mercoledì 31 dicembre 2014

Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate



Ben ritrovati. Oggi è l’ultimo giorno dell’anno e per chiudere in bellezza questo 2014 vi lascio alla lettura di un pezzo speciale. Il terzo ed ultimo film de Lo Hobbit è nelle sale da qualche settimana ed è giunto il momento di concludere la recensione sulle differenze tra pellicola e romanzo, le cui parti precedenti trovate qui e qui. Forse è il caso che gli (ri)diate un’occhiata per rinfrescarvi la memoria, dato che non ho intenzione di ripetere ciò che ho già scritto nei vecchi articoli né di tornare a sottolineare differenze già sviscerate a sufficienza.



Il film si apre con il drago Smuag in volo verso la città di Pontelagolungo. Bastano alcuni passaggi della mostruosa creatura per trasformare la città in un vortice di fiamme e caos. I cittadini, disperati, tentano di fuggire sulle barche e lo stesso fanno i pochi nani della compagnia di Thorin rimasti in città, insieme all’elfa Tauriel. Bard riesce a liberarsi dalla prigione deve era stato gettato dagli sgherri del governatore, sale su una torre di legno e inizia a bersagliare il drago di frecce, senza alcun risultato. La svolta avviene con l’arrivo di suo figlio Bain, che gli porta l’ultima freccia nera. Con un disperato espediente, Bard riesce a scagliarla e a colpire il drago nell’incavo sul petto, dove la sua corazza è assente. Con un grido terrificante il drago morente precipita sulla città in rovina, travolgendo la barca del governatore. Bilbo, Thorin e gli altri nani assistono agli eventi dall’alto della montagna. Nel libro le cose vanno in maniera leggermente diversa. Innanzitutto non ci sono nani a Pontelagolungo, tutta la compagnia di Thorin si trova già alla Montagna Solitaria, così come non ci sono elfi, Tauriel è un personaggio inventato per il film. Nel libro tutta la città si prepara a combattere e distrugge il ponte che la collega alle rive del lago, per evitare di dare al drago un appoggio e obbligandolo a restare in volo. Bard scopre il punto debole nella corazza di Smaug grazie ad un tordo parlante, il quale aveva sentito il racconto di Bilbo ai nani sullo stesso argomento. La freccia nera di Bard non è una lancia di metallo, ma una vera e propria freccia, avuta da suo padre e dai suoi antenati, forgiata nelle fucine del Re sotto la Montagna. Bard scaglia la freccia e il drago viene ucciso; nella sua caduta, tuttavia, non affonda nessun governatore, che pertanto è vivo e vegeto alla fine della battaglia.



Il film continua mostrandoci Bard che si occupa del suo popolo, mettendosi in marcia verso la città in rovina di Dale per cercare riparo. I suoi pensieri vanno ovviamente al grosso tesoro nella Montagna Solitaria, che reputa incustodito in quanto è certo che i nani siano stati uccisi. Fili, Kili e gli altri nani che si erano separati da Thorin si ricongiungono con i loro consanguinei, mentre Legolas e Tauriel lasciano la città diretti a nord. Bilbo accenna alla malattia dell’oro di cui sarebbe preda Thorin e in effetti gli altri nani non possono che constatare sgomenti ciò che sta avvenendo al loro re. Thorin non riesce a pensare a niente che non sia ritrovare l’Arkengemma, e inizia a pensare che gli altri nani l’abbiano trovata e gliela tengano nascosta. Nel frattempo arrivano gli elfi silvani guidati da Thranduil, che porta anche soccorso ai superstiti di Pontelagolungo. Thranduil però chiarisce di non essere arrivato li per aiutare gli umani, ma per reclamare una parte del tesoro, in particolare delle gemme di bianca luce stellare a cui tiene molto. Bard e Thranduil si recano insieme alla Montagna e, incredibilmente, trovano la porta di Erebor sigillata dalle macerie: Thorin e i suoi sono ancora vivi. Ha luogo una contrattazione fra Bard e Thorin ma finisce male: Thorin si rifiuta di cedere la parte del tesoro che aveva promesso agli abitanti del lago e anzi invia un corvo messaggero per chiedere aiuto a suo cugino Dain. Intrecciata alla storia principale seguiamo anche le vicissitudini di Gandalf, prigioniero di Sauron a Dol Guldur e quelle di Legolas e Tauriel. Confrontandoci con il romanzo, possiamo subito eliminare queste due storie secondarie poiché Legolas e Tauriel non vi compaiono proprio; quanto a Gandalf, alla fine del romanzo racconta brevemente a Bilbo come lui e il Bianco Consiglio abbiano scacciato il Negromante (ossia Sauron) da Dol Guldur. Non ci sono quindi reali paragoni da poter fare con le scene d’azione inventate da Peter Jackson. Mi limito a dire due cose: la scena in cui Galadriel scaccia Sauron è decisamente esagerata, impossibile che la Dama Bianca sia più potente di Gandalf; quanto poi alle parole di Elrond sulla necessità di dare la caccia immediata a Sauron, quasi che potesse essere davvero sconfitto, appaiono del tutto fuorvianti! Anche senza l’anello del potere, Sauron non può essere battuto, ciò che appare come una vittoria in realtà è solo tempo guadagnato prima della fine. Tornando alla storia principale, nel libro Bard viene acclamato re dalla sua gente, contro il volere del governatore, ancora vivo, ma per il momento Bard non vuole saperne nulla, desidera solo essere d’aiuto. Gli eventi procedono più o meno come nel film, ma in un arco di tempo più lungo (circa 11 giorni). Thranduil marcia sulla montagna con la sua armata di elfi per reclamare il tesoro ma devia verso gli umani per prestare aiuto in quanto “buono e gentile”. Questa è una grossa differenza rispetto al film, che tenta in ogni maniera di presentare Thranduil come un bastardo, quando nel libro viene detto chiaramente che si tratta di un re buono e giusto. Thorin apprende dai corvi parlanti non solo la morte del drago (non l’ha vista dagli spalti della Montagna come nel film) ma anche l’arrivo dell’esercito degli elfi e degli uomini; si infuria e mentre manda i corvi ad avvertire suo cugino Dain, inizia a fortificare l’accesso alla montagna. Accecato dalla bramosia del tesoro, Thorin rifiuta l’ambasciata di uomini ed elfi, agli occhi di tutti lo scontro sembra imminente.



Bilbo parla con Balin dell’Arkengemma, e si convince che la pazzia di Thorin peggiorerebbe se ne entrasse in possesso. Di notte si cala di nascosto con una fune fuori della Montagna e si fa portare al cospetto di Thranduil, Bard e Gandalf (appena tornato da Dol Guldur). Bilbo offre la preziosa gemma come la sua 14° parte del tesoro, suggerendo di utilizzarla come riscatto poiché Thorin farebbe di tutto per tornarne in possesso. Nel frattempo Gandalf cerca di mettere in guardia Thranduil sull’esercito degli orchi che sta per piombargli addosso ma il re elfico non crede alle sue parole. La mattina dopo avviene l’incontro fra Thranduil, Bard e Thorin. Il re nanico è stupito di vedere l’Arkengemma in mano ai suoi nemici e si infuria con Bilbo, che gli rivela di essere stato lui l’artefice di questo piano. Thorin cerca di gettarlo dalle mura ma viene fermato dai suoi stessi compagni e da Gandalf, che lo invita a lasciar stare il povero hobbit. Bilbo viene fatto calare con una corda, Thorin sta per cedere al ricatto quando arriva un’armata di nani guidata da Dain. La battaglia sembra inevitabile, quando all’improvviso appaiono gli orchi! Grazie ai mangia pietra, dei giganteschi vermi in grado di perforare la roccia, gli orchi sono riusciti ad arrivare non visti e ora minacciano di morte tutti i presenti. I nani si voltano per fronteggiare la carica degli orchi e gli elfi si schierano dalla loro parte, insieme agli umani. Nel libro le cose vanno più o meno alla stessa maniera, con qualche differenza. Gandalf sembra sospettare che qualcosa bolle in pentola (l’arrivo degli orchi) ma non avverte nessuno. Quando gli orchi arrivano (senza mangia pietra, un’invenzione del film), questi prendono in effetti di sorpresa elfi e nani, ma semplicemente perché nessuno li stava aspettando! Peter Jackson fa credere che l’attacco degli orchi fosse una cosa programmata di tempo e parte di uno schema più grande che fa capo a Sauron. Nel romanzo non è così: gli orchi volevano semplicemente vendicarsi per l’uccisione del Grande Orco delle Montagne Nebbiose (ucciso da Thorin e Gandalf all’inizio della storia), e a tal fine raccolgono le loro armate, insieme ai Lupi Selvaggi. Gli orchi, inoltre, sono guidati da Bolg, non da Azog, che è defunto da un bel po’ (rileggete il primo articolo).



Ha inizio così la Battaglia dei 5 Eserciti: elfi, nani e uomini contro orchi e lupi. Nel film i lupi mannari neppure si vedono nello scontro finale, verrebbe da chiedere a Peter Jackson quale sia il 5° esercito del suo film. Nel libro la battaglia è descritta in breve, nel film occupa più di un’ora. Peter Jackson prende le poche frasi scritte da Tolkien e vi costruisce la parte centrale del film, ma i risultati sono altalenanti. Lo scontro non ha certamente l’epicità della battaglia del fosso di Helm o dell’assedio di Minas Tirith, e lo svolgimento della battaglia, tatticamente parlando, è assai confuso. Per fortuna Peter Jackson si disinteressa presto dello scontro di massa e si concentra sulle vicende dei singoli personaggi. E sono proprio le vicende personali a segnare un grande distacco dal romanzo, in particolare la presenza di Tauriel e Legolas, nonché la morte di Thorin, Fili e Kili. Nel film Legolas uccide Bolg, Thorin e Azog si uccidono a vicenda, Kili viene ucciso da Bolg per difendere Tauriel e Fili viene catturato e ucciso da Azog. Nel libro le cose vanno così: quando la battaglia sembra volgere al peggio, si ode uno squillo di tromba, Thorin e i suoi nani escono dalla montagna corazzati in maniera impressionante e caricano gli orchi. La carica spezza il fronte degli orchi ma quando perde di slancio Thorin si trova circondato da Bolg e dalla sua guardia personale. Bilbo assiste alla battaglia da Collecorvo, in mezzo agli elfi e Gandalf ma viene colpito da una pietra sulla testa e perde i sensi, l’ultima cosa che vede sono le Grandi Aquile scendere sul campo di battaglia. I potenti volatili già tenevano d’occhio gli orchi da un po’ di tempo e si uniscono al combattimento appena in tempo, ma nonostante questo lo scontro è ancora in bilico. E’ l’arrivo di Beorn in forma di orso a dare la svolta decisiva: dopo aver tratto fuori dalla mischia Thorin, ormai trafitto da molti colpi, il feroce guerriero fa a pezzi Bolg e le sue guardie e a quel punto gli orchi rimasti rompono il campo e fuggono. Anche Fili e Kili si contano fra i morti, caduti in difesa del loro re. Quando Bilbo riprende i sensi viene portato da Gandalf al cospetto di un Thorin ormai morente. Prima di andarsene, Thorin si pente delle sue parole e delle sue azioni contro lo hobbit e si congeda da lui in pace. Anche nel film c’è il rappacificamento fra Thorin e Bilbo, ma questi era già al suo fianco quando è stato colpito a morte da Azog.



La conclusione della battaglia è trattata molto sbrigativamente nel film: morto Thorin, Bilbo saluta Balin e gli altri nani, e prende la via del ritorno verso casa insieme a Gandalf. Nel libro gli eventi sono più dettagliati: c’è il funerale di Thorin, sepolto sotto la Montagna insieme alla sua spada Orcrist e all’Arkengemma, mentre Dain diventa il nuovo Re sotto la Montagna. Bilbo prende con se due cassette piene di oro e argento e si congeda dai nani. Il suo viaggio di ritorno avviene insieme agli altri protagonisti della storia: i primi a separarsi sono gli elfi, che tornano al loro reame boscoso, quindi è il turno di Beorn. Bilbo e Gandalf arrivano a Gran Burrone, dove si intrattengono per un po’ con Elrond, ed è solo in questa occasione che Gandalf rivela gli eventi di Dol Guldur. Bilbo e Gandalf ripartono, trovano i troll pietrificati e Bilbo riporta alla luce il loro tesoro, che i nani avevano seppellito per precauzione. Bilbo torna infine alla Contea, dove scopre che è stato dichiarato “presunto morto” e i suoi beni messi all’asta. Solo quest’ultimo dettaglio è uguale al film, il resto è stato del tutto omesso. E’ stata invece aggiunta la scena in cui Bilbo e Gandalf si salutano, e lo stregone dimostra di sapere che Bilbo ha con se un anello magico. Nel libro una simile scena sarebbe stata inutile, dato che Bilbo aveva già rivelato a Gandalf di aver trovato l’anello. Il film si conclude riportando la vicenda 60 anni nel futuro, con Bilbo anziano che finisce di scrivere le sue memorie proprio nel giorno del suo 111° compleanno. Gandalf bussa alla sua porta e Bilbo lo fa entrare, il film termina mentre la telecamera indugia sulla mappa della Montagna Solitaria. La scena fa da perfetto raccordo con il Signore degli Anelli ma anche ciò si distacca dai romanzi. Bilbo scrive le sue memorie molti anni prima, e il libro termina con un tè fra Bilbo, Gandalf e il nano Balin, venuti a trovare il loro amico hobbit. 

A ben vedere, può sembrare che le differenze fra questo terzo film e il romanzo non siano tantissime. Non è così: il distacco fra le due storie, iniziato in maniera lieve nel primo film, è esploso soprattutto nella seconda pellicola e questo film ha semplicemente portato a termine una storia che ormai aveva preso una strada tutta sua. Ora che la trilogia è terminata, è possibile riconoscere e ammettere che, a differenza che ne Il Signore degli Anelli, ci troviamo di fronte ad un vero tradimento dello spirito dell’opera, in particolare, e di Tolkien, in generale. La storia d’amore fra Kili e Tauriel, fra un nano ed un’elfa, è sicuramente il punto più basso di questa situazione e ogni altro commento del tutto superfluo. Il credito che Peter Jackson si era guadagnato presso i fan è stato dilapidato con questa trilogia dal sapore commerciale, da questo blockbuster hollywoodiano che ha poco da spartire con il suo illustre predecessore. Stiamo parlando di un prodotto che è comunque anni luce avanti rispetto a tanti altri film, ma il rimpianto per l’occasione sprecata è superiore alla qualità della trilogia.

sabato 29 novembre 2014

Guerre Stellari: il gioco di ruolo (West End)




La saga di Guerre Stellari è una pietra miliare del genere fantascientifico: non ha solo rivoluzionato il mondo del cinema, ma ha anche ispirato un numero incalcolabile di libri, racconti, serie a cartoni, fumetti, e persino cortometraggi fatti dai fan. Ovviamente non poteva mancare, in questo elenco, il gioco di ruolo: il primo in assoluto fu pubblicato dalla West End Games e portato in Italia dalla Stratelibri nell’ormai lontano 1993. All’epoca, come i fan sapranno benissimo, non erano ancora usciti né sembravano in programma altri film, e Guerre Stellari era rappresentato unicamente dalla trilogia classica. Mentre tutti i fan della terra festeggiano l’uscita del teaser trailer del 7° film della saga, mi sembra giusto omaggiare il gioco di ruolo originario di Guerre Stellari.

Il manuale è un volume di circa 200 pagine, con una copertina blu sulla quale campeggia la maschera di Darth Vader; le illustrazioni interne sono in bianco e nero, salvo alcune pagine patinate interamente a colori contenenti scene dei film oppure divertenti pubblicità di prodotti futuristici. Il gioco utilizza soltanto dadi a sei facce; le abilità e le caratteristiche dei personaggi sono espressi secondo una quantità di dadi: ad esempio Destrezza 3D oppure Astronavi da Trasporto 5d+2. Quando il personaggio vuole compiere una determinata azione, il giocatore lancia la quantità di dadi indicati dall’abilità in questione e cerca di superare un certo valore, deciso dal master, che indica la difficoltà della manovra.

Il combattimento, che sia fra personaggi o fra astronavi, utilizza la stessa meccanica di base. Per prima cosa si determina l’iniziativa, quindi i giocatori lanciano i dadi per le eventuali schivate o parate che intendono fare. Il risultato ottenuto si somma al valore richiesto per colpire il loro personaggio (nel caso di una difesa completa, perdendo però la possibilità di compiere azioni offensive) oppure si sostituisce ad esso, se superiore; in questo caso il personaggio mantiene la possibilità di attaccare. Se, nonostante la sua difesa, riuscite a colpire l’avversario, dovete tirare i dadi di danno dell’arma in questione; il risultato finale va comparato con la prova di Vigore del bersaglio, modificata dal tipo di armatura che sta indossando. Se il tiro per il danno è superiore alla prova di Vigore, siete riusciti a danneggiarlo: la differenza fra i due valori va cercata su un’apposita tabella, che indicherà cosa è avvenuto al vostro avversario. In questo gioco non esistono punti ferita, ma condizioni fisiche negative: si va da Stordito fino a Ucciso, passando per gli stadi intermedi di Ferito, Paralizzato e Mortalmente Ferito. Maggiore è la differenza fra il tiro dei danni e il tiro di Vigore, più grave sarà la situazione fisica del vostro nemico. Altro concetto interessante da applicare in combattimento è quello della scala: per quanti sforzi possa fare, un uomo armato di fucile laser non potrà fare alcun danno alla Morte Nera; d’altro canto, una stazione spaziale da battaglia grande quanto una luna avrà difficoltà a colpire un piccolo caccia stellare. Esistono tre tabelle di scala: per colpire, per schivare, per danneggiare e servono a modificare i risultati di un combattimento quando mezzi e creature di taglia differente si affrontano fra loro.

Una doverosa notazione va fatta a proposito della Forza e delle sue abilità. All’inizio del gioco, ogni giocatore deve decidere se rendere il proprio personaggio recettivo o meno alla Forza. Se lo fa, ottiene punti Forza addizionali, ma rende il proprio personaggio vulnerabile alle tentazione del lato Oscuro. Spendendo un punto Forza il personaggio ottiene l’incredibile effetto di raddoppiare il numero dei dadi da lanciare per un intero round; d’altro canto, un personaggio sensibile alla Forza deve aderire ad un ben determinato codice di condotta morale: se utilizzerà i suoi poteri per fare del male, otterrà punti Lato Oscuro, che lo condurranno rapidamente a diventare un personaggio non giocante, uscendo così dal gioco. In aggiunta alla meccanica dei punti Forza, è possibile che un personaggio conosca le abilità della Forza tipiche dei cavalieri Jedi. Esistono tre abilità della Forza: Controllo, Percezione ed Alterazione, e sono espresse con una quantità di dadi, esattamente come le altre. Ogni abilità comprende un certo numero di poteri, che il personaggio acquisisce automaticamente quando incrementa il suo punteggio nell’abilità di riferimento. Esempi di poteri sono la meditazione, la dispersione dell’energia, la telecinesi e il combattimento con la spada laser.

Il gioco di ruolo di Guerre Stellari adotta un regolamento più complesso di quanto non appaia a prima vista: le regole sono sparse fra i capitoli del manuale senza un ordine logico, mentre le meccaniche del sistema appaiono farraginose, seppur interessanti e non prive di spunti di originalità. Se tuttavia siete interessati a giocarlo, capirete ben presto che il vero problema è un altro, e cioè che si tratta di un gioco fuori produzione. La West End pubblicò tantissimi supplementi per il suo gioco, molti dei quali tradotti in Italia dalla Stratelibri, ma la loro attuale reperibilità è scarsa, e passa unicamente per fiere specializzate come quella di Lucca. I fan che odiano la nuova trilogia e desiderano immergersi in un nostalgico passato potrebbero comunque trovare interessante questo vecchio gioco, vintage a tutti gli effetti. 

Attualmente è la Fantasy Flight a detenere i diritti per il gioco di ruolo di Guerre Stellari, dopo anni di dominio della Wizards con Star Ward d20, e non si può dire che se ne sia stata con le mani in mano. Edge of Empire e Age of Rebellion sono due giochi distinti (ma collegati), il primo permette di giocare pirati e contrabbandieri in stile Han Solo, il secondo verte sulla ribellione contro l’Impero, mente è già stato annunciato un terzo gioco, dedicato ai Jedi e alla Forza. E’ impossibile non notare come la strategia della Fantasy Flight ricalchi quella già utilizzata con Warhammer 40000, ovvero quella di rilasciare più giochi autonomi dedicati allo stesso universo. Semmai un giorno dovessi acquistarne qualcuno non mancherò di farne una recensione, ma per adesso posso solo dire che il tutto puzza di manovra commerciale lontano un chilometro.

domenica 9 novembre 2014

Warhammer 40000: Dark Heresy




E’ dal lontano 1986 che il famoso Warhammer Fantasy Battle gode di un proprio gioco di ruolo. Il suo futuristico fratello, Warhammer 40.000, ha dovuto attendere sino al 2010 per averne uno. Secondo i (furbi) designer, non sarebbe stato possibile far entrare la ricchezza e i dettagli dello sterminato background di Warhammer 40.000 in un unico manuale, per cui fu deciso di creare tre giochi di ruolo ambientati in questo universo: Dark Heresy, il primo, si sarebbe occupato dell’Inquisizione e della lotta contro eretici e mutanti; Rogue Trader, il secondo, avrebbe avuto come protagonisti i Mercanti Corsarsi e la loro vita avventurosa; Deathwatch, il terzo ed ultimo, si sarebbe focalizzato sui letali Space Marine, i guerrieri umani più potenti della galassia. Poiché il successo ha evidentemente arriso a questa smaccata operazione commerciale, la Fantasy Flight (detentrice dei diritti dal 2008 dopo averli rilevati dalla Black Industries) ha continuato a sfornare giochi di ruolo ambientanti nell’universo di WH40K: Black Crusade, per giocare con i marine del Caos, e Only War, dedicato alla Guardia Imperiale. In Italia sono stati tradotti soltanto i primi due giochi, Dark Heresy e Rogue Trader, e in questa recensione ci occuperemo unicamente del primo.

Edito dalla Nexus, il manuale si presenta come un tomo cartonato di quasi 400 pagine, le illustrazioni interne sono splendide e, salvo alcune immagini in tonalità di grigio, interamente a colori. Dark Heresy è ambientato nel lontano futuro del 41° millennio, in una galassia dove la tecnologia non ha portato il benessere e la pace di altri scenari fantascientifici. L’Imperium dell’uomo si estende su migliaia di mondi, eppure è a malapena sufficiente a proteggere la razza umana dalle svariate minacce di cui è pieno l’universo. Brutali razze aliene sciamano ai confini dell’Imperium, portando morte e distruzione su ogni pianeta che incontrano, mentre culti oscuri dedicati alle divinità del Caos corrompono il cuore dell’uomo. Fra le stelle del 41° millennio c’è solo guerra: immensi eserciti scendono in campo nel nome dell’Imperatore, signore supremo della razza umana, mentre i suoi Inquisitori si occupano di eretici, mutanti e traditori dell’Imperium. In Dark Heresy i giocatori interpretano degli Accoliti al servizio di un Inquisitore, combattenti in prima linea di un conflitto segreto dove in gioco c’è il cuore e la libertà dell’umanità. Gli Accoliti investigheranno su strane rovine aliene, cercheranno di infiltrarsi nei culti oscuri dedicati alle divinità del caos, lottando nel frattempo con mutanti, eretici e cose ancora peggiori come i demoni.

Il regolamento di Dark Heresy è sostanzialmente lo stesso usato in Warhammer Fantasy Roleplay; chi è già familiare con quest’ultimo si troverà decisamente a proprio agio, sebbene non mancherà di notare le tante piccole differenze che esistono tra i due giochi. Dopo aver deciso il tipo di mondo spaziale di origine del personaggio, è il momento di generare le sue caratteristiche base. Giocatori esperti troveranno attributi familiari come l’Abilità di Combattimento, l’Abilità Balistica e così via. Determinate le caratteristiche, viene il momento di decidere la carriera del proprio personaggio, e questo punto è proprio quello che si differenzia maggiormente dal regolamento fantasy. In questo esistono decine di carriere e il giocatore può condurre il proprio personaggio da una all’altra senza troppa difficoltà; in Dark Heresy esistono solo 8 carriere (Adepto, Arbitrator, Assassino, Chierico, Feccia, Guardia Scelta, Psionico Imperiale, Tecno-Prete) e non è possibile cambiarle. Il personaggio diventerà più esperto e potente nell’ambito della propria professione, salendo di grado al suo interno, ma non potrà passare da una carriera all’altra. Apparentemente può sembrare una limitazione, ma in realtà tale meccanica riflette il tipo di società che caratterizza l’Imperium del 41° millennio, dove ogni persona ha un compito e ci si aspetta che lo svolga per tutta la vita. La scelta della carriera determina le abilità e i talenti con cui il personaggio inizia il gioco, nonché il suo equipaggiamento e la sua ricchezza iniziale. Accumulando esperienza il giocatore può acquisire nuove abilità e nuovi talenti, rendendo il suo personaggio sempre più potente. Ci sono poi alcune tabelle che possono aiutare il giocatore a dar maggior spessore al proprio personaggio, aiutandolo a decidere la sua età, il suo aspetto, peculiarità fisiche o mentali, nonché il suo possibile destino.

Dark Heresy, come Warhammer Fantasy, usa il dado percentuale per risolvere prove e l’uso delle abilità. Un personaggio in possesso della giusta abilità lancia il d100 cercando di ottenere un numero pari o inferiore alla caratteristica su cui è basata tale abilità. Con l’esperienza, potrà acquisire la maestria in tale abilità, aumentando le proprie chance di successo. Il combattimento è brutale e veloce, esattamente come in Warhammer Fantasy. La probabilità di colpire un avversario è pari alla caratteristica Abilità di Combattimento o Balistica del personaggio, a seconda che si trovi in mischia o meno. L’opponente può tentare di parare o schivare; se fallisce si determina l’esatta zona del corpo dove va a segno il colpo nonché i danni. Quando il personaggio finisce i punti ferita si trova in una brutta situazione, poiché può subire dei colpi critici, ossia attacchi particolarmente mortali. Dark Heresy fornisce diverse tabelle per i colpi critici, differenziate per la locazione del corpo e per il tipo di danno subito: mentre una spada, ad esempio, sarà più adatta per tagliare arti, il danno esplosivo sarà in grado di incenerire tutto il corpo.

La parte del manuale dedicata al giocatore comprende anche un capitolo dedicato all’equipaggiamento e uno alla psionica. E’ possibile equipaggiare il proprio personaggio con armi laser o al plasma, o magari preferire armi più antiquate, come doppiette e fucili da caccia; forse il vostro personaggio preferirà utilizzare armi da mischia, come la spada a catena o la lama potenziata: quello che è certo è che il 41° millennio è pieno di armi distruttive e letali. Se il vostro personaggio è uno psionico, avrete una discreta varietà di scelta: oltre a una ventina di poteri psichici minori, potrete specializzarvi in una disciplina particolare, come la Piromanzia o la Telecinesi. Otterrete capacità incredibili, divenendo in grado di fluttuare nell’aria o di incenerire i vostri avversari con scariche pirocinetiche, ma tutto questo potere avrà un costo, ovvero il rischio di perdere il controllo dei vostri poteri e di fornire un involontario ingresso in questo mondo alle terribile creature del Warp, la realtà distorta da cui lo psionico trae la sua forza. 

Il resto del manuale è dedicato all’Arbitro di Gioco, e vi si trova una descrizione generale dell’Imperium, un’analisi dettagliata dell’Inquisizione e dei suoi metodi,  la descrizione del settore Calixis (una zona dello spazio dove poter ambientare la propria campagna), un piccolo bestiario ed una avventura introduttiva. Anche se è impossibile dar conto della vastità dell’ambientazione di Warhammer 40.000 in un solo manuale, Dark Heresy riesce comunque a fornire le indicazioni essenziali per iniziare a giocare, stuzzicando il giocatore a volerne sapere di più di questo affascinante universo. Dark Heresy è un ottimo prodotto sotto molti punti di vista. Ottimamente curato l’aspetto grafico, il regolamento è semplice e completo, e non poteva essere altrimenti, dato che riprende l’ottimo sistema di Warhammer Fantasy Roleplay, riuscendo persino a migliorarlo qua e là. L’unico difetto del manuale è nelle poche pagine dedicate al bestiario: anche se era impensabile presentare in un unico manuale le diverse specie aliene o demoni che popolano l’universo di Warhammer 40.000, un elenco di creature un po’ più corposo avrebbe sicuramente giovato. Nonostante il mio apprezzamento per il manuale in se, non posso che storcere il naso di fronte ad un’operazione commerciale che è riuscita a creare ben cinque giochi di ruolo basati sulla stessa ambientazione (operazione che la Fantasy Flight sta ripetendo in questi giorni con Star Wars)! Cinque giochi che, pur avendo di base lo stesso sistema, presentano sottili differenze tali da renderli fondamentalmente incompatibili, vanificando la possibilità di giocare una campagna “cross-over”. Il mio giudizio sul singolo prodotto, Dark Heresy, è certamente positivo, ma poiché tale prodotto si iscrive in un quadro più grande dedito unicamente a togliere soldi dalle tasche dei giocatori, mi sento di consigliarlo soltanto al fan più accanito di Warhammer 40000.

martedì 30 settembre 2014

Esoterroristi





Ben ritrovati su queste pagine. Sto scrivendo delle recensioni su alcuni libri che ho letto recentemente, ma dato che la cosa mi sta portando via più tempo di quanto pensassi, interrompo il digiuno qua sul blog con un articolo su Esoterroristi, un gioco di ruolo di investigazione a sfondo horror, pubblicato in Italia dalla Janus Design. I giocatori interpretano il ruolo di investigatori dell’occulto appartenenti all’Ordo Veritatis, un’associazione segreta il cui compito è sventare le minacce al tessuto della realtà ad opera di fanatici cultisti noti come Esoterroristi. Questi mirano ad aprire portali spazio-temporali, allo scopo di far entrare nella nostra realtà creature mostruose di immane potenza, e tramite esse controllare la terra. L’ambientazione non è particolarmente originale, ispirata com’è ai racconti di Lovecraft, ma è semplice e funzionale, e mette subito in chiaro chi sono i buoni e i cattivi.


Esoterroristi utilizza il sistema di regole GUMSHOE, creato appositamente per gestire avventure a sfondo investigativo. Il limite dei giochi di ruolo precedenti, secondo Robin D. Laws, ideatore del sistema, è nella necessità di scovare gli indizi tramite tiri di dado sulle abilità del personaggio: se il tiro riesce, tutto ok, l’indizio viene trovato e si può passare alla prossima scena; se il tiro fallisce, il giocatore non trova l’indizio e il gioco entra in una situazione di stallo. Con il sistema GUMSHOE questo non avviene: le abilità investigative permettono automaticamente di trovare l’indizio, basta che il giocatore dichiari che lo sta cercando al posto giusto e con l’abilità appropriata. Esoterroristi sposta il problema dalla ricerca all’interpretazione dell’indizio: non viene messo in dubbio che il personaggio troverà la giusta traccia per proseguire l’avventura, la difficoltà semmai sarà quella di dare un senso all’indizio e collocarlo nella giusta prospettiva.


Il personaggio, ovviamente, non ha soltanto abilità investigative, ma anche capacità generali come Atletica, Guidare o Sparare. Queste abilità, a differenza di quelle investigative, sono usate in maniera analoga agli altri giochi di ruolo: il giocatore dovrà tirare i dadi per avere successo, quindi è possibile anche il fallimento. La meccanica è semplice ma interessante: il master fissa un livello di difficoltà, solitamente compreso fra 2 e 8, quindi il giocatore lancia un singolo dado a 6 facce. Se raggiunge o supera il valore di difficoltà stabilito dal master l’impresa è riuscita, in caso contrario l’azione fallisce. Il giocatore può spendere punti dalla propria riserva di abilità, ed è questa la novità rispetto ad altri giochi: il punteggio di abilità non è un valore fisso, bensì una riserva di punti da spendere. Man mano che l’avventura continua, la riserva diminuisce e con essa le possibilità per il personaggio di superare le prove. Un giocatore accorto deve sapere quando e dove impiegare al meglio le proprie risorse, la cui “spendibilità” simula il progressivo indebolirsi dell’eroe, sia fisicamente che psicologicamente, a causa delle dure prove a cui è sottoposto. Terminate le regole per creare il personaggio, il manuale dedica qualche pagina al combattimento, proponendo un sistema snello e decisamente letale per i poveri investigatori dell’occulto; a seguire le regole necessarie a ideare storie investigative, dove il master viene guidato passo per passo nelle delicate meccaniche che presiedono la creazione e la soluzione di un mistero. A chiusura del manuale (appena 90 pagine) c’è un’avventura, che serve a mostrare concretamente come questo gioco dovrebbe funzionare.


Esoterroristi è un gioco di ruolo con un comparto di regole ridotto al minimo, come le dimensioni del volume stanno a dimostrare. Le regole si soffermano unicamente su ciò che è importante per narrare una storia di orrore e mistero, e vogliono essere le più semplici possibili, sia da comprendere che da giocare. Giocatori che non amano regolamenti complessi e che non vogliono perdersi in inutili fronzoli probabilmente apprezzeranno questo gioco; coloro che preferiscono regolamenti più solidi e omnicomprensivi avranno invece difficoltà a trovarsi a loro agio con questo sistema, ma se davvero amano le storie di investigazione potrebbero alla fine gradirlo. La domanda fondamentale che un giocatore dovrebbe porsi, però, è se la premessa sulla quale è costruito il gioco (ossia l’incapacità degli altri sistemi di gestire con efficacia le storie investigative) sia vera oppure no. Se la risposta è positiva, allora Esoterroristi è sicuramente il gioco che fa per lui; in caso contrario può considerarlo un gioco come tanti. Questo non significa che il sistema GUMSHOE sia da scartare, la varietà nei titoli di giochi di ruolo è un fatto sicuramente positivo, ma semplicemente Esoterroristi non risponde alle esigenze specifiche di tale giocatore, probabilmente già soddisfatte da altri giochi. 

Come parere personale, considero Esoterroristi un gioco valido, ma ritengo in parte errata la sua premessa. Il fatto che l’investigazione possa arenarsi, bloccando di fatto la storia, se il giocatore fallisce nello scovare indizi tramite i dadi, è un problema facilmente ovviabile con modifiche ad hoc da parte del master, senza considerare che si tratta di casi abbastanza rari. Non è certo comune vedere un intero gruppo di 3 o 4 giocatori fallire contemporaneamente i propri tiri sulle abilità, abilità che probabilmente avranno anche valori abbastanza alti; molti giochi, inoltre, hanno delle meccaniche che permettono di rilanciare o migliorare i propri tiri (come i punti azione di D&D o i punti fortuna di Warhammer). Esoterroristi è un gioco nato in risposta a questo problema, ma come si è visto ci sono soluzioni meno drastiche al cambiare addirittura sistema. In ogni caso, fa sempre piacere vedere la nascita di un nuovo gioco, soprattutto se ben congegnato ed interessante come Esoterroristi.