“La stanza profonda” è il titolo di un libro interamente dedicato al mondo dei giochi di ruolo. L’ho scoperto per caso, su internet e mi ha subito incuriosito, per varie ragioni. Innanzitutto il libro è un romanzo, non un saggio o un trattato. Ovviamente, nel corso della lettura escono fuori tantissime informazioni sul gioco di ruolo, sulla sua storia, sui titoli più famosi, ma il libro è e resta un romanzo, con dei personaggi ed una storia, e questo dovrebbe renderlo accessibile anche a chi non fa parte della sottocultura dei giochi di ruolo. L’autore del libro è Vanni Santoni, scrittore toscano non proprio di primo pelo, che ha già al suo attivo diversi romanzi e, per ciò che ci interessa, è un profondo conoscitore del mondo dei giochi di ruolo. Conoscenza che gli deriva dal fatto di essere stato giocatore e master per oltre venti anni e leggendo il libro si capisce subito che è stato scritto da qualcuno che sa di cosa parla. Ciò che però mi ha davvero incuriosito e portato a leggere il romanzo è stata la sua intervista per il sito Wired. Se vi interessa, potete leggerla qui per intero; a farla breve, l’autore riconosce ai giochi di ruolo, nel momento del loro massimo splendore (anni ‘80-’90) il valore di controcultura. Mentre gli altri giochi, sport compreso, alla fine della partita decretano un vincitore ed un perdente, il gioco di ruolo è l’unico medium che vede tutti i giocatori collaborare assieme con l’unico scopo di divertirsi, dove nessuno perde e tutti vincono. Un messaggio rivoluzionario, a detta dell’autore e, come tutte le novità, spesso osteggiato perché non compreso fino in fondo: chi non ricorda le accuse di satanismo e di plagio della personalità mosse ai nostri amati giochi di ruolo? Terminata l’epoca d’oro, senza più una grossa massa di giocatori ma solo nicchie di appassionati, il gioco di ruolo si è trasformato in sottocultura. La sua essenza non è mutata ma, restando confinata a pochi giocatori, ha perso quella capacità di penetrazione che aveva avuto in precedenza. Tuttavia, avverte l’autore, la sua eredità è oggi onnipresente, nei giochi di ruolo per computer e nei social network. Il profilo facebook di una persona, in fin dei conti, non è una sorta di scheda del personaggio? E se Facebook, Instagram e gli altro social hanno dimostrato, anche tragicamente nel caso di suicidi dovuti al cyberbullismo, come il virtuale sia importante quanto e più del reale, non può essere lo stesso per i giochi di ruolo? Ciò che avviene al tavolo di gioco, quell’esperienza condivisa nell’immaginazione dei giocatori, non può essere priva di valore soltanto perché “non reale”. Serie televisive, film, videogiochi, sono sempre più importanti per le nostre vite; raccontare storie è l’hobby preferito dell’umanità dall’alba dei tempi, perché non riconoscere al gioco di ruolo la sua giusta importanza?
Tutte queste considerazioni, la maggior parte dell’autore, qualcuna mia dopo aver letto l’intervista, mi hanno spinto a comprare il libro e l’ho finito in pochissimo tempo. Come è? Vale la pena leggerlo? Di impulso, la risposta è si, va letto anche soltanto per ciò di cui tratta. Mi pare anche il caso di sottolineare che “La stanza profonda” è stato selezionato tra i finalisti del premio Strega, il concorso letterario più famoso d’Italia, quindi non stiamo parlando di una robetta senza valore. L’interesse che sta suscitando questo libro, all’interno del circolo dei giocatori di ruolo e degli appassionati è scontata, ma grazie al palcoscenico fornitogli dal premio Strega, si può sperare che “La stanza profonda” raggiunga altre persone. Bene o male, purché se ne parli, diceva qualcuno e sono assolutamente d’accordo. Il nostro hobby è sin troppo ghettizzato, è ora che esca dalle cantine, dalle associazioni, dalle “stanze profonde”, come le chiama l’autore, per prendersi il suo posto al sole. Questo ci riporta al libro, ma come è davvero? Per rispondere, analizziamo separatamente pregi e difetti.
Pregi
Il fatto che il libro parla di giochi di ruolo, per il sottoscritto, è già un pregio. Il protagonista del romanzo, quasi autobiografico per certe cose, a detta dell’autore, ripensa ai venti anni e più passati nella cantina della casa dei suoi genitori (appunto la stanza profonda) a giocare con i suoi amici. Ripercorrendo la sua storia, si ripercorre anche quella dei giochi di ruolo, di come venivano ghettizzati, della difficoltà a trovare giocatori, dei negozi, dell’invasione delle carte Magic, la formazione del gruppo e gli anni di gioco. Il passaggio del tempo muta profondamente il mondo dei giochi, il protagonista, i suoi compagni, ma anche la piccola provincia toscana dove è ambientato il romanzo. L’autore tenta di evitare l’effetto nostalgia, nel complesso riuscendoci ma lo stesso non può dirsi per noi lettori e giocatori di una certa età, che possiamo davvero identificarci nel protagonista. Leggere certe pagine, ricordare certe cose, ci provocano un piccolo tuffo al cuore, un salto nel passato, la gioia di ricordare come tutto è cominciato. Il libro è scritto in una inedita seconda persona; la scelta è voluta, perché si tratta del registro che normalmente utilizza il Dungeon Master quando si rivolge ai giocatori. Inizialmente l’effetto è un pò spiazzante, ma poi ci si abitua e si apprezza anche l’idea.
Difetti
Il libro è un romanzo, l’ho già detto, però la storia è davvero poca cosa, perché in fin dei conti non succede nulla. Il protagonista ripensa ai suoi anni da Master, ai suoi compagni di gioco e poco altro. Se non si è appassionati del genere, se non si capisce ciò di cui si sta parlando, nonostante tutti gli sforzi dell’autore per rendersi comprensibile ai profani, non so quanto possa sembrare un romanzo piuttosto che un ripasso di storia dei giochi di ruolo. C’è poi un’altra cosa che mi dà da pensare, cioè la relativa freddezza dei personaggi. Al di là dei rapporti di gioco, al di là dei legami che si stringono nella stanza profonda, i giocatori non sembrano essere amici, non si vedono né si frequentano tra loro fuori dal gioco. La scelta è voluta, ha spiegato l’autore, per evitare di cascare nei soliti cliché, ma non mi trova d'accordo. Non credo esista un gruppo di giocatori di ruolo i cui membri non sono anche amici. Si può tranquillamente giocare con estranei, avviene alle fiere e alle convention, ma nell’ambito del proprio gruppo, è impossibile che alla fine non si diventi amici. Il desiderio di evitare stereotipi nel descrivere i giocatori del romanzo è ammirevole, ma l’effetto finale nega la realtà delle cose. I giocatori di ruolo, i nerd, sono già visti come tipi strani dai non giocatori. Forse è vero e forse no, preconcetti e stereotipi sono duri a morire ma su una cosa sono sicuro, si gioca di ruolo con gli amici, e se non lo si è ancora, ci si diventa.
Lascio a voi decidere se vale la pena leggere questo libro. Personalmente la risposta è si. Al di là di ciò che rappresenta, un libro sul mondo dei giochi di ruolo, motivo per cui l’avrei letto a prescindere, mi sono divertito a farlo e pertanto mi sento di consigliarlo. Se siete dei giocatori probabilmente vi piacerà. Se non siete giocatori ma avete amici, fidanzati, moglie o marito in questa categoria, quanto meno vi interesserà. Quante volte vi sarete chiesti “ma cosa fanno davvero quando giocano? Perchè giocano?”; ora avrete la risposta. Se non giocate e non avete nessuna connessione con questo mondo, sta a voi e alla vostra curiosità decidere. Come ho scritto, la storia del romanzo è poca cosa, è più che altro una scusa per parlare del mondo dei giochi di ruolo. Se cercate personaggi ben delineati, trame avvincenti e colpi di scena, lasciate perdere. Se invece non vi dispiace immergervi in atmosfere di provincia, dove non accade mai nulla tranne il tempo stesso che passa, se volete scoprire qualcosa di nuovo, siete i benvenuti.
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