mercoledì 19 settembre 2012

Kult, Oltre il Velo




 Questa estate, appena prima di partire per le vacanze, mi sono ripromesso di dare un’occhiata a quei manuali comprati durante l’anno che stavano a prendere polvere sugli scaffali. L’impresa (perché di questo si trattava) è miseramente fallita, ma almeno un paio sono riuscito a leggerli per davvero: “Sulle Tracce di Cthulhu” e “Kult, Oltre il Velo”. Del primo ne parlerò in futuro; del secondo voglio invece occuparmene subito, poiché l’ho finito di leggere proprio in questi giorni e ce l’ho ancora bello fresco in memoria.

Ho comprato Kult a Lucca 2011, e dopo cercato in rete un pò di informazioni, ho capito di aver acquistato la 3° edizione, che la Raven aveva appositamente ristampato per la fiera. A parte sapere della sua esistenza, non conoscevo nulla di Kult, credevo fosse un gioco di stregoneria moderna tipo Witchcraft, e così non me lo sono lasciato sfuggire. Le aspettative si sono rivelate giuste soltanto a metà, come vedremo subito. L’ambientazione di Kult è cupa e claustrofobica, il mondo che vediamo intorno a noi non è altro che una prigione creata dal Demiurgo (praticamente Dio) per tenere l’umanità in catene e privarla del suo retaggio divino. Oltre la realtà dei sensi si annidano orrende creature che ci fanno da carcerieri. Ben celata agli occhi del mondo, la magia esiste e viene praticata da occasionali stregoni o da culti segreti. C’è un qualcosa nell’ambientazione e nelle creature che la popolano che mi ricorda Clive Barker, il che (personalmente) è una bella cosa. Ed ecco perché Kult si differenzia da un gioco come Witchcraft: la componente horror è più marcata, e non esistono sette benevole di magia che aiutano l’umanità nella lotta contro gli orrori nascosti del mondo.

Kult propone un sistema basato sul dado a venti facce (occhio però, non è il d20 system della Wizards!); il giocatore deve ottenere un punteggio pari o inferiore dell’abilità o caratteristica che sta testando, mentre il margine di successo indicherà quanto bene è riuscita l’azione; il master può addirittura richiedere un certo margine minimo per dichiarare l’azione riuscita. La creazione del personaggio non fa uso di dadi, ogni giocatore ha un certo numero di punti da spendere, in primis sulle Abilità (caratteristiche primarie tipo Agilità, Forza, Ego, etc.), quindi sulle Capacità, ovvero le conoscenze del personaggio, come le arti marziali, l’uso del computer, e via dicendo. Esistono inoltre alcune Abilità secondarie (es. movimento, numero di attacchi, etc.) che derivano direttamente dalle Abilità primarie, tramite alcune semplici formule matematiche. Per completare il personaggio, il giocatore deve scegliere alcuni Vantaggi (che costano punti) e alcuni Svantaggi (che invece ti danno punti), un po’ come in GURPS. Una cosa abbastanza originale è la caratteristica dell’Equilibrio Mentale, che rappresenta la tempra mentale del personaggio. Se il saldo fra i punti acquisiti dagli Svantaggi e quelli spesi nei Vantaggi è positivo, lo stesso sarà per l’Equilibrio Mentale del personaggio. Se il saldo, viceversa, sarà negativo, l’Equilibrio Mentale del personaggio sarà deficitario. 

Il combattimento viene sviluppato su appena una decina di pagine ed è abbastanza semplice. Il round di combattimento è diviso in 3 fasi di azione; in ogni fase, in ordine di iniziativa (che va determinata ogni round), ogni partecipante allo scontro può utilizzare un’azione. Personaggi molto veloci, che dispongono di 3 o più azioni, potranno partecipare ad ogni fase del combattimento; quelli più lenti dovranno invece saltare alcune fasi … e confidare molto nella fortuna! Si lanciano i dadi sulla rispettiva Capacità marziale per colpire; il margine di successo (oltre a servire da parametro per manovre difensive come la parata o la schivata) aiuta anche a determinare il danno inflitto. Il bonus al danno che si ricava dal tiro per colpire viene sommato alla capacità di infliggere danni dell’arma, oltre all’eventuale bonus per la forza del personaggio. Il totale ottenuto va controllato su una tabella, dalla quale si ricava il tipo di ferita (escoriazione, ferita leggera, grave o mortale) che viene inflitta. In Kult i personaggi non hanno generici punti ferita, bensì la capacità di resistere ad un certo numero di ferite (di gravità variabile), in base al loro punteggio di Costituzione. Man mano che le ferite si accumulano, lo status del personaggio peggiora; ad esempio, un certo numero di escoriazioni si tramutano in una ferita leggera; le ferite leggere, a loro volta, si convertono in una ferita grave, e così via. Alla prima ferita mortale un personaggio è spacciato; se però tale ferita è il risultato della conversione di ferite più leggere, c’è ancora la possibilità di salvarlo tramite pronto soccorso. Metà del manuale si occupa dei personaggi e delle regole; il resto viene invece dedicato all’ambientazione, al tenebroso mondo che si estende oltre i nostri sensi mortali e alle orribili creature che vi dimorano. A dire così, si potrebbe pensare che tali mostri siano simili alle divinità terrificanti dei Miti di Cthulhu. Sbagliato: per quanto esistano anche in questa ambientazione delle creature di origine quasi divina (come gli Arconti o gli Angeli della Morte), i mostri di Kult (anche quelli davvero potenti) sembrano più un’incarnazione delle miserie umane. Queste creature non sono separate dall’umanità come i Grandi Antichi di Lovecraft, non hanno scopi inconoscibili per i mortali, e non evitano di sporcarsi le mani in prima persona. 

Scendere più nei dettagli dell’ambientazione mi porterebbe via troppo tempo, senza contare che il fascino di Kult è proprio nel lento svelarsi dell’orrore: meno i giocatori ne sanno, più divertente sarà l’esperienza di gioco. No, quello che a questo punto mi interessa è di tirare le somme di tutto il discorso, e se siete arrivati a leggere fin qui, credo interessi pure a voi. Kult ha due difetti: delle regole un po’ datate (in alcuni punti davvero farraginose), e un’edizione italiana pessima. Il primo difetto è quindi intrinseco del gioco stesso, per il secondo dobbiamo invece ringraziare il bel lavoro svolto dalla Raven. Ma cominciamo con le regole. Tirare un d20 e fare meno del punteggio di un’Abilità o di una Capacità. Estremamente semplice, non c’è che dire, e fin qui tutto ok. Alcuni passaggi delle regole, però, non sembrano ben amalgamati, e altri sono del tutto senza senso! 

Prendiamo il rapporto fra Abilità e Capacità. Si acquistano in maniera del tutto indipendente l’una dall’altra e questo puzza di cazzata: acquistare una Capacità atletica come Acrobazia, ad esempio, dovrebbe essere più facile per chi possiede un alto valore di Agilità, ma non è così. Inoltre, il regolamento tratta allo stesso modo due personaggi che, uno con un alto punteggio di Agilità, l’altro molto basso, siano però privi della Capacità di Acrobazia, ovvero come due incompetenti! L’unico vero rapporto fra Abilità e Capacità è che l’Abilità limita il punteggio delle Capacità basate su di essa, rendendone più difficoltoso l’acquisto oltre una certa soglia. Ad esempio, ottenere un valore in Armi da Tiro (che è una Capacità) pari al punteggio dell’Agilità (la sua Abilità di riferimento) ti costa un certo numero di punti; oltre quel punto, ti costa il triplo. Sempre restando in tema del rapporto fra le due caratteristiche, in alcune circostanze è possibile sostituire l’una all’altra, solitamente usando la più generica Abilità al posto della più specifica Capacità. Quindi, a che scopo comprare, ad esempio, la Capacità di Cercare quando è possibile usare al suo posto l’Abilità Percezione? Assolutamente a nulla: molto meglio tenersi i punti da parte per le Capacità non sostituibili! L’elenco delle Capacità, inoltre, non è privo di stranezze: a leggerne la descrizione alcune sono del tutto inutili (es. Astrologia, Leggere la sorte), altre invece sembrano del tutto fuori contesto in un’ambientazione horror (es. Demolizione, Crittografia). Le Capacità sulle arti marziali sono la ciliegina sulla torta da questo punto di vista. Vengono dettagliate con un livello di pignoleria eccessivo rispetto alle poche pagine dedicate alle altre Capacità, soprattutto rispetto alla loro importanza in una storia horror (cosa fai, prendi a pugni i mostri?). L’acquisto e l’utilizzo delle Capacità marziali, inoltre, sembra un corpus di regole a parte, estranee al sistema, che introduce delle complicazioni non necessarie.

Anche altre parti del manuale ti obbligano a declamare forte e chiaro un bel “ma che cazzo?”, come ad esempio le statistiche dei mostri. Ci sono creature a forma di ragni che fra le loro Capacità di combattimento fanno sfoggio della loro incredibile competenza con mitra e pistole, tanto per dirne una … in casi come questi suggerisco di ignorare beatamente il passo incriminato e tirare avanti! Potrei andare avanti con cazzate simili per parecchie righe, ma credo che avete capito il punto. 

Nonostante queste cose, comunque, il gioco non è malaccio, anche perché il vero punto di forza è l’ambientazione, e se qualche regola sembra priva di senso, è facile metterci una pezza sopra. No, quello che mi è davvero, ma davvero dispiaciuto dover constatare, invece, è stata la cura (?) che la Raven ha messo nell’edizione italiana di questo gioco. Volendo anche sorvolare sui vari errori e refusi sparsi per tutto il manuale, due cose proprio non riesco a perdonargli! La prima è quella di essersi dimenticati la tabella dei danni delle armi da mischia … semplicemente non c’è! Cosa faceva il revisore delle bozze, dormiva? Immaginate di giocare a D&D e di non trovare sul manuale la tabella delle armi, cosa pensereste? Ecco, bravi, ma evitiamo le parolacce! La seconda cosa, quella che mi fa incazzare di più, è stata la decisione della Raven di togliere dal manuale base tutta la parte dedicata alla magia, allo scopo di farne un manuale a parte, la famigerata “Guida dell’Invocatore”. Se restiamo all’esempio fantasy di prima, è un po’ come scoprire che dal manuale del giocatore di D&D sono stati tolti tutti gli incantesimi di maghi e chierici, per poi venire a sapere che entreranno in un manuale a parte. Una cosa del genere posso definirla solo come una porcata, e davvero non merita commenti. Per mia fortuna, e senza sapere questa cosa, a Lucca ho comprato anche la Guida dell’Invocatore, che vi prometto di recensire appena avrò il tempo di leggerla.

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