Ben ritrovati. Oggi è l’ultimo giorno dell’anno e per chiudere in
bellezza questo 2014 vi lascio alla lettura di un pezzo speciale. Il terzo ed ultimo
film de Lo Hobbit è nelle sale da qualche settimana ed è giunto il momento di
concludere la recensione sulle differenze tra pellicola e romanzo, le cui parti
precedenti trovate qui e qui. Forse è il caso che gli (ri)diate un’occhiata per
rinfrescarvi la memoria, dato che non ho intenzione di ripetere ciò che ho già
scritto nei vecchi articoli né di tornare a sottolineare differenze già
sviscerate a sufficienza.
Il film si apre con il drago Smuag in volo verso la città di
Pontelagolungo. Bastano alcuni passaggi della mostruosa creatura per
trasformare la città in un vortice di fiamme e caos. I cittadini, disperati,
tentano di fuggire sulle barche e lo stesso fanno i pochi nani della compagnia
di Thorin rimasti in città, insieme all’elfa Tauriel. Bard riesce a liberarsi
dalla prigione deve era stato gettato dagli sgherri del governatore, sale su
una torre di legno e inizia a bersagliare il drago di frecce, senza alcun
risultato. La svolta avviene con l’arrivo di suo figlio Bain, che gli porta l’ultima
freccia nera. Con un disperato espediente, Bard riesce a scagliarla e a colpire
il drago nell’incavo sul petto, dove la sua corazza è assente. Con un grido
terrificante il drago morente precipita sulla città in rovina, travolgendo la
barca del governatore. Bilbo, Thorin e gli altri nani assistono agli eventi
dall’alto della montagna. Nel libro le cose vanno in maniera leggermente
diversa. Innanzitutto non ci sono nani a Pontelagolungo, tutta la compagnia di
Thorin si trova già alla Montagna Solitaria, così come non ci sono elfi,
Tauriel è un personaggio inventato per il film. Nel libro tutta la città si
prepara a combattere e distrugge il ponte che la collega alle rive del lago,
per evitare di dare al drago un appoggio e obbligandolo a restare in volo. Bard
scopre il punto debole nella corazza di Smaug grazie ad un tordo parlante, il
quale aveva sentito il racconto di Bilbo ai nani sullo stesso argomento. La
freccia nera di Bard non è una lancia di metallo, ma una vera e propria
freccia, avuta da suo padre e dai suoi antenati, forgiata nelle fucine del Re
sotto la Montagna. Bard scaglia la freccia e il drago viene ucciso; nella sua
caduta, tuttavia, non affonda nessun governatore, che pertanto è vivo e vegeto
alla fine della battaglia.
Il film continua mostrandoci Bard che si occupa del suo popolo, mettendosi
in marcia verso la città in rovina di Dale per cercare riparo. I suoi pensieri
vanno ovviamente al grosso tesoro nella Montagna Solitaria, che reputa
incustodito in quanto è certo che i nani siano stati uccisi. Fili, Kili e gli
altri nani che si erano separati da Thorin si ricongiungono con i loro
consanguinei, mentre Legolas e Tauriel lasciano la città diretti a nord. Bilbo
accenna alla malattia dell’oro di cui sarebbe preda Thorin e in effetti gli
altri nani non possono che constatare sgomenti ciò che sta avvenendo al loro
re. Thorin non riesce a pensare a niente che non sia ritrovare l’Arkengemma, e
inizia a pensare che gli altri nani l’abbiano trovata e gliela tengano nascosta.
Nel frattempo arrivano gli elfi silvani guidati da Thranduil, che porta anche
soccorso ai superstiti di Pontelagolungo. Thranduil però chiarisce di non
essere arrivato li per aiutare gli umani, ma per reclamare una parte del
tesoro, in particolare delle gemme di bianca luce stellare a cui tiene molto.
Bard e Thranduil si recano insieme alla Montagna e, incredibilmente, trovano la
porta di Erebor sigillata dalle macerie: Thorin e i suoi sono ancora vivi. Ha
luogo una contrattazione fra Bard e Thorin ma finisce male: Thorin si rifiuta
di cedere la parte del tesoro che aveva promesso agli abitanti del lago e anzi
invia un corvo messaggero per chiedere aiuto a suo cugino Dain. Intrecciata
alla storia principale seguiamo anche le vicissitudini di Gandalf, prigioniero
di Sauron a Dol Guldur e quelle di Legolas e Tauriel. Confrontandoci con il
romanzo, possiamo subito eliminare queste due storie secondarie poiché Legolas
e Tauriel non vi compaiono proprio; quanto a Gandalf, alla fine del romanzo
racconta brevemente a Bilbo come lui e il Bianco Consiglio abbiano scacciato il
Negromante (ossia Sauron) da Dol Guldur. Non ci sono quindi reali paragoni da
poter fare con le scene d’azione inventate da Peter Jackson. Mi limito a dire due
cose: la scena in cui Galadriel scaccia Sauron è decisamente esagerata,
impossibile che la Dama Bianca sia più potente di Gandalf; quanto poi alle
parole di Elrond sulla necessità di dare la caccia immediata a Sauron, quasi
che potesse essere davvero sconfitto, appaiono del tutto fuorvianti! Anche
senza l’anello del potere, Sauron non può essere battuto, ciò che appare come
una vittoria in realtà è solo tempo guadagnato prima della fine. Tornando alla
storia principale, nel libro Bard viene acclamato re dalla sua gente, contro il
volere del governatore, ancora vivo, ma per il momento Bard non vuole saperne
nulla, desidera solo essere d’aiuto. Gli eventi procedono più o meno come nel
film, ma in un arco di tempo più lungo (circa 11 giorni). Thranduil marcia
sulla montagna con la sua armata di elfi per reclamare il tesoro ma devia verso
gli umani per prestare aiuto in quanto “buono e gentile”. Questa è una grossa
differenza rispetto al film, che tenta in ogni maniera di presentare Thranduil
come un bastardo, quando nel libro viene detto chiaramente che si tratta di un
re buono e giusto. Thorin apprende dai corvi parlanti non solo la morte del
drago (non l’ha vista dagli spalti della Montagna come nel film) ma anche l’arrivo
dell’esercito degli elfi e degli uomini; si infuria e mentre manda i corvi ad
avvertire suo cugino Dain, inizia a fortificare l’accesso alla montagna.
Accecato dalla bramosia del tesoro, Thorin rifiuta l’ambasciata di uomini ed
elfi, agli occhi di tutti lo scontro sembra imminente.
Bilbo parla con Balin dell’Arkengemma, e si convince che la pazzia di
Thorin peggiorerebbe se ne entrasse in possesso. Di notte si cala di nascosto
con una fune fuori della Montagna e si fa portare al cospetto di Thranduil,
Bard e Gandalf (appena tornato da Dol Guldur). Bilbo offre la preziosa gemma
come la sua 14° parte del tesoro, suggerendo di utilizzarla come riscatto
poiché Thorin farebbe di tutto per tornarne in possesso. Nel frattempo Gandalf
cerca di mettere in guardia Thranduil sull’esercito degli orchi che sta per
piombargli addosso ma il re elfico non crede alle sue parole. La mattina dopo
avviene l’incontro fra Thranduil, Bard e Thorin. Il re nanico è stupito di
vedere l’Arkengemma in mano ai suoi nemici e si infuria con Bilbo, che gli
rivela di essere stato lui l’artefice di questo piano. Thorin cerca di gettarlo
dalle mura ma viene fermato dai suoi stessi compagni e da Gandalf, che lo
invita a lasciar stare il povero hobbit. Bilbo viene fatto calare con una
corda, Thorin sta per cedere al ricatto quando arriva un’armata di nani guidata
da Dain. La battaglia sembra inevitabile, quando all’improvviso appaiono gli
orchi! Grazie ai mangia pietra, dei giganteschi vermi in grado di perforare la
roccia, gli orchi sono riusciti ad arrivare non visti e ora minacciano di morte
tutti i presenti. I nani si voltano per fronteggiare la carica degli orchi e
gli elfi si schierano dalla loro parte, insieme agli umani. Nel libro le cose
vanno più o meno alla stessa maniera, con qualche differenza. Gandalf sembra
sospettare che qualcosa bolle in pentola (l’arrivo degli orchi) ma non avverte
nessuno. Quando gli orchi arrivano (senza mangia pietra, un’invenzione del
film), questi prendono in effetti di sorpresa elfi e nani, ma semplicemente perché
nessuno li stava aspettando! Peter Jackson fa credere che l’attacco degli orchi
fosse una cosa programmata di tempo e parte di uno schema più grande che fa
capo a Sauron. Nel romanzo non è così: gli orchi volevano semplicemente
vendicarsi per l’uccisione del Grande Orco delle Montagne Nebbiose (ucciso da
Thorin e Gandalf all’inizio della storia), e a tal fine raccolgono le loro
armate, insieme ai Lupi Selvaggi. Gli orchi, inoltre, sono guidati da Bolg, non
da Azog, che è defunto da un bel po’ (rileggete il primo articolo).
Ha inizio così la Battaglia dei 5 Eserciti: elfi, nani e uomini contro
orchi e lupi. Nel film i lupi mannari neppure si vedono nello scontro finale,
verrebbe da chiedere a Peter Jackson quale sia il 5° esercito del suo film. Nel
libro la battaglia è descritta in breve, nel film occupa più di un’ora. Peter
Jackson prende le poche frasi scritte da Tolkien e vi costruisce la parte
centrale del film, ma i risultati sono altalenanti. Lo scontro non ha
certamente l’epicità della battaglia del fosso di Helm o dell’assedio di Minas
Tirith, e lo svolgimento della battaglia, tatticamente parlando, è assai
confuso. Per fortuna Peter Jackson si disinteressa presto dello scontro di
massa e si concentra sulle vicende dei singoli personaggi. E sono proprio le
vicende personali a segnare un grande distacco dal romanzo, in particolare la
presenza di Tauriel e Legolas, nonché la morte di Thorin, Fili e Kili. Nel film
Legolas uccide Bolg, Thorin e Azog si uccidono a vicenda, Kili viene ucciso da
Bolg per difendere Tauriel e Fili viene catturato e ucciso da Azog. Nel libro
le cose vanno così: quando la battaglia sembra volgere al peggio, si ode uno
squillo di tromba, Thorin e i suoi nani escono dalla montagna corazzati in
maniera impressionante e caricano gli orchi. La carica spezza il fronte degli
orchi ma quando perde di slancio Thorin si trova circondato da Bolg e dalla sua
guardia personale. Bilbo assiste alla battaglia da Collecorvo, in mezzo agli elfi
e Gandalf ma viene colpito da una pietra sulla testa e perde i sensi, l’ultima
cosa che vede sono le Grandi Aquile scendere sul campo di battaglia. I potenti
volatili già tenevano d’occhio gli orchi da un po’ di tempo e si uniscono al
combattimento appena in tempo, ma nonostante questo lo scontro è ancora in
bilico. E’ l’arrivo di Beorn in forma di orso a dare la svolta decisiva: dopo
aver tratto fuori dalla mischia Thorin, ormai trafitto da molti colpi, il
feroce guerriero fa a pezzi Bolg e le sue guardie e a quel punto gli orchi
rimasti rompono il campo e fuggono. Anche Fili e Kili si contano fra i morti,
caduti in difesa del loro re. Quando Bilbo riprende i sensi viene portato da
Gandalf al cospetto di un Thorin ormai morente. Prima di andarsene, Thorin si
pente delle sue parole e delle sue azioni contro lo hobbit e si congeda da lui
in pace. Anche nel film c’è il rappacificamento fra Thorin e Bilbo, ma questi
era già al suo fianco quando è stato colpito a morte da Azog.
La conclusione della battaglia è trattata molto sbrigativamente nel
film: morto Thorin, Bilbo saluta Balin e gli altri nani, e prende la via del
ritorno verso casa insieme a Gandalf. Nel libro gli eventi sono più
dettagliati: c’è il funerale di Thorin, sepolto sotto la Montagna insieme alla
sua spada Orcrist e all’Arkengemma, mentre Dain diventa il nuovo Re sotto la
Montagna. Bilbo prende con se due cassette piene di oro e argento e si congeda
dai nani. Il suo viaggio di ritorno avviene insieme agli altri protagonisti
della storia: i primi a separarsi sono gli elfi, che tornano al loro reame
boscoso, quindi è il turno di Beorn. Bilbo e Gandalf arrivano a Gran Burrone,
dove si intrattengono per un po’ con Elrond, ed è solo in questa occasione che
Gandalf rivela gli eventi di Dol Guldur. Bilbo e Gandalf ripartono, trovano i
troll pietrificati e Bilbo riporta alla luce il loro tesoro, che i nani avevano
seppellito per precauzione. Bilbo torna infine alla Contea, dove scopre che è
stato dichiarato “presunto morto” e i suoi beni messi all’asta. Solo quest’ultimo
dettaglio è uguale al film, il resto è stato del tutto omesso. E’ stata invece
aggiunta la scena in cui Bilbo e Gandalf si salutano, e lo stregone dimostra di
sapere che Bilbo ha con se un anello magico. Nel libro una simile scena sarebbe
stata inutile, dato che Bilbo aveva già rivelato a Gandalf di aver trovato l’anello.
Il film si conclude riportando la vicenda 60 anni nel futuro, con Bilbo anziano
che finisce di scrivere le sue memorie proprio nel giorno del suo 111°
compleanno. Gandalf bussa alla sua porta e Bilbo lo fa entrare, il film termina
mentre la telecamera indugia sulla mappa della Montagna Solitaria. La scena fa
da perfetto raccordo con il Signore degli Anelli ma anche ciò si distacca dai
romanzi. Bilbo scrive le sue memorie molti anni prima, e il libro termina con
un tè fra Bilbo, Gandalf e il nano Balin, venuti a trovare il loro amico
hobbit.
A ben vedere, può sembrare che le differenze fra
questo terzo film e il romanzo non siano tantissime. Non è così: il distacco
fra le due storie, iniziato in maniera lieve nel primo film, è esploso
soprattutto nella seconda pellicola e questo film ha semplicemente portato a termine
una storia che ormai aveva preso una strada tutta sua. Ora che la trilogia è
terminata, è possibile riconoscere e ammettere che, a differenza che ne Il
Signore degli Anelli, ci troviamo di fronte ad un vero tradimento dello spirito
dell’opera, in particolare, e di Tolkien, in generale. La storia d’amore fra
Kili e Tauriel, fra un nano ed un’elfa, è sicuramente il punto più basso di
questa situazione e ogni altro commento del tutto superfluo. Il credito che
Peter Jackson si era guadagnato presso i fan è stato dilapidato con questa
trilogia dal sapore commerciale, da questo blockbuster hollywoodiano che ha
poco da spartire con il suo illustre predecessore. Stiamo parlando di un
prodotto che è comunque anni luce avanti rispetto a tanti altri film, ma il
rimpianto per l’occasione sprecata è superiore alla qualità della trilogia.