Si da spesso per scontato che Dungeons & Dragons sia il migliore
(o il più bello, fate voi) fra i giochi di ruolo. Per i media generalisti,
parlare di gioco di ruolo è parlare di D&D e lo stesso accade tra la
maggioranza dei giocatori. Concetti come classe, livello, punti ferita,
sembrano dover appartenere ad ogni gioco di ruolo e non ad un singolo gioco.
Ma D&D è davvero il miglior gioco di ruolo del mondo? L’unica cosa
che si può dire con certezza di D&D è che è stato il “primo” gioco di ruolo
del mondo, nell’ormai lontano e leggendario 1974. Che sia anche il migliore
direi che è abbastanza opinabile e, nel mio caso specifico, decisamente NO. Se
vi accontentate della risposta breve, potete fermarvi qui. Se invece volete una
spiegazione, continuate pure a leggere.
Come prima cosa, occorre considerare che D&D ha avuto la bellezza
di 5 edizioni nei suoi 44 anni di vita, edizioni anche molto diverse fra loro,
ispirate da concetti diametralmente opposti. E’ chiaro quindi che, a voler
sostenere che D&D sia il più bel gioco di ruolo del mondo, si dovrebbe poi
specificare di quale edizione si parli: ritenerle tutte e 5 dei capolavori è solo
bieca partigianeria. La prima edizione (la famosa scatola rossa per i giocatori
italiani) non penso può essere giudicata e questo lo dico a suo favore. La
prima edizione di D&D è semplicemente l’inizio della storia, il primo gioco
di ruolo, non può essere paragonato a nulla prima di esso, può muoversi in un
territorio completamente inesplorato. Il rovescio della medaglia è quello di
essere un precursore e, come tale, ampiamente migliorabile da ciò che verrà
dopo. Un giudizio sulla scatola rossa, infine, sarebbe viziato da un potente
fattore nostalgia. “Al cuor non si comanda” dicono i saggi e hanno
assolutamente ragione, visto il revival anni ’80 che imperversa in questi anni
al cinema e in TV. Lasciamo quindi stare la prima edizione, è materia da
leggenda, non di indagine.
La seconda edizione, meglio nota come Advanced Dungeons & Dragons,
conferma quanto ho appena scritto: il fatto che nel nome compaia una scritta
come “advanced”, indica che il gioco base può essere migliorato. Il
miglioramento, però, è solo apparente, di quantità, non di qualità: AD&D,
infatti, è una schifezza e chi lo gioca ancora dovrebbe andare a nascondersi.
Un’accozzaglia di regole mal amalgamate, messe insieme senza un perché o un
percome, ecco cosa è davvero AD&D. Non c’è un sistema coerente e logico, ci
sono solo regole che si accastellano le une sulle altre senza un perché, ogni
cosa fa regola ed eccezione per conto suo. Il gioco è pieno di quelle assurde
limitazioni, tipo i maghi che non possono usare la spada, che esistono senza un
perché, tranne il fatto che deve essere così. Tutto ciò che era perdonabile alla
prima edizione di D&D, non ha scusanti nella sua presunta versione “migliorata”.
Passano gli anni, la TSR (casa editrice di D&D) fallisce e il
nostro amato gioco di ruolo viene rilevato dalla Wizards of the Coast, che già
produceva le carte Magic. Si arriva così alla 3° edizione degli anni 2000,
indubbiamente un grosso successo editoriale. Sono sicuro che molti fra voi
giocatori che state leggendo avete iniziato a giocare con questa edizione. La
terza edizione supera tutte le scempiaggini della seconda e, per la prima volta
nella sua storia, D&D ha come motore di gioco un sistema davvero degno di
questo nome. Ogni regola ha una sua logica, trova il suo senso in quella che la
precede ed è possibile intuire cosa verrà dopo. Il d20 system diventa così
famoso che decine di altri titoli si affrettano ad utilizzarlo per risultare
compatibili con D&D o quanto meno per permettere ai giocatori di provare
nuovi giochi senza imparare nuovi regolamenti. Dove c’è luce c’è anche ombra e
la terza edizione non è esente da difetti. Il regolamento è poderoso, niente di
incredibilmente difficile, intendiamoci, ma va letto e studiato quasi fosse un
manuale di diritto. Inoltre, con la terza edizione prende piede una cattiva
abitudine di gioco che possiamo riassumere con l’espressione “power play”.
Quando si smette di vedere il proprio personaggio come una “persona”, quando lo
si considera un insieme di bonus che devono essere i più alti possibile, quando
lo scopo non è più giocare secondo le regole ma cercare di fregarle tramite
scappatoie, ecco, questo è il power play. Ad essere onesti, non è che prima
della terza edizione non esistessero tali comportamenti. E' però corretto
affermare che da quel momento se ne è cominciato a parlare in maniera costante
ed è anche corretto affermare che D&D 3° edizione sembrava blandire tale
gioco, sfornando decine e decine di manuali con nuovi talenti, nuovi
incantesimi, nuove classi di prestigio. Quando le combinazioni si fanno
infinite, è facile non accorgersi che alcune di esse possano totalmente
scombinare il sistema. Il power player se le va a cercare apposta, con lo scopo
di proporle in gioco, rovinando l’esperienza ludica di tutto il gruppo. La
terza edizione ha avuto grandi meriti ma ha anche tirato fuori il peggio da
molti giocatori, il titolo di miglior gioco di ruolo non può spettarle.
Questo titolo non può ovviamente toccare neppure alla quarta edizione,
la più odiata dagli stessi giocatori di D&D. Coraggiosa nel tentare delle
innovazioni, la quarta edizione, uscita nel 2008, fallisce clamorosamente nel
momento in cui fa proprio uno spirito di gioco simile ad un videogame: poteri a
volontà, ad incontro o al giorno, impulsi curativi e tante altre
caratteristiche hanno disgustato una grossa fetta dei giocatori … e con buona
ragione, mi sento di aggiungere. Non sprecherò altre parole per questa
edizione: se persino i fan di D&D ne parlano male, di certo non può
aspirare ad essere il miglior gioco di ruolo di sempre.
Veniamo infine alla quinta edizione, l’ultima, uscita nel 2014. Qui
cammino su una lastra di ghiaccio, certo che le mie affermazioni potrebbero far
infuriare i fan più esagitati. Personalmente, ritengo questa quinta edizione
appena sufficiente, per tutti i motivi che potete leggere in questa accurata
recensione che ho scritto alcuni mesi fa. Per chi è pigro o smemorato,
farò un brevissimo riassunto. La quinta edizione ha un regolamento abbastanza
semplice e snello, sostanzialmente una terza edizione molto semplificata. Le
poche scelte a disposizioni ed alcune sagge scelte di design bloccano ab origine la possibilità di fare power
play spinto in questa edizione. Non è impossibile (e con l’arrivo di futuri
supplementi le cose potrebbero essere rimesse in discussione) ma sicuramente è
stato reso molto più arduo e privo di senso. Il grosso difetto di questa
edizione è che, seppur nelle regole guarda alla terza edizione, nelle
intenzioni e nello spirito di gioco guarda alla quarta. Lo scopo dei creatori
del gioco, quando si sono messi a tavolino a progettarlo, sembra essere stato
quello di impedire che i personaggi possano morire, dovendo invece vincere
sempre. Le regole sulla morte ed il recupero dei punti ferita sono davvero
sbilanciate a favore dei giocatori, mentre gli incantesimi sono stati riscritti
per renderli meno mortali. La gestione dei mostri negli incontri riflette
questi cambiamenti: per mettere in difficoltà i personaggi questi devono
fronteggiare almeno 4 o 5 combattimenti di seguito, altrimenti hanno già la
vittoria in tasca. Obbligare i personaggi a scontri incessanti è un modo di
giocare infantile, da videogioco; provare a fare diversamente viene reso
difficile dal sistema, che è progettato in senso opposto. Come nella quarta
edizione, anche il bilanciamento dei personaggi viene messo al centro del
gioco, un obiettivo pur lodevole (ma non necessario), che viene perseguito però
in maniera sbagliata, ad esempio con il livellamento verso il basso degli
incantatori e della magia. Questa edizione non solo non è il miglior gioco di
ruolo del mondo ma probabilmente neppure la migliore delle edizioni di D&D.
E’ una versione annacquata di quello che dovrebbe essere un gioco di ruolo, una
versione che insegue la semplicità a scapito della pericolosità e del
divertimento, dove vincono tutti come in un videogioco e la morte, se mai
dovesse capitare, è un problema solo se non avete “salvato” la partita.
Da che mondo è mondo molti giocatori hanno iniziato a giocare di ruolo
con D&D, ognuno con la sua edizione di riferimento in base al momento
storico. In un altro articolo di questo blog, mi chiedevo se la 5°
edizione di D&D potesse essere almeno un buon gioco di ruolo per
principianti. La risposta, in breve, era NO, per due motivi. Il primo è
prettamente economico: 3 manuali da 300
pagine l’uno (circa) a 50 euro al pezzo non fanno di D&D un gioco
economico, senza considerare che all’appello manca ancora l’eventuale
ambientazione. I polemici obietteranno che c’è lo Starter Set, che contiene
un’avventura e le regole per i personaggi già generati fino al 5° livello. Mi è
facile ribattere che io parlo di gioco di ruolo completo, e per completo intendo
con tutto il necessario per giocare non solo una singola avventura ma un’intera
campagna, con tanto di ambientazione. Molti giochi di ruolo hanno queste
caratteristiche, D&D no. Lo Starter Set è solo un omaggio alla vecchia
scatola rossa ma a conti fatti è solo una spesa extra perché un giocatore
interessato a giocare seriamente dovrebbe comunque procurarsi gli altri
manuali. Il secondo motivo è di carattere più astratto e riguarda le
aspettative di un giocatore neofita. E’ chiaro che non si arriva a giocare di
ruolo solo per ammazzare il tempo, ci si arriva perché immersi in un certo tipo
di cultura, quasi sempre di natura fantasy. Il Signore degli Anelli, Il Trono
di Spade, Conan il Barbaro, sono tutti esempi del tipo di cultura in cui
potrebbe sguazzare un novello giocatore. Ebbene, con D&D risulterebbe
praticamente impossibile simulare i mondi appena citati, D&D ha un
immaginario fantasy diverso che sconfina spesso e volentieri nel super eroico.
Se personaggi come Aragorn, Gandalf o John Snow disponessero dei poteri dei
personaggi di D&D, le loro storie “eroiche” durerebbero 5 minuti: Gandalf
si teletrasporterebbe con Frodo presso Monte Fato, distruggendo così l’Unico
Anello, mentre John Snow, potente guerriero di alto livello, sarebbe
praticamente immune a tutti gli attacchi dei normali soldati.
Di questa ultima faccenda ne ho avuto la riprova
alcuni giorni fa, quando volevo scrivere un one shot (gergo dei giocatori che
indica un avventura auto conclusiva con personaggi pre-generati) per
principianti. La mia storia si basava su misteri e intrighi familiari ed
avrebbe avuto come antagonista un vampiro che, alla fine, si sarebbe scoperto
essere l’avo di uno dei personaggi, per fare un bel colpo di scena. Quando si
scrive una storia per neofiti, credo sia divertente strutturare la partita come
un bel film d’azione, con un cattivo all’altezza, esattamente come può essere
un vampiro. Ho scritto l’avventura per il “Cyperh System” e per “L’Ultima
Torcia” e tutto è andato liscio come l’olio, il regolamento supportava
perfettamente la mia visione: ero in grado di creare personaggi all’inizio
della loro carriera, semplici da giocare ma comunque potenti e fargli
affrontare un vampiro, una creatura molto pericolosa ma non invincibile. Dopo
aver finito, mi sono chiesto se avrei potuto fare lo stesso con D&D. La risposta
è stata negativa: un vampiro è un avversario troppo forte per personaggi
principianti, li avrei dovuti creare molto più forti, a detrimento della
giocabilità e della semplicità (un conto è dare un personaggio di 1° livello ad
un giocatore principiante, con pochi poteri, facile da usare, un conto è dargli
un personaggio di 7° livello o più e spiegargli milioni di cose; per gli
incantatori, poi, è un vero incubo, con tutti i loro incantesimi). Per tenere
le cose semplici avrei dovuto usare personaggi di 1° livello ma al tempo stesso
avrei dovuto scartare la storia, perché personaggi di quel livello possono al
massimo esplorare una caverna con due goblin. Questo è un grosso problema di
D&D: i personaggi iniziano la carriera come nullità, la finiscono che sono
gli esseri più potenti del mondo. Un vampiro è un avversario imbattibile al 1°
livello, affrontabile al 10°, una cacca sotto le scarpe al 20°. La mia
preferenza va a sistemi dove i personaggi non diventano necessariamente più
potenti ma più competenti, con la possibilità di sconfiggere un vampiro tanto
all’inizio che alla fine della carriera pur restando sempre un avversario da
non sottovalutare. Questi sistemi sono adatti sia a principianti che a
giocatori esperti e sono in grado di catturare lo spirito di film, romanzi e
serie TV, ossia quei mezzi che nutrono la nostra passione per l’avventura (e il
fantasy, se parliamo di D&D).
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaIl conteggio delle edizioni è errato, in quanto la scatola rossa (1983) NON è la prima edizione del gioco ma fa parte di una linea morta con la Rules Cyclopedia.
RispondiEliminaIl conteggio attuale (che ha rimosso la "A" in quanto il prodotto è unico dai primi anni 90) fa riferimento ad AD&D, la cui prima edizione è del 1978.