti durante la partita se non le ricordi. Vorrei anche aggiungere che un gioco con più regole porta, probabilmente, ad avere giocatori più competenti ed esperti a lungo andare. Nel corso della mia lunga esperienza da master con decine di giocatori diversi, mi sono accorto che i giocatori che non vogliono impararsi le regole (e sono tanti), non lo fanno neppure quando si offre loro un regolamento molto semplice. Il buon giocatore si studia le regole, tante o poche che siano; il giocatore scarso non lo fa per niente o al massimo lo fa con superficialità. Semplificare il gioco e le regole per venire incontro a questi giocatori è inutile, perché non faranno sforzi neppure in questa occasione. Con questo non voglio dire che si deve preferire un gioco con più regole. Scegliete il sistema che preferite ma sappiate che il buon giocatore non ha problemi con nessun sistema, quello pessimo lo stesso ma in maniera negativa. Il tempo risparmiato, in ogni caso, è zero.


Il tempo risparmiato dovrà pur saltar fuori da qualche parte, se vogliamo avere “più tempo per ruolare”. Forse il risparmio può venire dalla stessa interpretazione? Magari, giocare con un sistema più semplice significa anche interpretare con un sistema più semplice. In realtà non è così, interpretare un personaggio è essenzialmente la stessa cosa, sia con la 5° edizione che con Pathfinder, Gurps o Rolemaster. Quando un giocatore parla in prima o in terza persona, quando da voce al suo personaggio, non esistono regole. Non a caso, le questioni interpretative non trovano neppure spazio nei manuali di gioco: come si può dare regole all’impersonare un personaggio? Servono regole per combattere, per la magia, per le armi da fuoco ma nessun manuale potrà mai dirti come devi impersonare il tuo personaggio. In questo caso, semmai, è vero il contrario: se non ci sono regole, è facile far comportare il tuo personaggio in maniera poco coerente, secondo la convenienza. Giochi più elaborati utilizzano delle regole per tradurre in termini di gioco difetti caratteriali, regole che aiutano il giocatore a stare nei binari e a sanzionarlo nel caso ne esca a piacimento. Queste regole non sono una gabbia, perché è il giocatore stesso ad utilizzarle. Se un giocatore decide di interpretare un nano avido, è una sua libera scelta. Stabilendo quanto è difficile per il personaggio allontanarsi dai suoi difetti, in termini di regole, questi giochi aiutano il giocatore nel ricordargli i paletti di comportamento che lui stesso si è autoimposto. Decidere di essere avido e poi comportarsi volta per volta secondo il proprio comodo non è buon gioco di ruolo, ma D&D (tutte le edizioni, per rimarcare che non è un problema solo della 5°) non ha alcuna regola per gestire questa situazione. Questo è uno dei casi dove più è meglio e non è un caso di poca importanza, perché l’interpretazione è il cuore del gioco di ruolo.

C’è un solo caso dove regole più semplici possono portare un risparmio di tempo ma, ahimè, si tratta nuovamente di tempo fuori dal gioco, e cioè progettare le avventure. Quando il master si siede al tavolo e comincia a pensare all’avventura, a buttare su carta le sue idee, a scrivere le statistiche di mostri e creature, regole più snelle possono in effetti portare un risparmio di tempo. Il master sicuramente sarà felice ma l’interpretazione dei suoi giocatori non ne sarà minimamente toccata. E sul risparmio di tempo del master, ci si può chiedere a quanto corrisponda esattamente. Prendendo in esame la 5° edizione e paragonandola alla 3° o a Pathfinder, credo che ci sia un certo risparmio di tempo unicamente per ciò che riguarda la creazione dei personaggi non giocanti. E’ molto più rapido il sistema della nuova edizione rispetto a quelli precedenti ma se si tratta invece di usare mostri già fatti non cambia nulla, i manuali contengono tutto il necessario. Per quanto riguarda trappole, veleni, regole di esplorazione e altro, resta valido il discorso fatto sopra. Anche se la 5° è più semplice, spesso e volentieri mancherà la regola specifica che serve al master, per cui il tempo risparmiato verrà sprecato nel creare ciò di cui si abbisogna.

Siamo alla fine. Vi ho dimostrato come l’affermazione che la 5° edizione lasci più spazio all’interpretazione, per via delle sue regole più semplici, è una cretinata. Anche senza tutto ciò che ho scritto in questo articolo, la questione è davvero auto evidente. Pensate a tutte le partite che avete giocato: quando avete cambiato sistema di gioco, quando avete giocato a Gurps, al Richiamo di Chtulhu, a D&D, a Runequest, cosa è davvero cambiato nel vostro modo di interpretare? Nulla. Avete usato regole diverse per fare personaggi, per gestire i combattimenti, ma davvero avete giocato diverso dal solito? Quando il vostro ladro ha tentato di convincere la guardia che non stava provando a forzare quella porta ma passava di li per caso, quando il vostro marine spaziale ha tentato di convincere il comandante a seguire un piano di battaglia diverso, quando il vostro vampiro si angosciava per la perdita di umanità, cosa avete fatto di tanto diverso? Avrete tirato dadi diversi, controllato statistiche diverse ma a parte questo? Esatto, la risposta è che non è cambiato assolutamente niente (poi oh, se avete solo giocato a D&D per 20 anni senza mai cambiare o provare un gioco nuovo, è un problema vostro). Se un gioco ha regole meno complesse, l’avventura è finita prima o avete giocato più a lungo, tutto qua. La vostra interpretazione? E’ rimasta esattamente la stessa. E meno male (se era buona). Alla prossima!

2 commenti:

  1. Dipende da come la vedi.

    La facilitazione non riguarda la creazione/avanzamento del personaggio (che sono si più veloci) ma più che altro l'approcio alle Prove.

    AD&D sin dalla 2a Edizione si è portata dietro un sistema merdoso per quanto riguarda la gestione delle Skills.. con la differenza che in 2E erano opzionali mentre dalla 3E sono parte integrante del gioco.

    La 5E si porta dietro l'accorpamento già messo in atto con la 4E (che ha eliminato Skills inutili come Professione e concentrato più Skills tra loro simili) ma soprattutto meccaniche di gioco come il fail-forward che vengono MOLTO incontro all'interpretazione.

    Per ottenere la stessa semplicità con la 3E, a parità di interpretazione, devi bypassare di brutto la meccanica di gioco (la vera falla della 3E la trovi ad esempio con le Skills di Conoscenza).

    Parimenti trovo che sia più CAGATA dire che la customizzazione è maggiore in 3E, cosa affatto non vera (visto anche che nell'articolo si predica il fatto di paragonare giochi attuali a quelli passati per via del seguito.. lo stesso vale anche al contrario, vista la mole di ciarpame/splatbook che giochi più vecchi hanno).

    E, ad ogni modo, la Scatola Rossa NON è la Prima Edizione. ;)

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  2. Ciao,

    lascio un commento, spero senza fare troppa polemica. La mia storia è quella di un giocatore che ha smesso di giocare quando da AD&D si è passati alla 3a edizione e che ha ricominciato da 5 anni proprio col gioco che aveva lasciato, per poi migrare lentamente alla 5a.

    La mia opinione, che forse i giocatori moderni non riescono a comprendere, è che il punto di debolezza e di stanca di tutti i giochi concepiti dalla 3a edizione in avanti sono i poteri che si moltiplicano ogni livello.

    Ai tempi della scatola rossa, di AD&D, ma anche di Rolemaster (dove qualunque tiro si dovesse fare bisognava fare alto, come oggi giorno…mica se lo sono inventati quelli della WotC!) non esisteva questa roba da nerd hardcore. I sistemi erano, sì, più grezzi e tabellari, grandi difetti è vero (del resto avete mai viaggiato su un'auto del 1989 e controllato come è equipaggiata?), ma non si discuteva di build e abilità, robe che fanno cascare le braccia. Eravamo concentrati maggiormente sul contenuto e sul metterci a sedere a giocare alla svelta.

    Il sistema di Proficiency/Skill di D&D/AD&D prima maniera era la prova sull'abilità. Finito. Al passaggio di livello il tuo guerriero migliorava nella capacità di colpire l'avversario e nei punti ferita, con un tetto di 9D8 (D&D base) /9D10. Con la terza edizione&C. si sono dovuti inventare l’E6 per tenere a freno il regolamento.

    La differenza tra la scatola rossa e la terza edizione sta proprio in una scheda lineare con 4 informazioni essenziali ed un 730 che richiede la supervisione di un commercialista. La quinta edizione a livelli medio alti è equivalente a Pathfinder: una sbrodolata di opzioni adatte a giocatori professionisti.

    In altre parole, se metti seduti due giocatori, uno con esperienza e uno con, e li fai giocare un guerriero del 7° a D&D base (la versione Mentzer per intenderci) entrambi avranno le stesse probabilità di risultare efficaci, perché l’unica discriminante è la loro capacità di interpretare o adattarsi alle situazioni presentate dal DM. Se li si cala nei panni di un guerriero pari livello di Pathfinder o D&D 5° edizione, il giocatore esperto con buona probabilità risulterà un più valido alleato rispetto al novizio che prova a giocare per la prima volta.

    Se questa differenza non passa, allora non c’è molto altro da disquisire.

    D’altro canto le edizioni moderne sono più giocose, colorate, dettagliate. Belle per i giocatori di professione, meno efficaci per i “babbani”.
    E se una volta un qualunque guerriero poteva dire: “sfodero la mia spada prima che quello alzi l’ascia” (si risolveva con un tiro di Dex -5), oggi dovrà controllare se ha il talento “sfoderare rapido”. Insomma i poteri sono il limite della fantasia e della libertà del giocatore, che ingabbiato dal regolamento dirà invece: “tiriamo iniziativa, tanto sulla scheda non c’è scritto che lo posso fare”.

    Questa la prospettiva di un giocatore che i gdr li ha provati un po’ tutti e che non vuole negare che si può fare interpretazione anche a Warhammer, quando si gioca il 3D. Ma definire “cagata” i giochi del passato al quale semplicemente i giochi post 2000 si sono ispirati e hanno copiato a piene mani (vedi le liste degli incantesimi con descrizioni pressoché identiche) vuol dire essere un poco miopi.

    A presto!

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