mercoledì 30 dicembre 2020

Pathfinder seconda edizione: la recensione

 

Salve a tutti e bentornati su questo blog. So di avere scritto poco in questo tribolato 2020 e, per questo motivo, voglio chiudere in bellezza con un articolo dedicato ad un gioco di ruolo che farà molto parlare di se, ovvero la seconda edizione di Pathfinder. Il gioco in questione è uscito ad agosto 2019 ma in Italia, tradotto da Giochi Uniti, è arrivato solo a maggio 2020, in piena pandemia. 

  

Per chi non conosce Pathfinder, mi limiterò ad un breve riassunto: dopo i successi della terza edizione di D&D, nel 2008 la Wizard voltava pagina e proponeva la quarta edizione di questo glorioso gioco, con scarso successo di critica e di popolo. In particolare, diversi giocatori erano restii ad abbandonare un sistema di gioco, il d20 system, che aveva solo bisogno di una messa a punto, un “tagliando di controllo”, per usare un gergo automobilistico. La casa editrice Paizo si fece avanti, raccogliendo l’eredità della terza edizione di D&D e proponendo ai delusi della quarta il gioco di ruolo Pathfinder. Inizialmente, Pathfinder non era niente più di una continuazione della terza edizione e del d20 system, tant’è che in gergo era definito l’edizione “3.75”; negli anni, supplemento dopo supplemento, Pathfinder ha trovato una sua dimensione personale, caratterizzandosi per l’estrema flessibilità in sede di caratterizzazione del personaggio e per le sue Adventure Path, campagne in più episodi che offrono una storia lunga ed interessante (i maligni aggiungerebbero che la notorietà di Pathfinder sarebbe dovuta anche alla complessità del sistema: sicuramente non è un gioco per principianti ma vale la pena aggiungere, come ho detto anche in questo vecchio articolo, che nell’universo dei giochi di ruolo ci sono tendenze che ciclicamente vanno di moda, per poi essere rimpiazzate dall’opposto; in questo momento vanno per la maggiore i regolamenti semplici e così un gioco come Pathfinder viene considerato complesso, ma, in chiave storica, senza paraocchi, è un gioco di media difficoltà, ampiamente alla portata di tutti). 

La seconda edizione di Pathfinder è uscita in un momento delicato: la quinta edizione di D&D, con il suo approccio semplificato, miete un successo dietro l’altro e molti si chiedevano quale sarebbe stata la reazione della Paizo. Avrebbe snaturato il suo Pathfinder per seguire la moda, si sarebbe limitata a ritocchi di facciata oppure avrebbe cercato una misteriosa terza via? La risposta l’abbiamo ora davanti agli occhi: Pathfinder 2 è un gioco di ruolo che, partendo dall’originale d20 system, offre un sistema nuovo, ripensato da zero, con una armonia matematica impeccabile. Chi conosce il d20 system o comunque viene da giochi con classi, livelli e dadi a 20 facce, non avrà difficoltà ad ambientarsi. Questa seconda edizione, però, non è semplicemente un aggiornamento, ma rifonda il sistema da zero, assicurandosi che tutto funzioni alla perfezione. Già in Starfinder, il gioco di ruolo fantascientifico della Paizo, erano apparse delle novità che lasciavano intendere cosa avrebbe potuto essere, ma solo questa seconda edizione di Pathfinder si stacca definitivamente dal vecchio d20 system per proporre un nuovo d20 system assolutamente coerente e bilanciato. Gli elementi del gioco restano gli stessi: caratteristiche, abilità, talenti, livelli, classe armatura, ambientarsi è facile ma se si guarda con attenzione si nota subito che i numeri sono diversi e, soprattutto, non compatibili. Se avete delle vecchie avventure potete certamente usarle, ma dovrete riadattare da zero personaggi e mostri perché il sistema è cambiato. Considero la seconda edizione di Pathfinder un capolavoro: la migliore incarnazione del d20 system vista sinora e, anche nell’ambito dei giochi di ruolo high-fantasy con classi e livelli, ritengo sia (probabilmente) il migliore sul mercato.


Cominciamo dunque la recensione: il manuale è balenottero di 600 pagine e comprende tutte le regole necessarie a creare un personaggio (stirpe, classe, abilità, talenti, equipaggiamento, incantesimi), le regole sul gioco vero e proprio (combattimento, esplorazione) e regole per il GM (incontri, trappole, punti esperienza, una breve presentazione dell’ambientazione, oggetti magici). Se prendiamo D&D come pietra di paragone, il manuale di gioco di Pathfinder 2 equivale al manuale del giocatore e buona parte di quello dedicato al Game Master. Per giocare a Pathfinder 2 avrete bisogno del Bestiario (che contiene oltre 400 creature di vari livelli e potenza) e il manuale dell’ambientazione. Pathfinder è ambientato nel mondo di Golarion, un setting eterogeneo che ricorda per molti aspetti i Forgotten Realms di D&D. Esiste una linea di manuali, con la dicitura “Presagi Perduti”, dedicata interamente a Golarion; al momento in cui scrivo in Italia ne sono usciti due, l’Atlante, contenente una descrizione geografica e politica del mondo, e la Guida ai Personaggi, con ulteriori opzioni di stirpe, talenti e archetipi per i personaggi. Non è raro che un gruppo preferisca utilizzare le regole di Pathfinder con le ambientazioni di D&D, soprattutto i giocatori che hanno qualche anno sulle spalle e sono più legati ai mondi fantasy con cui hanno iniziato a giocare. Dato che Pathfinder utilizza gli stessi concetti di D&D (classi, livelli, mostri, oggetti magici etc.) la fusione tra i due mondi risulta abbastanza semplice.

Pathfinder 2 è un d20 system, per cui la risoluzione delle azioni passa attraverso l’uso del dado a 20 facce. Quando si deve compiere un’azione, il giocatore lancia il relativo dado, ci somma alcuni modificatori (bonus o penalità) e confronta il risultato finale con una Classe Difficoltà (CD) determinata dal master o dalle regole: se pareggia o supera tale valore, l’azione ha successo, in caso contrario fallisce. Questa meccanica viene utilizzata sempre, che si tratti di un tiro abilità per ricordare conoscenze o per attaccare in mischia. In caso di combattimento la Classe Difficoltà si chiama Classe Armatura (CA) e viene determinata dal tipo di armatura indossata, dal bonus di Destrezza e dalla presenza o meno dello scudo, ma la meccanica è immutata. In Pathfinder 2 c’è sempre un giocatore che tira contro una CD (che sia per attaccare, come un colpo di spada, o che sia per difendersi, come un tiro salvezza sui riflessi) e non capita mai che due giocatori, compreso il master, tirino i dadi l’uno contro l’altro. Questa è una grossa differenza rispetto a prima. Facciamo il classico esempio del ladro che vuole passare inosservato da una guardia: nelle precedenti versioni del d20 system, che fosse Pathfinder prima edizione o D&D, il ladro avrebbe tirato su Furtività e la guardia su Percezione, con il risultato più alto a decidere il vincitore. In Pathfinder 2 tira il dado una sola persona, di solito la parte che “agisce” (in questo caso il ladro), la CD bersaglio viene calcolata prendendo il bonus di Percezione della guardia e sommandoci 10 (che rappresenta, come è evidente, il risultato medio del d20). Oltre ad evitare un tiro di dado in più, questo sistema di calcolo rende uniforme il gioco: la Classe Armatura e la CD degli incantesimi è sempre stata calcolata in questo modo, ma per le abilità si è invece fatto ricorso al tiro di dado in opposizione. Capire come funziona la meccanica di risoluzione delle azioni è il primo passo, il secondo è capire come è stato rifondato il sistema dei modificatori, che è poi il punto dove, a livello matematico, Pathfinder 2 si distacca dalle altre versioni del d20 system. In questo gioco viene utilizzato un sistema di competenze: il personaggio può essere non addestrato in un compito (utilizzando solo il bonus di caratteristica), oppure essere addestrato/esperto/maestro/leggendario in una certa attività, ottenendo un bonus pari al suo attuale livello del personaggio più 2/4/6/8 rispettivamente. Se considerate che questa meccanica si adopera per TUTTO (competenza nelle armatura, nelle armi, negli incantesimi, nelle abilità, etc.) dovreste avere un’idea della grande differenza che passa rispetto alle vecchie edizioni. I vecchi d20 system prevedevano dei sistemi di crescita del bonus di attacco, dei tiri salvezza, della CD degli incantesimi e della Classe Armatura che erano diversi l’uno dall’altro. In Pathfinder 2 tutti i bonus crescono alla stessa maniera, quindi sono direttamente confrontabili in termini di potere. Oltre a questo, dato che ogni livello di competenza permette di sommare l’attuale livello del personaggio, vi troverete con dei bonus numericamente superiori alle vecchie edizioni.

 


Recensire un manuale di 600 pagine in maniera minuziosa richiederebbe un articolo lungo almeno la metà. Questa recensione da per presupposta una vostra conoscenza minima non solo del gioco di ruolo ma anche del d20 system, motivo per cui vorrei limitarmi, a questo punto, a focalizzare la mia attenzione su due grosse novità introdotte con questa edizione. La prima, molto apprezzata, è il sistema delle tre azioni in combattimento. Ogni personaggio o creatura, all’inizio del proprio round, riceve tre azioni, che può utilizzare per compiere qualunque tipo di mossa, senza limitazione alcuna, salvo appunto il fatto di averne tre. Un personaggio potrebbe muoversi (1 azione), estrarre un’arma (1 azione) e sferrare un attacco (1 azione) oppure potrebbe colpire tre volte di seguito (1 azione per ogni attacco). Esistono delle attività che costano un numero maggiore di azioni, come gli incantesimi, che in genere costano 2 azioni. Oltre alle 3 azioni, il personaggio riceve 1 reazione, come parare con lo scudo o fare un attacco di opportunità, e infinite azioni gratuite. La parata con lo scudo è una delle piccole innovazioni di questa edizione: non solo lo scudo deve essere attivamente alzato (al costo di 1 azione) per fornire il suo bonus alla Classe Armatura ma, in aggiunta, è possibile spendere la propria reazione per parare attivamente, cioè ridurre i danni di un attacco. Interessante è anche il fatto che non tutte le classi hanno accesso alle stesse reazioni: solo il guerriero possiede l’attacco di opportunità, così come solo il campione possiede la parata con lo scudo. Questa personalizzazione non mi dispiace, soprattutto riguardo all’attacco di opportunità: il fatto che nelle precedenti versioni del d20 system fosse a disposizione di tutti, rendeva gli scontri di fatto statici, perché una volta giunti in mischia nessuno tentava azioni di movimento per non rischiare l’attacco. In Pathfinder 2 solo i guerrieri e alcuni mostri hanno questa possibilità, quindi il movimento tattico viene salvaguardato, rendendo il campo di battaglia più fluido. Torniamo un attimo al sistema delle tre azioni: come ho scritto, è possibile attaccare fino a tre volte nello stesso round, e questo già dal 1° livello. Anche questa è una grossa novità, dato che le vecchie edizioni legavano la possibilità di attacchi multipli al Bonus di Attacco Base e, quindi, al livello del personaggio. In Pathifinder 2 chiunque può usare le proprie azioni come meglio crede e può farlo sin da subito. Questo non significa però che ogni attacco ha le stesse possibilità di andare a segno: la penalità da attacco multiplo stabilisce che il secondo attacco venga portato con -5, mentre dal terzo in poi la penalità arriva a -10. Dato che il bonus di competenza vale sia per l’attacco che per la difesa, la penalità da attacco multiplo rende difficile andare segno dal secondo attacco in poi, i giocatori sono spinti a cercare un uso più produttivo delle proprie azioni. La penalità da attacco multiplo si riduce per armi agili e per talune classi come il monaco o il ranger, rendendo queste ultime le specialiste degli attacchi a raffica.

La seconda grossa novità portata da Pathfinder 2 è nella gestione dei colpi e dei fallimenti critici. Se il vostro personaggio, con la sua prova, supera la CD di 10 o più, mette a segno un successo critico. Questo significa che in combattimento, se il vostro tiro di attacco supera la Classe Armatura di 10+, è critico e raddoppiate i danni! Questo sistema è rivoluzionario: nelle altre edizioni o in giochi simili come D&D 5, anche se siete di 20° livello e il vostro nemico è un infimo coboldo, potete fare un critico solo tirando 20 sul dado, quindi la possibilità di fare critico non solo non aumenta con il livello, ma è del tutto casuale. In Pathfinder 2, chi è di livello maggiore ottiene una percentuale crescente di mettere a segno un colpo critico (ricordate? Con la competenza il livello del personaggio si somma a tutte le azioni, quindi, ove la disparità si fa evidente, le cose si notano!) e di spazzare via con più facilità nemici di livello inferiore; in maniera speculare, i personaggi corrono un bel rischio quando affrontano un nemico molto potente, un utile deterrente contro la tendenza a cercare sempre e comunque lo scontro. Ottenere 20 sul dado, in Pathfinder 2, aumenta il livello di successo del vostro tiro di un grado, quindi un successo diventa un successo critico, e un fallimento diventa un successo. Il fallimento critico funziona in maniera analoga e contraria, e avviene quando il vostro tiro è inferiore alla CD richiesta di 10 o più, con l’1 naturale che abbassa il vostro livello di successo/fallimento di un grado automaticamente. Il fallimento critico in combattimento non ha un significato speciale di suo (salvo mancare l’attacco, ovviamente), ma esistono molti poteri dei nemici che si attivano quando fallite criticamente, poteri decisamente spiacevoli per il povero personaggio. Al di fuori del combattimento, per esempio nel campo delle abilità, le conseguenze di un fallimento critico sono descritte da regole specifiche o improvvisate dal Master.

 

Se prendete questo regolamento assolutamente solido, completo, bilanciato e matematicamente ineccepibile e vi aggiungete un sistema di personalizzazione del personaggio che non ha eguali fra i giochi d20 system (e simili, come ad esempio D&D 5), capirete perché penso che questa edizione di Pathfinder non solo ha fatto centro ma non ha rivali nel suo ambito. La faccenda della personalizzazione è importante e vale la pena spenderci due paroline al volo. Un personaggio di Pathfinder è la somma di vari elementi, come la stirpe, il background e la classe ed ognuno di essi offre delle scelte uniche. Prendiamo la stirpe: a parte determinate caratteristiche base uguali per ogni membro di una certa razza (come la velocità, la lingua, l’eventuale visione notturna etc.), tutti gli altri “poteri” sono a scelta e messi insieme formano una sorta di “albero” di talenti che, a seconda di quali vengono scelti, possono specializzare il personaggio in un campo piuttosto che in un altro. Per fare un esempio, se scegliete di giocare un nano, potrete scegliere di avere occhio per porte e passaggi segreti, oppure un forte odio per gli orchi, oppure essere bravi a lottare contro creature più grandi di voi, etc. Ogni decisione fa da requisito a future scelte che avverranno in futuro, con l’aumentare del livello. Per la classe si può fare lo stesso discorso, ma con ampiezza ancora maggiore: ogni tot livelli il giocatore deve scegliere un talento di classe (posseduto solo da quella specifica classe e non dalle altre) che lo rende unico e diverso anche da altri membri della stessa classe. Un campione può specializzarsi nella distruzione di non morti, un altro nell’affrontare diavoli e demoni, uno può preferire i talenti che potenziano lo scudo e la difesa, mentre un altro può prediligere le scelte offensive. Esistono anche talenti generici aperti a tutte le classi, ma in genere riguardano il miglioramento delle abilità e non le capacità uniche di classe.

La seconda edizione di Pathfinder si presenta come un gioco di ruolo completo, ragionato, solido a livello di meccaniche, che offre ai giocatori tutto ciò che serve per creare un personaggio unico, non solo come idea ma anche a livello di regole e poteri. E’ possibile divertirsi a creare innumerevoli “build”, combinazioni di stirpi e classi sempre diversi, ma il sistema supporta anche il giocatore che non vuole starci a pensare troppo, assicurando che in ogni caso il personaggio sia competitivo e bilanciato con gli altri membri del gruppo. Il nuovo sistema delle tre azioni, dei colpi critici e la semplice meccanica di risoluzione degli eventi fa sì che il gioco al tavolo sia scorrevole. Se cercate un sistema solido e dettagliato, se volete personaggi unici e vi divertite a combinare poteri e talenti, se cercate qualcosa di nuovo ma senza allontanarvi troppo dai sistemi che già conoscete, se la banalità della 5° edizione di D&D vi ha stufato, Pathfinder 2 è la scelta giusta per voi!

mercoledì 23 settembre 2020

Evoluzione e confini del gioco di ruolo

 

C’è una teoria secondo cui ogni movimento musicale finisce, prima o poi, per tracciare i propri confini. Questa teoria, a ben vedere, può essere applicata anche al gioco di ruolo: tanto più ci si allontana dal concetto originale, tanto più c’è il rischio che si finisca per fare “altro”. Se usate travestimenti, armi in lattice e finite a picchiarvi in un bosco, state facendo gioco di ruolo dal vivo (anche noto come LARP, Live Action Role-Play). Se muovete un personaggio sullo schermo di un computer, eventualmente insieme a dei compagni, con una intelligenza artificiale a far girare il tutto, state giocando ad un video gioco, probabilmente un MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game). Se state spostando la pedina di un eroe fantasy in un labirinto di tasselli di cartone, via via costruito da un master, e l’unica cosa che fate è tirare dadi e giocare carte incantesimo, probabilmente state facendo un gioco da tavolo in stile “dungeon crawler”[1]. Se state su un palcoscenico a declamare versi di Shakespeare … beh, state facendo teatro e non gioco di ruolo!

Tutto questo per dire che il gioco di ruolo tradizionale, cioè quello che si fa intorno ad un tavolo, con un master, schede del personaggio, dadi, talvolta miniature e tanta, tanta fantasia, ha dei confini ben precisi e smette di essere tale se portato in altri contesti o se si ibrida troppo con altri media. Questo non vuol dire che il gioco di ruolo non abbia conosciuto un’evoluzione, basta prendere in mano il D&D scatola rossa ed un qualsiasi gioco recente per rendersene conto. Ma che tipo di evoluzione ha affrontato il gioco di ruolo tradizionale[2]? Una partita oggi è uguale ad una di ieri? Che ruolo hanno avuto le nuove tecnologie, in particolare internet, sul gioco di ruolo? Le risposte a queste domande le troverete alla fine dell’articolo ma per capirle ed arrivarci con cognizione di causa, è necessario fare prima un salto nel passato.

 


Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo …

… nasce nel gennaio del 1974, dalla feconda unione delle idee di Dave Arneson e Gary Gigax. Ripercorrerne la nascita nei dettagli va oltre lo scopo di questo articolo. Basti dire che Gary Gigax porta al neonato gioco di ruolo le regole di base vere e proprie, come tiri per colpire, classe armatura e punti ferita; Dave Arneson porta l’ambientazione, il concetto di master e di personaggi individuali. Per avere Dungeons & Dragons come lo conosciamo noi, però, manca ancora un’intuizione finale, che viene da Dave Arneson, ovvero che i personaggi usati dai giocatori e ancora vivi alla fine della sessione sarebbero stati riutilizzati nell’avventura seguente, mantenendo tutto ciò che avevano guadagnato e diventando un po' più forti: in poche parole, lo sviluppo e la crescita del personaggio. Il primo gioco di ruolo della storia contiene tutti gli elementi che lo differenziano da altri giochi, elementi presenti ancora oggi e che, anticipando un po' le conclusioni, sono stati raffinati, sgrezzati, migliorati ma sempre gli stessi son rimasti, senza che molto altro vi si aggiungesse.

 


L’arrivo degli altri giochi di ruolo e il costante perfezionalmento

Dungeons & Dragons è stato il primo gioco di ruolo e anche una figata assoluta, niente da dire, ma come avviene spesso per gli esordi, il meglio deve ancora venire. Credo che nessuno pensa che il primo film della storia, in bianco e nero e senza audio, sia stato anche il migliore di tutta la storia del cinema semplicemente perché il primo, sbaglio? D&D apre una porta di meravigliose possibilità, che saranno altri giochi ad esplorare compiutamente. RuneQuest (1978) è il primo gioco di ruolo ad introdurre le abilità, Rolemaster (1980) il primo ad introdurre i colpi critici, Champions (1981) introduce un sistema a punti per la creazione del personaggio, GURPS (1986) è il primo gioco di ruolo universale, Ars Magica (1987) prima e Vampiri: La Masquerade (1991) dopo introducono lo storytelling, Cyberpunk (1988) introduce il background del personaggio, Amber (1991) è il primo gioco di ruolo senza dadi, Cani nella Vigna (2014) inizia a trasferire il compito e l’autorità del master ai giocatori.

Per quanto riguarda le ambientazioni, Traveller (1977) è il primo gioco di ruolo di fantascienza, Il Richiamo di Cthulhu (1981) il primo gioco horror, Kata Kumbas (1984) è il primo sistema italiano (in tutto e per tutto, dato che si allontana dalle ambientazioni fantasy “nordiche” per un approccio più in stile Brancaleone), Warhammer Fantasy Roleplay (1986) indica la via inglese al gioco di ruolo, introducendo tematiche crude e oscure che andranno assai di moda in futuro. Potrei continuare questa lista per parecchio[3], specificando dove e quando certe novità sono state introdotte, novità che probabilmente ad un giocatore di oggi sembrano scontate (ma davvero una volta non c’erano le abilità? E non si poteva fare un nano bardo, esisteva solo “il nano”? ebbene si!) ma è inutile, credo abbiate capito il discorso. Lo stesso D&D, tramite Advanced Dungeons & Dragons e poi le successive edizioni, ha cercato di migliorarsi e di innovare.

 


Il gioco si rompe (parte uno): i giochi indie e D&D 4

“Tutto ciò che ha un inizio ha una fine” dice l’Oracolo in Matrix Revolutions, e sebbene abbia messo questa citazione per fare il figo, è innegabile che la marea inarrestabile di nuovi giochi, innovazioni e modifiche prima o poi giunga alla fine. Quando ciò accade, quando i confini del gioco di ruolo si sono estesi a dismisura, quando le regole sono diventate estremamente complesse, è inevitabile una reazione.

La prima reazione arriva dai giochi cosiddetti “indie”. E’ difficile darne una definizione compiuta, chiaramente il termine “indie” si riferisce al fatto che non si tratta di giochi mainstream ma questa è un’ovvietà. Gli autori di questi giochi hanno compiuti degli studi specifici sulle dinamiche che si sviluppano al tavolo di gioco, sulle aspettative dei giocatori e la loro soddisfazione. Queste indagini mettono a nudo determinate pecche nei giochi di ruolo più famosi[4] e tentano di porvi rimedio con giochi piccoli, snelli, intelligenti e molto dedicati[5]. Quello che si può dire sui giochi indie è che sono “intellettualmente interessanti” ma difficilmente hanno la possibilità di sfondare presso il grande pubblico ed infatti così è stato, chi si aspettava che il futuro del gioco di ruolo potessere essere portato avanti dai giochi indie si è dovuto ricredere in fretta (lo vedremo poi).

Un’altra reazione è stata quella di ibridare il gioco di ruolo con meccaniche tipiche dei giochi di ruolo al computer. Gli sviluppatori di D&D 4° edizione devono essersi detti “ehi, questo nuovo D&D verrà giocato soprattutto da giovani video-giocatori, veniamogli incontro”, ed hanno introdotto cose come poteri a volontà, ad incontro e giornalieri che sono tipici dei videogiochi. Hanno creato “combo” fra i poteri delle classi per replicare le sinergie fra i personaggi sullo schermo e hanno addirittura sostituito il calcolo delle distanze in metri con i “quadretti” tipici di una mappa, perché D&D 4° doveva essere giocato usando mappe e miniature. Ora, io voglio essere buono e riconoscere agli sviluppatori della 4° edizione che ci hanno provato, hanno tentato di proporre qualcosa di nuovo. C’è chi preferisce non rischiare e ripresentare la stessa edizione con modifiche minime anno dopo anno, tipo la Chaosium con “Il Richiamo di Cthulhu”; invece no, questi signori ci hanno davvero provato a fare qualcosa di nuovo. Purtroppo gli è andata male, il mercato ed i fan hanno decisamente bocciato questa edizione; il problema è che quando è Dungeons & Dragons a fare flop, tutto il settore ne soffre, ed infatti le cose sono andate malino tra il 2008 e il 2014, gli anni in cui fu attiva questa edizione. Personalmente non ho gradito la 4° edizione, non si confaceva al mio stile di gioco ma non posso dire che facesse schifo in senso assoluto. Purtroppo i fan di un gioco di ruolo (o di qualunque altra cosa nerd) sono molto chiusi e poco propensi alle novità, si arroccano su posizioni conservatrici senza neanche tentare di capire, e questo è uno dei motivi, se non IL motivo per cui la 4° edizione fu sostanzialmente un insuccesso.[6]

 


Il gioco si rompe (parte due): D&D 5° edizione ed il ritorno alle origini

La terza reazione possibile all’aumento della complessità è, ovviamente, un ritorno alle origini e alla semplicità dei primordi, esattamente ciò che è avvenuto con D&D 5°, una edizione che esteticamente si rifà alla 3°, sfrondando e semplificando tutto quello che si poteva togliere senza togliere la riconoscibilità del prodotto. Mentre tutto ciò che era anni ’80 torna di moda, grazie a serie TV come Stranger Things e The Big Bang Theory, anche il gioco di ruolo, tipico di una cultura marginale nerd, finisce sotto ai riflettori e, complici le nuove tecnologie come Internet, YouTube e Twitch, diventa popolare come mai prima d’ora. I giovani di oggi sono curiosi di provare questo gioco tipico degli anni ’80, i fan di vecchia data che l’avevano abbandonato tornano in massa, sedotti da questa nuova-vecchia edizione, mentre gli appassionati che non hanno mai smesso di giocare si trovano un po' spaesati, ma tutto sommato contenti di questa improvvisa popolarità. Il gioco di ruolo torna sulla cresta dell’onda e insieme a D&D escono le nuove edizioni di tutti i vecchi giochi una volta famosi (Il Richiamo di Cthulhu, Vampiri, Warhammer, Cyberpunk), desiderosi anche loro di reclamare un po' di fama e attenzioni.

Il ritorno alle origini ed alla semplicità prende anche altre strade: da una parte vengono pubblicati dei giochi di ruolo che altro non sono se non aggiornamenti e ristampe delle primissime edizioni di Dungeons & Dragons; dall’altra, nascono nuovi giochi che, pur rifacendosi allo stile di gioco tipico delle origini (poche opzioni, alta mortalità, semplicità), propongono però dei regolamenti nuovi, originali, in una parola “moderni”. Questi giochi (uno per tutti il bellissimo “Forbidden Lands” della Free League) non si limitano a giocare di sponda con l’effetto nostalgia, ma utilizzano la semplicità come un’arma, un modo per proporre qualcosa di nuovo, riuscendo a coniugare in maniera interessante meccaniche snelle e veloci con un gioco profondo e pieno di opzioni. Insomma, in questi giochi, semplicità non significa banalità (un rischio sempre in agguato in questi casi).

 


Streaming e tecnologia

Ho già accennato al ruolo della tecnologia nella rinascita del gioco di ruolo ma è il caso di dare uno sguardo più approfondito. Prima dell’avvento di internet e dello streaming, per farsi un’idea di cosa fosse una partita di ruolo c’era una sola possibilità: trovare un gruppo già formato ed assistere, un’impresa non facile, sotto vari punti di vista[7]. Innanzitutto il gioco di ruolo è un hobby di nicchia, cercare un gruppo o crearne uno da zero è sempre stato un problema, soprattutto nelle piccole realtà territoriali. Seconda cosa, il gioco di ruolo ha sempre avuto una fama “da sfigati”, per quale motivo una persona avrebbe dovuto rischiare la propria vita sociale andando alla ricerca di altri disadattati? Terzo, l’esperienza concreta poteva rivelarsi insoddisfacente o lontana dalle aspettative, allontanando per sempre il potenziale giocatore, senza poter sapere se fosse stato semplicemente sfortunato[8] o se più semplicemente il gioco di ruolo non era ciò che andava cercando. Con l’arrivo di internet, e in particolare di canali come Twitch, dove i gruppi mettono in streaming le loro partite, le cose sono cambiate drasticamente. Innanzitutto, farsi un’idea di cosa fosse un gioco di ruolo è diventata un’operazione a portata di clic e non una ricerca esoterica. Secondo, chiunque, e intendo dire davvero chiunque, non solo i wannabe nerd, hanno potuto scoprire cosa fosse il gioco di ruolo: grazie a serie TV come Stranger Things e The Big Bang Theory migliaia di persone si sono interessate a questo hobby, persone che mai in mille anni si sarebbero potute imbattere nel gioco di ruolo hanno invece scoperto la sua esistenza e come fosse una vera partita. Infine, la presenza di canali come Critical Role hanno portato il gioco di ruolo ad essere qualcosa di più da una semplice partita in cantina con gli amici, ma un vero e proprio prodotto di intrattenimento, fruibile anche da chi non avesse intenzioni di giocare.

Il ruolo della tecnologia nel gioco di ruolo non si è limitato a fare da porta di ingresso per futuri giocatori, ma ha fornito un supporto attivo al gioco vero e proprio. Ci sono app che permettono di lanciare i dadi, schede editabili in pdf, manuali in pdf comodamente trasportabili dentro un cellulare o un tablet, che evitano al master di portarsi nello zaino tutta la libreria di casa. Ci sono programmi come Role20 che permettono alle persone di giocare in remoto e scusate se è poco! Uno dei grossi problemi dei giocatori che abitano lontano dalle grandi città è proprio la mancanza di gente con cui giocare. Grazie alla rete, migliaia di giocatori hanno potuto mettere su un gruppo e giocare: amici separati dalla distanza e dagli impegni di ogni giorno si sono trovati davanti ad uno schermo e ad una webcam per continuare a giocare[9].

 


Una nuova età dell’oro

Negli anni ’80 i giochi di ruolo vissero il loro momento dorato, nuovi titoli uscivano in continuazione mentre i regolamenti si perfezionavano costantemente. Anche se non sono mancati altri periodi di intensa produzione e di vendite eccellenti, non si è più tornati alle vette di quei primi tempi, i giochi di ruolo non tornarono mai ad essere popolari come allora … fino ad oggi! Grazie a serie televisive, ad internet, allo streaming ed alla forza propulsiva di un titolo come la 5° edizione di D&D, il gioco di ruolo è tornato popolare, anzi, lo è in una maniera del tutto nuova. Il gioco di ruolo si è scrollato di dosso quella patina di sfiga e repulsione che ha avuto negli anni passati, non è più il rifugio di nerd asociali ma un prodotto mainstream, figo, alla moda, adatto anche al gentil sesso[10]. Due domande sorgono spontanee: è un fenomeno duraturo? A chi va il merito di questo boom?

Per quanto riguarda la prima domanda, non avendo una palla di vetro o poteri divinatori, non posso rispondere con certezza. Quello che si può dire, avendo anche un occhio al passato e a come va il mondo, è che tutte le mode hanno il loro tempo, ogni corrente scorre impetuosa per poi defluire. Non solo i giochi di ruolo hanno beneficiato di questa attenzione, anche i giochi di tavolo e più in generale vari aspetti culturali un tempo riservati ai nerd. Arriverà un giorno, speriamo non troppo presto, in cui l’attenzione di sposterà su qualcos’altro, oggi è toccato agli anni ’80, domani toccherà ai ’90 o qualcos’altro, inutile illudersi che durerà in eterno ma godiamocela finché dura.

Per ciò che attiene alla seconda domanda, se vedete bene vi ho già dato un indizio: non solo i giochi di ruolo sono stati beneficiati da questa attenzione mainstream ma un po’ tutto quello che tocca tematicamente gli anni ’80. La 5° incarnazione di D&D è una buona edizione ma non si vede come avrebbe potuto fare da sola ciò che non è riuscito alle altre, ossia riportare il gioco di ruolo ad una nuova età dell’oro. Il merito, pertanto, va al periodo storico e alla tecnologia di oggi: senza Twitch, YouTube, Critical Role, Role20 e soprattutto senza serie come Stranger Things, The Big Bang Theory, Games of Throne, il gioco di ruolo sarebbe rimasto lì dove è sempre stato, in un angolino insieme ai suoi affezionati e poco numerosi giocatori nerd.

 


Si tirano le somme

Penso che ora siamo pronti a rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio dell’articolo. Ve le ricordo per comodità, così non dovete andare all’inizio del pezzo e poi tornare qua: che tipo di evoluzione ha affrontato il gioco di ruolo? Una partita oggi è uguale ad una di ieri? Che impatto hanno avuto le nuove tecnologie, in particolare internet, sul gioco di ruolo?

Il gioco di ruolo si è evoluto sostanzialmente raffinando i concetti originari, studiando varianti di regolamento, a volte inseguendo il maggior realismo possibile, più spesso cercando di coniugare semplicità e giocabilità. I vari regolamenti succedutisi nel tempo hanno cercato di offrire al gusto dei giocatori tutto ciò che potevano, ognuno scavandosi la propria nicchia di mercato. Chi cercava flessibilità nella creazione del personaggio, chi cercava un gioco di ruolo il più possibile “plug and play” (passatemi l’analogia), chi del regolamento proprio non gliene fregava nulla e voleva solo interpretare, chi desiderava una narrazione collettiva, senza distinzione fra giocatori e master, i titoli usciti hanno accontentato ogni possibile palato. Può stupire i giocatori di ruolo odierni che sembra cerchino soprattutto la semplicità, ma i giochi di ruolo del passato erano mediamente più complessi (non più difficili, attenzione). A partire dalla semplicità del D&D originario, ogni gioco uscito dopo ha cercato di aggiungere qualcosa per portare i giocatori dalla sua parte: colpi critici, tabelle per il background, niente classi né livelli, punti personaggio etc. Quando si è raggiunto l’apice, si è visto il fenomeno inverso, i giochi facevano a gara nel togliere qualcosa, per snellire il regolamento, fino ad arrivare a D&D 5°, che è un po’ la summa del tipo di gioco che si cerca adesso: semplice, veloce e soprattutto idoneo ad andare in streaming.

La tecnologia ha molto aiutato il gioco di ruolo ma, in definitiva, non ne ha mutato la natura. Le app e i programmi dedicati aiutano i giocatori in molte maniere, ma senza sostituirsi al gioco o alterarne l’essenza base. Prendiamo Roll20, il programma dedicato a far giocare le persone a distanza: esso è concepito per replicare on-line la partita che si svolge al tavolo, sostituendo il cartaceo dove necessario ma senza diventare un videogioco. Facciamo un altro esempio e restiamo ad una normale partita al tavolo: ogni giocatore può avere un tablet con la scheda del personaggio, usare l’app al cellulare per tirare i dadi, il master può avere i suoi manuali su pdf così come l’avventura e, se è un gruppo davvero estremo, possono anche avere un tavolo con incorporato uno schermo dove viene proiettata la mappa con le miniature (anche queste virtuali). Ebbene, pure con tutti questi supporti che di fatto azzerano il cartaceo e la componente fisica[11], il gioco che si svilupperà al tavolo sarà in ogni caso una normalissima partita, con il master che parla, descrive, gesticola e i giocatori che fanno altrettanto. Tutto si è evoluto, i regolamenti, le tecniche narrative, i supporti di gioco ma una partita di ruolo di oggi si svolge più o meno come una di ieri.

 

Post Scriptum: inclusività e sensibilità moderna

Anche se una partita di oggi è grossomodo simile ad una di ieri, il mondo di oggi non è certamente quello di ieri. Nuove sensibilità e nuove tematiche si sono affermate nella società odierna, tematiche che si possono sintetizzare utilizzando un termine oggi molto di moda, ovvero inclusività. Anche se il gioco di ruolo è un esercizio di fantasia, le persone che vi giocano sono assolutamente reali e la loro identità e personalità devono essere tutelate in ogni momento, anche durante il gioco. 

Non è questo il momento o il luogo ideale per affrontare questo tema così vasto e complesso, per cui mi limiterò a due semplici osservazioni. Il gioco di ruolo deve essere inclusivo, e certamente lo è, perché chiunque può giocarvi. Non deve necessariamente esserlo l’ambientazione, perché si tratta di mondi di fantasia che non hanno l’obbligo di conformarsi alle aspirazioni del mondo reale.



[1] I giochi da tavolo “dungeon crawler” tentano di replicare la tipica esperienza di un gioco di ruolo fantasy, ovvero l’esplorazione di un labirinto sotterraneo pieno zeppo di mostri, ma senza la componente interpretativa che è tipica di quest’ultimo.

[2] Cioè quello da tavolo. Lo specifico per l’ultima vota: in questo articolo mi riferirò sempre e solo al gioco di ruolo da tavolo, se non utilizzo altri aggettivi.

[3] Che ad essere onesti ho preso dal libro “La Stanza Profonda” di Vanni Santoni, un bellissimo libro di narrativa sul gioco di ruolo, che consiglio a tutti. La lista era già li bella pronta per essere presa, senza doversi smazzare a fare mille ricerche su Google…grazie Vanni!

[4] Un esempio stupido ma efficace: se Vampiri: la Masquerade è un gioco dove l’interpretazione e la narrazione devono farla da padrone, perché quasi tutti i poteri disponibili ai personaggi servono a menare?

[5] Con il termine “dedicato” intendo che con un gioco di ruolo indie puoi giocare strettamente a ciò che ti propone il gioco, per via delle sue meccaniche particolari, ma a niente altro, non può essere esteso oltre lo scopo originario. In D&D puoi fare tutte le campagne fantasy che vuoi, con i giochi indie puoi fare solo quello che ti propone il titolo. E’ un po' come se volessi usare un gioco da tavolo per fare un altro gioco, semplicemente non funziona.

[6] La contro-prova l’abbiamo con il fatto che la 5° edizione, un successo editoriale pazzesco, è stata sviluppata da alcuni degli stessi designer della 4° edizione, ne mantiene diverse caratteristiche (le peggiori) però alla Wizards furono abbastanza furbi da non toccare tutto il resto, lasciando esteticamente intatti i concetti chiave di D&D.

[7] A dire la verità c’era sempre la possibilità di vedere il film “Astropia”, che presta il nome a questo blog, ma stiamo parlando di un film islandese del 2007. Quindi per tutti i nati prima del 2007 o con scarse conoscenze dell’islandese, direi che c’è poca speranza!

[8] Oh, gente che gioca di merda esiste sempre!

[9] Pensate per un un attimo al boom delle partite online durante il periodo del lockdown per capire quanto sia importante la tecnologia nell’ambito del gioco di ruolo. Grazie a Role20 e programmi simili, ho potuto continuare a giocare di ruolo e tenere insieme il gruppo e la campagna quando era fisicamente impossibile vedersi! Senza contare il supporto settimanale quando posso mettere online un singolo giocatore assente perché lontano dal luogo di gioco.

[10] Intendiamoci: lo è sempre stato, il gioco di ruolo è per tutti ma sarebbe anti-storico negare che la componente femminile nei gruppi dei giocatori (prima del momento attuale) è stata perlopiù marginale.

[11] Un azzeramento che nei fatti, salvo per le partite completamente on-line, non esiste, perché la componente fisica del gioco di ruolo entra nel piacere stesso del gioco. Il feticismo e il collezionismo del giocatori verso i loro dadi è leggendario, così come il piacere di cercare (e dipingere) la miniatura che rappresenta meglio il proprio personaggio. Mappe, matite, gomme da cancellare, dadi, miniature, sono un supporto al gioco esattamente come la sua controparte tecnologica.