Anche se a volte io stesso lo dimentico, questo blog è originariamente
nato per parlare di giochi di ruolo. Si sa poi come le cose vanno a finire: un
articolo tira l’altro e si finisce per scrivere qualunque cosa ti passi per la
testa. Il blog finisce così per riflettere la mia vita e sono assolutamente
contento di ciò. Detto questo, non mi dispiacerebbe tornare a parlare di giochi
di ruolo e vorrei farlo con una serie di articoli che indaghino questo
bellissimo hobby a 360 gradi. Lo spunto mi viene dalla richiesta di un amico
che mi aveva pregato di tenere un “corso di gioco di ruolo” in un ludo pub. La
cosa non è (ancora) andata in porto ma l’idea di sottofondo era buona. Questi
articoli saranno una vera e propria incursione dietro le quinte del gioco di
ruolo: ci occuperemo di tematiche generale, di definizioni, ma ci saranno anche
pezzi eminentemente pratici, dedicati soprattutto ai Game Master, con consigli
spiccioli su come gestire il gioco. L’articolo che vi apprestate a leggere delinea
gli elementi fondamentali che definiscono il gioco di ruolo in senso generale,
senza riguardo per singoli giochi come Dungeons & Dragons oppure Cyberpunk.
E’ pensato per poter essere letto tanto da novizi quanto da veterani e pone le
basi per tutti i futuri articoli. Divertitevi.
Esistono mille definizioni di gioco di ruolo, da quelle più banali a
quelle più sofisticate. Quella da cui voglio partire si limita a dipingere il
fenomeno in base a come appare. Il gioco di ruolo è un gioco di società in cui
i partecipanti (tranne uno) fanno finta di essere delle altre persone. Questi
alter-ego dei giocatori, questi avatar, partecipano ad avventure immaginarie in
un mondo immaginario controllato dal Game Master, l’unico giocatore a non avere
un personaggio tutto suo da impersonare. Il Game Master conosce le regole del
gioco, ha il controllo del mondo di gioco, interpreta tutte le persone fittizie
che vi abitano e con cui i personaggi dei giocatori potrebbero entrare in
contatto. Il gioco si svolge su un piano puramente verbale e immaginario: il
Game Master descrive la scena, cosa vedono i personaggi dei giocatori, quindi
chiede loro cosa vogliono fare; i giocatori rispondono e il Game Master
racconta cosa succede. Le azioni dei giocatori, ovviamente, modificano la
scena, per cui il Game Master offre nuovamente ai giocatori delle scelte e così
via, fino alla conclusione della storia, qualunque essa sia. Solitamente il
Game Master, quando comincia la partita, ha una vaga idea di che storia
narrare, un canovaccio di base, ma la storia vera e propria potrà svilupparsi
solo con l’interazione costante fra lui e i giocatori.
La definizione che ho usato è abbastanza rozza, ma ha il pregio di
catturate cosa avviene realmente al tavolo di gioco, oltre a mettere in luce
gli elementi caratteristici del gioco di ruolo, elementi che lo differenziano
da qualunque altro tipo di gioco. Vediamoli uno per uno, sia pur brevemente.
Innanzitutto, come dice la parola stessa, il gioco di ruolo è un gioco. Questo significa che ha delle
regole e che non si dovrebbe barare. A differenza dei giochi normali, nel gioco
di ruolo non si vince e non si perde, i giocatori non sono in competizione né
fra di loro né contro il master (o viceversa). Questa caratteristica è molto
importante e ne riparleremo dopo. E’ un gioco di società, quindi si fa insieme ad altre persone, di solito i propri
amici ma non è indispensabile, alle varie fiere di settore è possibile provare
dei giochi insieme a completi sconosciuti. Il fatto che sia un gioco sociale
implica che, oltre alle regole del gioco vero e proprio, vi siano delle regole
sociali non scritte, che sono importanti quanto quelle ufficiali, la cui non osservanza
può portare ad una insoddisfacente esperienza di gioco, se non addirittura alla
disgregazione del gruppo. Queste regole sociali formano un vero e proprio patto fra GM e giocatori e si pongono,
rispetto alle regole del gioco vero e proprio, come la Costituzione rispetto
alle leggi ordinarie dello stato. Anche di questo ne riparleremo più avanti.
Nel gioco di ruolo, ogni giocatore (tranne il GM) fa finta di essere un’altra persona, che viene chiamata personaggio
giocante. Il personaggio è definito, tramite le regole del gioco, da attributi
e caratteristiche numeriche che indicano quanto è forte, sveglio o veloce; tali
caratteristiche vengono raccolte fisicamente su un pezzo di carta, la scheda
del personaggio. Il cuore o l’anima di questo personaggio fittizio è fornito
dal giocatore che lo impersona, il quale deciderà cosa gli piace, cosa non gli
piace, la sua storia passata, i suoi obiettivi, insomma tutto quello che rende
“reale” una persona, di fantasia o meno. Ma che significa esattamente fare
finta di essere un’altra persona? Cosa deve realmente fare il giocatore? Il
giocatore deve interpretare il
personaggio come se lui fosse quella persona, niente di più, niente di
meno. Non è obbligato a recitare le sue battute con verve teatrale, né a
parlare in prima persona se non se la sente: giocare di ruolo non è una gara di
recitazione né di improvvisazione. Il giocatore, semplicemente, deve agire e
pensare come se lui fosse il suo personaggio, con i suoi pregi e i suoi
difetti, anche diversi da se stesso. Se il giocatore sta interpretando un
personaggio che è stato definito come un codardo, non dovrà essere il primo a
gettarsi nella mischia; se sta interpretando un personaggio che odia il mare
non dovrebbe finire imbarcato sulla prima nave che parte. Soprattutto, un giocatore
dovrebbe tener separate le sue conoscenze da quelle del personaggio. Il
giocatore potrebbe sapere alcune cose che il suo personaggio ignora (ad esempio
quanto è pericolosa una certa creatura, perché l’ha incontrata in precedenti
partite, ma il suo personaggio vi ha a che fare per la prima volta) oppure
essere vero il contrario (un personaggio fittizio di un mondo fittizio
conoscerà certamente fatti e persone di quel mondo ma il giocatore molto
probabilmente no, quindi toccherà al GM informare il giocatore di queste
conoscenze extra). Sfruttare abusivamente le conoscenze del giocatore (o del
personaggio) non solo provoca gravi disfunzioni durante il gioco ma è anche una
delle frequenti cause di quel problema noto come “fare del meta-game”. Fare del meta-game significa giocare
sapendo che stai facendo un gioco; significa utilizzare le logiche interne del
gioco per prendere delle decisioni al posto delle conoscenze del personaggio.
Pensare (e giocare) in base a fatti come “siamo quasi alla fine del labirinto,
sicuramente li ci sarà il cattivo più forte” oppure “questa stanza deve
contenere un passaggio segreto altrimenti l’avventura si blocca” oppure “se
fosse importante il GM ce l’avrebbe fatto trovare”, è uno svilimento del gioco
e del concetto di interpretazione: il personaggio non sa di non essere reale e
di star partecipando ad un gioco! Su questa faccenda del meta-game ci si
potrebbero fare interi articoli ma per adesso basta questo, andiamo avanti.
Dicevamo che ogni giocatore interpreta un personaggio, tranne uno.
Questo solitario eroe del gioco di ruolo, a cui è negato il piacere di avere un
personaggio tutto suo, è il Game Master
e basta scorrere la lista dei suoi compiti per capire perché parlo di lui come
un “solitario eroe”: il GM deve conoscere bene le regole (sarebbe il caso che
le conoscano anche i giocatori, ma lui non può proprio esimersi), controlla il
mondo di gioco in cui si muovono i personaggi giocanti, ne interpreta ogni
comparsa (dall’anonimo macellaio al malvagio Signore Oscuro che vuole
distruggere l’universo), propone ai giocatori una storia ogni volta diversa per
mettere in moto il gioco e deve svolgere tutti questi compiti sostanzialmente
da solo. Tante cose contribuiscono al successo e al divertimento di una
partita, ma nessuna è fondamentale come un buon Game Master che sa il fatto
suo, consapevole dei suoi compiti e delle sue prerogative, in grado di
sfruttare ogni trucco del mestiere per portare a casa il risultato. Il GM non
può avere un suo personaggio per due motivi: il primo, quasi banale, è che non
ha tempo! Riuscire a fare tutto quello che deve fare lo assorbe completamente,
non ha materialmente il tempo per curare l’interpretazione di un personaggio.
Il secondo motivo, molto più importante, è che il GM è anche l’arbitro del
gioco e non può mettersi sullo stesso piano dei giocatori, così come un giudice
non può scendere dal suo scranno e mettersi nei panni dell’accusa o della
difesa. Il GM deve essere imparziale, e per farlo deve rinunciare ad avere un
suo personaggio, in caso contrario si avrebbe un chiaro conflitto di interessi:
da una parte c’è il GM, che propone una storia e muove gli antagonisti dei
personaggi, dall’altra i giocatori, che si situano sul versante opposto. Come
potrebbe il GM interpretare un suo personaggio e al tempo stesso i suoi
avversari? Chiaramente non è possibile ed è per questo motivo che un GM non può
avere un personaggio tutto suo come gli altri giocatori.
E’ il momento di riprendere due punti lasciati in sospeso. Cominciamo
dal primo: si è detto che nel gioco di ruolo nessuno vince e nessuno perde,
diversamente da altri giochi. Si è però appena detto che GM e giocatori si
trovano su versanti opposti. I giocatori non vincono se sconfiggono gli
avversari del GM? E il Game Master non vince se sconfigge i personaggi dei
giocatori? La risposta sembra complicata ma se avete letto attentamente quanto
si è scritto sinora, ci arriverete con facilità. Lo scopo del gioco di ruolo è
vivere insieme ai propri amici un’avventura, raccontare una storia dove gli
eventi non sono prestabiliti come in un libro ma determinati dalle scelte dei
giocatori. Se questo è lo scopo, il concetto di vincere o perdere come viene comunemente
inteso perde di significato. Se i giocatori hanno ben interpretato i loro
personaggi … se la storia che è nata dall’interazione fra questi e il GM è
stata interessante e coinvolgente … se, insomma, tutti i giocatori (GM
compreso) si sono divertiti, allora non serve altro. Da questo punto di vista,
giocatori e Game Master “vincono” sempre. Si può parlare di vittoria e
sconfitta, se proprio vogliamo, unicamente dal punto di vista dei personaggi.
Questi potrebbero essere sconfitti dalle difficoltà della storia: potrebbe
perdere un duello, non arrivare in tempo per salvare il villaggio assediato,
potrebbero essere umiliati a corte dal duca; addirittura, potrebbero anche
finire uccisi! Indubbiamente tali eventi non fanno piacere ai giocatori, però occorre
riconoscere che l’avventura, seppur un disastro per i personaggi, potrebbe
comunque essere stata divertente e ben giocata. Un buon giocatore sa
riconoscere che il divertimento non passa sempre per la vittoria del proprio
personaggio e capita spesso che, negli anni, le storie che si ricordano meglio
sono proprio quelle in cui qualcosa è andato storto. Una morte eroica, un
colossale sbaglio, un errore madornale, ogni giocatore ha diversi aneddoti
divertenti da raccontare sulle proprie avventure e non tutte legate alla
vittoria del proprio personaggio. Se ci spostiamo dalla parte del Game Master,
le cose non sono molto diverse. Vedere la propria avventura che termina con lo
sterminio totale del gruppo non è una bella cosa! Innanzitutto perché questo
vuol dire la fine della storia anzi, di tutte le storie che coinvolgevano quel
gruppo. Immaginate mesi e mesi di trame portate avanti silenziosamente, tutto
vanificato in poche ore di gioco da qualche tiro di dado. Secondo, il massacro
del gruppo potrebbe esser stato causato dallo stesso Game Master! A meno che i
giocatori, testardamente e stupidamente, non si sono messi in testa di sfidare
avversari chiaramente più forti di loro, la morte collettiva di tutti i personaggi
(in inglese nota come TPK, ovvero “total party kill”) potrebbe essere il
risultato di un errore del Game Master, che ha sbagliato nel valutare la forza
degli avversari. Abbiamo detto che il GM deve essere neutrale, un arbitro del
gioco, e se i personaggi vanno in cerca di guai non deve fare sconti. Non
bisogna però dimenticare che il GM è una persona, un membro del gruppo sociale
di cui fanno parte i giocatori. Il Game Master, sotto la sua scorza di duro
giudice ed arbitro, è segretamente dalla parte dei giocatori. Quando sfida i loro
personaggi, che sia sotto forma di enigmi o di minacciosi avversari, non lo fa
per vederli sconfitti ma lo fa nella speranza che riescano a spuntarla. Questo
non vuol dire stare dalla loro parte, il GM non è un alleato in senso stretto
dei giocatori, ma è chiaro che la sconfitta dei giocatori non è il suo
obiettivo né, tantomeno, un risultato auspicabile. Così come i giocatori
“vincono” se interpretano in maniera convincente i loro personaggi mentre
partecipano alla storia condivisa, così il Game Master “vince” se propone una
storia interessante, interpreta in maniera divertente i personaggi non giocanti
e riesce a proporre sfide coinvolgenti. Queste sfide devono essere sentite dai
giocatori come vere: il GM può pure essere “dalla loro parte” nel senso di
sperare che questi riescano a superarle, ma non deve addomesticarle né
banalizzarle per farli vincere. Sconfiggere le minacce del Game Master è una
sfida molto divertente per i giocatori, il cui risultato non deve essere
falsato; d’altro canto, per il GM, sconfiggere i giocatori non è una vera
sfida, poiché potrebbe farlo senza problemi, potendo attingere a tutto il
regolamento e persino inventarsi le regole che gli servono! La vera sfida, per
un Game Master, è quella di proporre minacce interessanti e divertenti ai
giocatori, con la segreta speranza che riescano a sconfiggerle, così da poter
continuare il gioco.
Veniamo infine al secondo punto in sospeso, il
fantomatico patto fra GM e giocatori. Si è detto che il gioco di ruolo è un gioco
sociale, fatto in gruppo e, per questo motivo, oltre alle regole specifiche del
gioco in quanto tale, soggiace ad altre regole di natura sociale. Queste regole
sono il frutto di un accordo tacito fra il GM e i giocatori, una sorta di patto
sociale non scritto che va a regolare il modo di giocare e di comportarsi
attorno al tavolo. Tale accordo può avere ad oggetto le tematiche più
disparate, essere molto dettagliato o appena abbozzato ma di sicuro deve contenere
un punto fondamentale che può essere riassunto nelle frasi “stare al proprio
posto” e “stare al gioco”. Cosa significano? Stare al proprio posto indica che GM e giocatori devono aver ben
chiaro quale sia il loro ruolo e non usurpare prerogative che spettano
all’altra parte. Il GM, ad esempio, è l’arbitro delle regole: è giusto
ascoltare il parere dei giocatori ma poi la scelta finale deve essere sua, e tale
scelta non può essere messa continuamente in discussione. Giocare è divertente,
lamentarsi no. I giocatori, d’altro canto, con le loro scelte danno sostanza al
canovaccio di avventura proposto dal GM; non è corretto interferire con le loro
scelte, né forzarle in una direzione piuttosto che in un’altra. Stare al gioco è la logica
continuazione dell’altra asserzione. E’ compito del GM arrivare ad ogni partita
con una storia diversa, i giocatori devono fidarsi e mettersi nelle mani del
Game Master, certi che sa cosa sta facendo. Questo significa, ad esempio, non
impuntarsi a giocare contro la storia, rovinandola a tutti i costi, che è cosa
ben diversa dalla libertà di scelta. Prendiamo ad esempio un’avventura horror.
Il genere horror sfrutta determinati cliché, come la divisione del gruppo,
l’andare di notte fra tombe e cimiteri e così via: i giocatori dovrebbero
partecipare a questa avventura accettandoli, non cercando di opporvisi a tutti
i costi! Quante volte, guardando un film horror, ci si è trovati a prendere in
giro i personaggi del film quando sono entrati nella cripta del cimitero senza
una torcia oppure quando hanno deciso di dividersi, finendo per favorire il
mostro di turno? Ma c’è una grande differenza fra spettatori/giocatori e
personaggi del film/gioco. Questo non significa giocare stupidamente, se nel
gioco ci sono motivi per essere cauti, i personaggi avranno tutte le ragioni
per esserlo. Significa invece che, nel momento in cui si decide di giocare ad
un genere, occorre rispettarne le varie convenzioni implicite, fare il
contrario avrebbe come unico risultato quello di rovinare la partita. Andreste
mai a vedere un film horror in cui i protagonisti bombardano dall’alto ogni
cimitero per evitare di incontrare i mostri? Penso proprio di no, quindi per
quale motivo dovreste giocare alla stessa maniera una partita horror? Quando il
GM propone una storia ai suoi giocatori, lo fa nella convinzione che chiunque,
al tavolo di gioco, rispetterà le convenzioni del genere. I giocatori dovranno
avere tutta la libertà necessaria a determinare lo sviluppo della storia,
lasciando al GM il compito di condurla e di interpretare le regole. Quando
tutti i partecipanti al gioco, che siano i giocatori o il Game Master, sanno
qual è il loro ruolo e non tentano di interferire in faccende che non gli
competono, l’avventura e il divertimento possono finalmente decollare!
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