lunedì 29 luglio 2013

Wolverine, l'immortale




Come stanno a dimostrare i recenti articoli, in varie occasioni mi sono dedicato a scrivere recensioni di film, sebbene questo non sia lo scopo principale del blog. Prometto che presto metterò online un pezzo su alcuni giochi da tavolo molto carini che mi è capitato di provare, ma prima, in ossequio al desiderio di un amico, devo cimentarmi con un’altra recensione cinematografica, quella di “Wolverine, l’immortale”… è un titolo terrificante, lo so! Non dovrei neanche dirlo, ma le prossime righe conterranno diversi spoiler: se dovete ancora vedere il film in questione vi consiglio di rimandare la lettura; se non vi interessa o lo avete già visto, continuate pure, siete i benvenuti.


Andiamo dunque a cominciare e partiamo dal precedente film sull’artigliato canadese: i fan della saga cinematografica degli X-Men lo considerano come una grossa cagata! Verrebbe da pensare, quindi, che a fare di meglio ci sarebbe voluto poco: l’idea di portare Logan in Giappone, come già avvenuto diverse volte nella serie a fumetti, era decisamente intrigante ed i trailer lasciavano ben sperare. Il risultato finale, però, non è stato adeguato alle attese e il film, pur non risultando davvero brutto, è di certo abbastanza insipido. “Wolverine, l’immortale” riprende la storia di Logan là dove l’avevamo lasciata con X-Men 3; distrutto dalla perdita di Jean, la donna che amava e che ha dovuto uccidere con le proprie mani, Logan vaga per i boschi e le montagne canadesi privo di scopo, vivendo alla giornata come un barbone solitario. Una giovane mutante di nome Yukio, dotata del potere di vedere nel futuro, riesce a rintracciarlo e gli propone di seguirla in Giappone: durante la seconda Guerra Mondiale Logan salvò la vita a Yashida, un ufficiale giapponese e ora questi, vecchio e ormai prossimo alla morte, desidera ringraziarlo. Non solo: insieme ai ringraziamenti, Yashida fa a Logan un’offerta irripetibile: grazie alla tecnologia della multinazionale di cui è a capo, il vecchio giapponese afferma di poter trasferire il potere mutante di guarigione da Logan ad un’altra persona (ovviamente se stesso). In questa maniera Wolverine tornerebbe ad essere un normale umano, in grado di invecchiare insieme alle persone che gli sono care, senza doverle veder morire davanti ai suoi occhi. Da questo momento in poi Logan viene trascinato in una spirale di intrighi e menzogne che vede coinvolte la Yakuza, uomini politici, una letale mutante di nome Viper, nonché Yashida stesso. Il vecchio amico di Logan finge la sua morte e lascia tutta la sua ricchezza e la sua società alla nipote, la giovane e bella Mariko. La ragazza viene presa di mira da alcuni mafiosi durante il funerale del nonno e Logan è costretto ad intervenire per salvarle la vita. Pur avvelenato da Viper e con il fattore di guarigione ridotto al minimo, Logan riesce a fuggire con Mariko e a nascondersi. Fra i due sboccia l’amore ma il secondo tentativo di rapimento va a buon fine; Wolverine si mette sulle tracce della giovane e scopre che chi la vuole morta è Shingen, suo padre, deluso di essere stato tagliato fuori dal testamento. Logan si allea con Yukio, sistema per bene Shingen (già avvelenato da Viper, ma non si sa come ancora vivo e in forze per lottare con Wolverine, mah …), elimina il parassita avvinghiato al suo cuore che gli limitava il fattore di guarigione e si dirige alla fortezza della società di Yashida per liberare Mariko. Nello scontro finale Yukio elimina Viper mentre Wolverine se la deve vedere con un robot in adamantio dalla fattezze di un guerriero samurai: il colpo di scena (che però non sorprende nessuno) è che non è un robot, ma una corazza con dentro Yashida! Il vecchio è ancora ben determinato ad ottenere l’immortalità di Wolverine: a tal fine taglia gli artigli di Logan con le sue spade di adamantio incandescenti, quindi inserisce delle sonde nei moncherini spezzati per iniziare il trasferimento dei poteri. Wolverine riesce però a resistere e, dopo aver sfoderato i suoi artigli d’osso, trafigge Yashida e lo scaraventa giù dal fianco della montagna. Happy ending con Logan e Mariko che si salutano in aeroporto: lei ha acquisito forza e determinazione; Logan invece ha ritrovato la voglia di vivere e di combattere. Non manca neppure la scena dopo i titoli di coda: sono passati due anni, Wolverine si trova in un aeroporto e incontra prima Magneto, di nuovo con i suoi poteri, quindi il professor Xavier nel suo consueto aspetto di signore calvo in carrozzina. La scena dovrebbe servire a lanciare il prossimo film sugli X-Men: l’emozione di rivedere Xavier e Magneto è innegabile, però spero che in futuro ci saranno anche delle spiegazioni, dato che Magneto aveva perso i poteri e Xavier era morto (non proprio morto in realtà: il suo corpo era stato disintegrato da Jean, ma la sua coscienza si era trasferita nel corpo di un altro uomo, quindi la domanda resta, come ha fatto a recuperare il proprio corpo?).


La prima parte del film, fino al viaggio in Giappone, non è male. Chiaramente non succede nulla di eclatante, ma è realistica nel mostrarci un Wolverine affranto e solitario. Dopo la (finta) morte di Yashida, le cose si dovrebbero movimentare: c’è un primo combattimento al tempio, per la verità abbastanza caotico e del tutto privo di sangue (come fa un tizio con due artigli a non versare neppure un po’ di sangue? Dannate regole di Hollywood!), quindi uno scontro su un treno super veloce. Wolverine e un mafioso Yakuza si affrontano aggrappati al tetto di un treno che fa i 300 km/h: non mi stupisce più di tanto l’implausibile location dello scontro, stiamo pur sempre parlando di un film di supereroi; no, quello che mi stupisce è come faccia un normale scagnozzo della mafia ad avere capacità fisiche pari a quelle di Wolverine! Un conto è uno scontro quasi impossibile su un treno ad alta velocità fra Wolverine ed un altro mutante o comunque una persona eccezionale, un conto è lo stesso scontro fra Wolverine e un tizio qualunque. Il film prosegue con la fuga (che diventa d’amore) fra Logan e Mariko: una noia totale, che trascorre tra frasi pseudo mistiche e baggianate orientali che dovrebbero caratterizzare l’ambiente e l’atmosfera ma che irritano e annoiano soltanto. La storia si rianima un po’ con il rapimento di Mariko, ma la scoperta che dietro c’è il suo stesso padre non sorprende nessuno. Logan sconfigge Shingen e si apre il torace per estrarre il parassita che limitava il suo potere di guarigione, il tutto sotto gli occhi della sua nuova alleata Yukio. Il potere di Yukio dovrebbe essere quello di prevedere il futuro tramite delle visioni, ma appunto dico “dovrebbe”, dato ci azzecca solo quando serve alla storia, mentre toppa alla grande quando prevede la morte di Wolverine. Lo scontro finale avviene nella base delle industrie Yashida, una sorta di castello super tecnologico difeso da decine di ninja. Tutti ad aspettare questo benedetto scontro con i ninja, che purtroppo si risolve in tre secondi, con Wolverine arpionato da decine di frecce, legato e trascinato a forza da Viper...decisamente poco epico! Il finale è confusionario a dir poco: Viper rivela la sua inutilità come personaggio morendo per mano di Yukio senza che si riesca a capire quale fosse il suo scopo nell’economia del film; a seguire la scoperta che dentro l’armatura di adamantio c’è il vecchio Yashida in persona. A prescindere dal fatto che la rivelazione non stupisce nessuno, c’è invece che questo “colpo di scena” trasforma la trama del film, per ciò che si è visto fin a quel momento, da noiosa a stupida! Se Viper aveva indebolito Wolverine al punto da renderlo quasi mortale, perché non tentare di catturarlo direttamente? Fingendo la sua morte, inoltre, Yashida ha messo in grave pericolo non solo sua nipote Mariko, ma anche lo stesso Wolverine, che avrebbe potuto essere ucciso nel tentativo di difenderla, rendendo così inutili gli sforzi di Yashida di ottenere l’immortalità di Logan. Vogliamo poi parlare del sistema escogitato per rubare il potere di guarigione di Wolverine, ovvero tagliargli gli artigli di adamantio? Primo, l’adamantio è indistruttibile, non serve utilizzare spade di adamantio, neppure infuocate: lo scontro fra armi dello stesso metallo dovrebbe portare ad un semplice nulla di fatto (come è accaduto nel primo film di Wolverine, ad esempio, quando gli sparano con un proiettile di adamantio). Secondo, mi ha fatto ridere come Logan riesca ad attivare il potere di infuocare la spada che ha strappato a Silver Samurai soltanto impugnandola con entrambe le mani, quando Yashida riusciva ad infiammare i due spadone usandoli con ciascuna mano: un po’ di attenzione in fase di scrittura non guasterebbe. 

Dispiace dare un giudizio negativo del film, ma a conti fatti, pur non essendo davvero un brutto film, l’impressione che dà è “vorrei ma non posso”. C’è Wolverine, c’è il Giappone, ci sono i ninja, c’è Silver Samurai, ma tutti questi elementi mescolati danno un film scialbo, con una trama debole e a tratti noiosa, dei combattimenti non all’altezza e dei personaggi inutili se non proprio irritanti (come Viper). Rispetto agli altri film della saga degli X-Men, dove si faceva a gara ad introdurre nuovi personaggi e nuovi poteri, questo film appare più intimistico e introspettivo, ma gli manca la capacità di attrarre lo spettatore e di emozionarlo. A questo punto, meglio una baracconata piena di esplosioni e scazzottate: brutto per brutto che sia, almeno ci si diverte un po’!

mercoledì 3 luglio 2013

Horror Cult: Venerdì 13




Ben ritrovati ad Horror Cult. Se il film Halloween ha dato il via al sottogenere Slasher, è stata la saga di Venerdì 13 a donargli la sua icona più famosa: Jason Voorhees, l’assassino con la maschera da hockey. Jason ha imperversato sugli schermi cinematografici per tutti gli anni ’80 con una media di quasi 20 omicidi a film, si è scontrato con l’altrettanto famoso e infame Freddy Krueger, ha avuto il suo bel remake nel 2009 e, ciliegina sulla torta per il sottoscritto, si è visto pure dedicare una canzone da Alice Cooper, che ha prestato la sua voce graffiante e il suo talento rock nella colonna sonora del 6° film della saga. Di fronte a tali numeri noi devoti amanti dell’horror non possiamo che toglierci il cappello … anzi, la maschera (da hockey), e questo articolo è il mio personale tributo alla leggenda di Jason. La saga di Venerdì 13 si estende per la bellezza di 10 film, a cui si deve aggiungere l’incontro-scontro con Freddy Krueger nel film “Freddy vs Jason” (2003) e il remake del 2009, per un totale di 12 pellicole, un record nel genere horror ancora ineguagliato! Anche se vi sono dei personaggi ricorrenti (penso soprattutto a Tommy Jarvis, nel 4°, 5° e 6° capitolo), Jason Voorhees è il protagonista assoluto della saga: in ogni film c’è una ragazza o una coppia che si salva dalla furia omicida di Jason, ma non compare mai un vero e proprio antagonista positivo, come ad esempio il dottor Loomis in Halloween. 



Dopo ciò che ho scritto, è strano pensare che in “Venerdì 13” (Friday the 13th, 1980), il primo capitolo della saga, di Jason non vi sia quasi traccia! E’ Pamela Voorhees l’assassina del film, ed uccide per vendetta, spinta dal dolore per la perdita dell’amato figlio Jason. Appena undicenne, Jason affogò nel lago del campeggio di Crystal Lake, complice la disattenzione dei sorveglianti che erano impegnati in più piacevoli attività. Questa è una delle versioni della storia, mai del tutto chiarita fino in fondo neppure nei film, dato che, secondo la signora Voorhees, i ragazzi del campeggio ebbero un ruolo attivo nell’annegamento di Jason. Anche sulla figura di Jason bambino ci sono delle ambiguità: in alcune immagini, come ricordi o flashback, sembra un bambino normale; in altre appare come mostruoso e deforme. Dato che sotto la maschera Jason è realmente orripilante, probabilmente lo era anche durante l’infanzia, e ciò potrebbe spiegare come mai i ragazzi del campeggio lo odiassero. Jason morì nel 1957; appena un anno dopo la signora Voorhees uccise due sorveglianti del campeggio, accusandoli di aver ucciso il suo Jason. Dal quel momento in poi il campeggio di Crystal Lake rimase chiuso, e ogni tentativo di riaprirlo al pubblico si risolse sempre in un fallimento a causa dell’intromissione (più o meno manifesta) della signora Voorhees. Nel 1980 il proprietario del campeggio, Steve Christy, decide di fare un ultimo tentativo, e assume un gruppo di ragazzi affinché lo aiutino nell’impresa. Uno dopo l’altro, tanto i ragazzi quanto lo stesso Steve cadono vittime della mano omicida della signora Voorhees, finché non resta solo la giovane Alice. Alice si rende conto che c’è un assassino nel campeggio e chiede aiuto alla signora Voorhees, non potendo mai immaginare che sia proprio lei la responsabile. Tuttavia non ci mette molto a capirlo, dato che la signora Voorhees inizia presto a vaneggiare: la sua mente impazzita le fa udire la voce del piccolo Jason che la incita a vendicarlo, e così tenta di uccidere anche Alice. Lo scontro finale tra le due donne avviene in riva al lago: Alice disarma Pamela e la decapita con il suo stesso machete quindi, sfinita, sale su una barca e prende il largo. La mattina dopo arrivano gli agenti di polizia, che la trovano esattamente dove l’avevamo lasciata, dentro la barca al centro del lago. Alice segnala la sua presenza ai poliziotti, ma in quel momento Jason sorge dalle acque del lago e cerca di trascinarla a fondo. Alice urla e si sveglia nel letto dell’ospedale, mentre i poliziotti la rassicurano. Che sia stato tutto un sogno? Forse, eppure Alice sembra convinta che Jason sia ancora li, nel lago, in attesa. Anche se siamo appena all’inizio, questo film possiede già molte delle caratteristiche che ritroveremo durante l’intera saga. Innanzitutto la colonna sonora: quando la signora Voorhees (e in seguito Jason) è in azione, si sente la musica cambiare registro, con un motivetto inquietante simile al frinire di un grillo che fa da preludio all’imminente omicidio. Anche la creatività nelle uccisioni è un marchio della serie: mentre Michael Myers utilizza quasi sempre un grosso coltello e occasionalmente la forza bruta, Jason o sua madre utilizzano tutte le armi su cui riescono a mettere le mani, anche le più improvvisate. Questo, comunque, non impedisce a Jason di avere un’arma distintiva, nello specifico un bel machete che, insieme alla maschera da hockey, contribuiscono a trasformare Jason in un’icona, in un simbolo omicida ben riconoscibile. Altro segno distintivo della saga è nel comportamento licenzioso di giovani e teenager: le coppiette trovano ogni scusa per appartarsi e darsi al sesso sfrenato, finendo per allontanarsi dal resto del gruppo e conseguentemente venir massacrate da Jason. Questa strana morale, già introdotta dalla saga di Halloween, viene portata all’eccesso con Venerdì 13: le ragazze si comportano da ninfette in calore, mente i ragazzi sembrano non aver in testa altro che il sesso, e non è un caso se la ragazza (o la coppia) che si salva alla fine del film sia la più tranquilla ed equilibrata. Altra caratteristica è il finale quasi onirico: Alice, la ragazza sopravvissuta, viene attaccata da Jason morto uscito dal lago, salvo poi scoprire che (probabilmente) era solo un incubo. Il finale a sorpresa è una caratteristica comune a molti film horror, ma la particolarità, in questo caso, è che la scena finale è spesso solo un sogno, così che possa essere ignorata o negata all’inizio del film successivo.



Il secondo film della saga, “Venerdì 13 parte II: L’assassino ti siede accanto” (Friday the 13th part 2, 1981), si apre con l’omicidio di Alice, la sopravvissuta del primo film. Insospettita da alcuni rumori, Alice si dirige in cucina, scoprendo che qualcuno ha lasciato la testa mutilata di Pamela Voorhees nel suo frigorifero; neppure il tempo di gridare che uno sconosciuto le pianta un rompighiaccio nella testa. Passano 5 anni, il campeggio di Crystal Lake, tristemente noto anche come Campo di Sangue, è ancora chiuso. Un gruppo di ragazzi e ragazze arriva nei pressi di Crystal Lake per fare un corso di istruttori di campeggio, e alla luce del fuoco morente ascoltano la leggenda di Jason dalla bocca di Paul, il capo del loro corso. A sentire questi, il cadavere di Jason non fu mai trovato dopo il suo annegamento ed anzi, secondo i vecchi del posto, è ancora vivo e si aggira nei pressi del lago sopravvivendo grazie alla caccia e a piccoli furti. Neppure la madre era a conoscenza del fatto che Jason fosse ancora in vita, e dopo la sua morte Jason si assunse il compito di vendicarla. Paul racconta questa storia per spaventare e prendere in giro i ragazzi del suo corso … peccato però che le cose stiano esattamente così! I film non chiariscono se Jason sopravvisse all’incidente nel lago oppure morì e tornò in vita, ma il resto della storia è verissimo: crebbe nei boschi intorno al campeggio vivendo quasi come un’animale, creduto morto da tutti, persino dalla madre. La sera che Pamela Voorhees fu uccisa, lui era presente, nascosto fra gli alberi; lo shock di vedere sua madre assassinata lo spinse a vendicarsi prima di Alice, colei che materialmente la uccise, quindi a rivolgere la sua furia contro gli abitanti nei dintorni di Crystal Lake. Il massacro ha dunque inizio, e Jason fa a pezzi i ragazzi del campeggio uno dopo l’altro, finché non restano soltanto Paul e la sua ragazza, Ginny. Questa tenta di scappare, ma per sua sfortuna finisce proprio nella baracca di legno dove vive Jason. Ginny si barrica dentro, e mentre uno Jason furioso inizia a fare a pezzi la porta, fa una macabra scoperta: Jason ha tenuto per se la testa decapitata della madre, l’ha messa sopra al suo vecchio maglione sporco di sangue e ne ha fatto un macabro altare. Sicura che da un momento all’altro Jason entrerà dalla porta, Ginny tenta il tutto per tutto indossando il maglione e tentando di sistemarsi i capelli nello stile della madre: quando Jason entra, lei gli parla come se fosse la signora Voorhees, imponendogli di fermarsi. Jason tentenna e abbassa il piccone che tiene in mano, Ginny solleva il machete per colpirlo, spostandosi però di quel tanto che serve affinché Jason intraveda la testa decapitata della madre e scopra così l’inganno. E’ l’arrivo di Paul a salvare Ginny, e mentre questi inizia a lottare con Jason, distraendolo, la ragazza sferra un fendente che colpisce Jason fra il collo e la spalla, abbattendolo. I due scappano e tornano al campeggio, tutto sembra finito, ma Jason è ancora vivo e irrompe dalla finestra. La scena si interrompe e il film riprende con la polizia e i medici dell’ambulanza che portano via una Ginny sconvolta che invoca il nome di Paul, senza nessuno che ha il coraggio di risponderle. La scena dell’irruzione di Jason dalla finestra probabilmente è solo un sogno (come nel precedente finale) ed infatti viene omessa nel riassunto degli eventi all’inizio del terzo film. Ciò nonostante, questo finale onirico ci da la possibilità di dare uno sguardo alla vera faccia di Jason, che per tutto il film è rimasta coperta da un sacco di tela con soltanto un buco per gli occhi. Jason appare davvero mostruoso: il lato destro della faccia è deformato, simile al volto di Sloth dei Goonies, solo più mostruoso, mentre i pochi capelli rimasti sono lunghi e sporchi. La maschera da hockey che diventerà presto il simbolo del personaggio deve ancora venire, per adesso Jason è solo un rude montanaro assassino. 



Si arriva così al terzo film, “Venerdì 13 parte III: Weekend di terrore” (Friday the 13 part III, 1982), che comincia dove finiva quello precedente. Dopo il riepilogo degli eventi finali del secondo film, viene mostrato come Jason, ferito dal machete di Ginny, riesca a trascinarsi via dal luogo del massacro. Dopo aver ucciso una coppia che abita nei pressi del lago, Jason si mette subito sulle tracce di un altro gruppo di adolescenti. Si tratta di una banda di amici invitati a trascorrere il weekend nella casa di una di loro, Chris. Mentre stanno arrivando con il furgone, incrociano le auto della polizia e le ambulanze che stazionano nei pressi del luogo della strage del film precedente, una scena che sta a sottolineare la contiguità temporale degli eventi. Jason comincia la sua lenta opera di massacro e fra i suoi bersagli, oltre ai ragazzi, ci sono pure tre teppisti in motocicletta che avevano avuto degli screzi proprio con alcuni di questi giovani. Jason li sorprende nel fienile dietro la casa e li uccide senza pietà. Nel frattempo, Chris e il suo ragazzo Rick si allontanano nel bosco, e qui ha luogo una scena molto importante: Chris rivela come qualche anno prima fu aggredita nei boschi da un uomo armato di coltello, con il volto sfigurato. Riuscì in qualche modo a cavarsela, i suoi ricordi dell’incidente sono offuscati, ma da allora ha sempre avuto paura di tornare nella casa sul lago. Il tipo sfigurato era con ogni probabilità proprio Jason, e bisogna dire che il tempismo di Chris nel ritornare a casa è davvero eccezionale! Frattanto Jason ha eliminato tutti i ragazzi ma, cosa più importante di tutti, ha finalmente indossato la maschera da hockey che lo renderà un simbolo del genere horror. Chris e Rick tornano dalla loro gita nel bosco giusto in tempo per capire che sta succedendo qualcosa di orrendo; Jason elimina Rick e lo lancia attraverso la finestra, irrompe nella casa e si prepara ad uccidere Chris, che tenta di darsi alla fuga. Nel fienile avviene lo scontro finale: uno dei tre teppisti, miracolosamente ancora vivo, tenta di fermare Jason, che però se lo scrolla di dosso con facilità e inizia a farlo a pezzi col machete; grazie a questa distrazione, Chris ha il tempo di raccogliere un’ascia e di vibrare un colpo al volto mascherato di Jason, che crolla a terra. Chris fugge, raccoglie una barca e trascorre la notte sul lago; al risveglio intravede Jason senza maschera, vivo, che la osserva dalla finestra della sua casa. La ragazza urla di terrore, ed in quell’istante il corpo putrefatto di Pamela Voorhees, la madre di Jason, sorge dalle acque per cercare di trascinare a fondo la ragazza. Si tratta solo di un incubo, come nella tradizione della saga: nella realtà Chris viene accompagnata via dai poliziotti, con la mente sconvolta dall’orrore. L’ultima inquadratura del film è per il corpo di Jason che giace a terra nel fienile, con l’accetta ancora conficcata nella testa. E’ davvero morto?



Ovviamente no, e a dimostrarlo ci pensa il quarto film della serie, “Venerdì 13 parte IV: Capitolo finale” (Friday the 13th: The Final Chapter, 1984). Anche questo comincia dove termina il precedente, il cadavere di Jason viene trasportato all’obitorio con un’ambulanza. Jason si risveglia e trucida senza tanti complimenti due infermieri, quindi fugge nella notte per ritornare a Crystal Lake. Nei dintorni del lago vive la famiglia Jarvis, composta dalla madre, la figlia adolescente Trish, il suo fratellino Tommy e il cane Gordon. La casa accanto alla loro è stata affittata ad un gruppo di adolescenti arrivati per trascorrervi il weekend. Come negli altri film della saga, i ragazzi si danno al sesso e al divertimento senza limiti, ma uno dopo l’altro vengono massacrati da Jason. Intanto, Trish fa la conoscenza di Rob, un autostoppista, che le rivela il motivo per cui è venuto fino a Crystal Lake: sua sorella è stata uccisa da Jason (nel secondo film) e adesso lui vuole vendicarsi, in quanto è convinto che Jason sia ancora vivo. Trish torna a casa sua con Rob, ma scopre che la madre è misteriosamente sparita. Anche lei, purtroppo, è caduta vittima della carneficina di Jason, e poco dopo viene ucciso pure Rob. Trish e il piccolo Tommy si riparano in casa, ma niente può fermare Jason, che riesce ad irrompere nell’abitazione armato di machete. Jason blocca a terra la povera Trish, ma (anche stavolta) viene distratto un attimo prima di vibrare il colpo fatale: Tommy si rasa i capelli per assomigliare a Jason come era da piccolo, dopo aver visto un disegno su un articolo di giornale che conteneva il racconto di Alice, la sopravvissuta del primo film. Jason ferma il suo attacco e si avvicina a Tommy, Trish raccoglie il machete lasciato cadere da Jason e lo colpisce al volto, facendogli saltare via la maschera e rivelando il suo viso deforme. La ragazza strilla di paura e indietreggia verso il muro, Jason si volta verso di lei ignorando il piccolo Tommy; il ragazzino non si perde d’animo, afferra il machete e sferra un colpo violentissimo alla faccia di Jason, quasi tagliandogli in due il volto. Jason crolla a terra in un lago di sangue mentre Tommy, in preda ad un raptus psicotico, infierisce con l’arma sul cadavere. Cambio di scena, e vediamo Trish in un letto di ospedale mentre parla con i dottori, cercando di avere una spiegazione per il comportamento di Tommy. I dottori cercano di confortarla, attribuendo il tutto allo shock ed al trauma emotivo, poi escono dalla stanza e permettono a Tommy di vedere la sorella: mentre i due si abbracciano, la telecamera indugia sul volto di Tommy, permettendoci di vedere i suoi occhi vacui, lo sguardo perso nel vuoto. Il film termina e questa volta per Jason sembra non esserci nulla da fare, è davvero morto … 



Morto o vivo che sia, la saga continua con il quinto film, “Venerdì 13 parte V: Il terrore continua” (Friday the 13th: A New Beginning, 1985). Sono passati alcuni anni dagli eventi del precedente film, e non sono stati piacevoli per Tommy Jarvis, ora un adolescente tormentato. A seguito dello shock subito dall’aggressione di Jason, Tommy è stato ricoverato in diversi ospedali psichiatrici e imbottito di farmaci, ma senza alcun risultato: nei suoi incubi non può fare a meno di vedere Jason. Queste allucinazione sono estremamente realistiche e angoscianti, e talvolta si manifestano anche quando è sveglio. Il film inizia con Tommy che sogna il ritorno in vita di Jason; quando si sveglia, scopriamo che si trova in una macchina dei servizi sociali che lo sta portando in un nuovo istituto. Questo si trova in aperta campagna, non troppo lontano da Crystal Lake; qui Tommy si unisce agli altri ragazzi dell’istituto, gestito con gentilezza da Matt Letter e dalla sua assistente Pam Roberts. Una mattina, durante un litigio, uno dei ragazzi più violenti colpisce ed uccide un suo compagno con una grossa ascia. La polizia arresta il colpevole, ma da quel momento inizia una sequela di omicidi impressionanti: le vittime non sono solo gli altri ragazzi dell’istituto, ma anche gli abitanti dei dintorni. Il capo della polizia si convince che l’omicida deve essere il famigerato Jason Voorhees, ma il sindaco della città liquida questa ipotesi come una sciocchezza, dato che Jason è morto da anni e il suo cadavere è stato cremato. Gli omicidi continuano, soltanto Pam, Tommy e un ragazzino di nome Reggie sono ancora vivi. L’assassino si rivela ed apparentemente è proprio Jason: indossa una maschera da hockey su quella che sembra una testa deforme. Lo scontro finale avviene in un granaio, gli sforzi combinati dei tre ragazzi danno i loro frutti e Jason precipita da un soppalco finendo impalato su alcuni spuntoni di metallo. La maschera gli cade dal volto e ci viene rivelata l’identità dell’assassino che, ovviamente, non era Jason, bensì il padre dello sfortunato ragazzo ucciso durante la lite all’istituto. Il suo nome era Roy Burns e aveva abbandonato il figlio minorato appena nato per la vergogna; la sua morte, tuttavia, lo ha sconvolto al punto di iniziare ad uccidere per vendetta, mentre l’idea di indossare la maschera di Jason per camuffare la propria identità gli è venuta sentendo parlare lo sceriffo. La scena si sposta all’ospedale, Pam va a trovare Tommy per accertarsi che stia bene, ma viene pugnalata a sorpresa dallo stesso ragazzo! Il tutto è ovviamente un sogno dello stesso Tommy, che però è ormai al limite della sanità mentale: quando Pam entra realmente nella sua stanza per andare a trovarlo, non si accorge che il ragazzo è alle sue spalle, con la maschera di Jason sul volto e in mano un minaccioso pugnale … 



Il sesto film della saga, “Venerdì 13 parte VI: Jason vive” (Friday the 13th Part VI: Jason Lives, 1986), vede il ritorno in campo del vero Jason. Ancora un volta il motore della storia è Tommy Jarvis: ignorando completamente il finale del film precedente che lo vedeva scivolare nella pazzia, il ragazzo sopravvissuto a Jason decide che è il momento di farla finita una volta per tutte con i suoi incubi. Si dirige quindi alla volta del cimitero di Crystal Lake, insieme ad un amico, allo scopo di distruggere il corpo di Jason, nonostante nel film precedente fosse stato detto che era stato cremato. Tommy e il suo amico Alan scoperchiano la bara di Jason, rivelando un corpo in avanzato stato di putrefazione, con i vermi che strisciano dentro e fuori il suo volto deforme. Tommy ha un raptus di furore, strappa un’inferriata di metallo e impala ripetutamente il cadavere di Jason, ma in quel momento un fulmine colpisce il palo e, proprio come Frankenstein, la sua energia infonde nuova vita in Jason. Nel tentativo di distruggere per sempre il suo corpo, Tommy ottiene paradossalmente l’effetto opposto, quello di riportarlo in vita, e non solo: se finora Jason, pur essendo molto forte e resistente, era sostanzialmente umano, il Jason rinato dalla tomba appare invece come uno zombie immortale, dotato di una potenza inarrestabile. Una potenza che Jason dimostra subito strappando il cuore del povero Alan; Tommy tenta di dare fuoco a Jason, come era sua intenzione fare sin dall’inizio, ma la pioggia frustra il suo tentativo e non gli resta altro da fare che fuggire. Si dirige dallo sceriffo di Crystal Lake, che adesso ha cambiato nome in Forest Green allo scopo di far dimenticare al mondo la sua lugubre fama, e tenta di convincerlo del ritorno di Jason. Lo sceriffo Garris ovviamente non crede ad una parola e lo sbatte in carcere. Sarà Megan, la figlia dello sceriffo, a credere nella sua storia ed a liberarlo; intanto Jason è libero di tornare ad uccidere, e vi dedica subito tutta la sua attenzione. Lo sceriffo Garris pensa che il responsabile dei nuovi omicidi sia proprio Tommy, anche per via del suo passato, ma alla fine è costretto a riconoscere la verità: troppi delitti sono avvenuti mentre Tommy era in compagnia della figlia. Garris affronta Jason presso il lago insieme a due assistenti ma è inutile, Jason li trucida tutti e tre. Tommy si sente personalmente responsabile di ciò che sta avvenendo e studia un piano per eliminare definitivamente Jason: se l’acqua l’ha ucciso la prima volta, allora l’acqua lo fermerà anche in questa occasione. Si dirige al centro del lago con una barca, trasportando un grosso masso legato ad una catena: il suo obiettivo è di legarla al collo di Jason e di lasciarlo affondare. Il piano riesce per metà: Jason è intrappolato dalla catena e precipita nelle fredde acque, ma ha la forza di trascinare Tommy con se. E’ Megan a salvare la situazione tuffandosi in acqua e raggiungendo la barca: le eliche del motore feriscono gravemente Jason e lo obbligano a mollare la presa su Tommy; questi viene prontamente recuperato da Megan che lo riporta a riva e gli pratica un salvifico massaggio cardio-polmonare. I due ragazzi si abbracciano sulle rive di Crystal Lake mentre scrutano le buie acque, chiedendosi se sono riusciti nell’impresa. L’ultima immagine del film è per Jason, bloccato dal masso e dalla catena, ma ancora vivo e pronto a tornare appena ne avrà la possibilità.



L’opportunità gli si presenta in fretta, nel settimo film della saga, “Venerdì 13 parte VII: Il sangue scorre di nuovo” (Friday the 13th part VII: The New Blood, 1988). Protagonista di questa storia (oltre a Jason, ovviamente) è Tina Shepard: per via del risvegliarsi dei suoi poteri telecinetici, da bambina causò la morte del padre, che affogò a Crystal Lake. Alcuni anni dopo, una Tina più cresciuta ritorna nella sua vecchia casa sul lago, insieme alla madre e al dottor Crews, per tentare di guarire dallo shock e dal profondo senso di colpa. La ragazza indugia sulle rive del lago, desiderando di riportare in vita il padre con i suoi poteri; sarà invece Jason a riemergere dalle acque del lago, pronto per un nuovo massacro. Accanto alla casa di Tina alcuni ragazzi si sono dati appuntamento per una festa di compleanno, e saranno loro ad essere le prime vittime del rinato Jason. Mentre Tina continua ad avere orribili incubi, la madre accusa il dottor Crews di essere un imbroglione, il cui unico scopo è quello di studiare i poteri della figlia invece di provare a guarirla. Jason uccide entrambi per non fare torto a nessuno, e si arriva così al momento della sfida finale: i poteri di Tina contro l’immortalità di Jason. La ragazza fa crollare in testa a Jason travi e pareti, oltre a sforacchiarlo con chiodi e punteruoli, ma nulla riesce a fermarlo e così tenta di dargli fuoco, incendiando il gas delle condutture e facendo esplodere la sua casa. Neppure questo basta, però: Jason è ancora vivo, anche se ormai d’aspetto totalmente mostruoso, e la raggiunge sul pontile del lago, mettendola alle strette. Tina, disperata, da fondo ai suoi poteri, e riesce ad evocare il suo defunto padre annegato, il quale balza alle spalle di Jason, lo incatena e lo trascina nuovamente in acqua. Il film termina con la classica scena della polizia e dei pompieri che ripuliscono la scena del crimine, mentre Tina viene portata via in ambulanza, chiedendosi se questa è davvero la fine per Jason …



Chiaramente no, e a dimostrarlo ecco l’ottavo film della serie, “Venerdì 13 parte VIII: Incubo a Manhattan” (Friday the 13th: Jason Takes Manhattan, 1989). Due ragazzi, Jimmy e Suzie, si stanno godendo una vacanza su un piccolo yacht, in attesa di salpare il giorno dopo alla volta di New York insieme ai loro compagni di classe per festeggiare il diploma. L’ancora dello yacht danneggia un cavo elettrico subacqueo, la cui energia riporta in vita Jason, più o meno come era successo nel sesto capitolo della saga. Jason sale a bordo della nave, trova una maschera da hockey per rimpiazzare quella che aveva perso nella battaglia con Tina, quindi massacra i due ragazzi. Non pago di ciò, decide di salire a bordo della nave da crociera Lazarus, quella dove si trovano i compagni di classe delle sue prime vittime, insieme con la professoressa Van Deusen e l’odioso preside Mc Culloch. La scelta degli sceneggiatori di abbandonare le tradizionali atmosfere di Crystal Lake per puntare su qualcosa di diverso è in parte da applaudire, in parte da censurare. Dopo 7 film, la storia di un serial killer che uccide gli sventurati campeggiatori che incrociano la sua strada comincia a diventare ripetitiva, ma prendere Jason e spostarlo a New York, secondo me, va contro l’indole dello stesso personaggio. Jason uccide coloro che invadono il suo spazio vitale a Crystal Lake, e lo fa soprattutto come una forma di vendetta per l’omicidio della madre. Che motivo avrebbe di andare a New York? Quale sarebbe il suo movente per gli omicidi? Gli sceneggiatori hanno deciso di ignorare le motivazioni fondamentali che stanno alla base dell’agire di Jason, considerandolo una semplice macchina assassina che non ha altro scopo se non l’omicidio fine a se stesso. Sia quel che sia, Jason è ora a bordo della Lazarus, dove comincia il massacro di studenti e professori. Con la morte del capitano e del secondo in comando, i ragazzi si accorgono che qualcosa non va; mentre i più coraggiosi (o i più stupidi) di loro vanno in cerca dell’assassino, finendo per essere trucidati da Jason uno dopo l’altro, Sean, il figlio del capitano, tenta di governare la nave con alterni risultati. I pochi sopravvissuti decidono infine di evacuare la nave, i danni che Jason ha inflitto ai motori sono troppo gravi: la scialuppa di salvataggio viene calata in mare, e su di essa trovano posto Sean, la professoressa Van Deusen, il preside Mc Culloch, sua nipote Rennie e un altro studente, Julius. Sean è un buon navigatore, nonostante le critiche che l’odioso preside gli rivolge ogni minuto, e riesce a portare i naufraghi sani e salvi fino al porto di New York. Le banchine appaiono desolate ed immerse in un’atmosfera surreale, abitate da senzatetto e delinquenti. Ma questo è il minimo, poiché Jason è riuscito a seguire a nuoto i superstiti, ed approda pure lui a Manhattan. Lo scontro ricomincia e Jason uccide chiunque gli capita a tiro, teppisti e barboni compresi. Dopo aver trucidato alcuni dei naufraghi, l’immortale zombie con la maschera insegue Rennie e Sean fin sotto le fogne cittadine. I condotti stanno per essere allagati con dell’acqua contaminata; i due ragazzi riescono a trarsi in salvo all’ultimo secondo, mentre Jason precipita nelle acque tossiche: il suo corpo sembra sciogliersi come nell’acido, o forse finisce semplicemente annegato, la scena è in parte onirica e non è chiaro cosa avviene realmente. Quel che è certo è che, almeno per il momento, Jason è stato fermato. Questo film si muove sulla scia dei predecessori sotto ogni punto di vista, tranne per lo scenario. Anche se Jason a Manhattan era del tutto fuori ruolo, ammetto che ero abbastanza curioso di vedere come sarebbe andata a finire e mi dispiace dire che l’ho trovato abbastanza deludente. Il film è ambientato per due terzi sulla nave, solo l’ultima parte è dedicata a New York; inoltre, ci si aspetterebbe di vedere Jason interagire con i simboli della città, ma in realtà si limita a scorrazzare per vicoli deserti, deludendo parecchio le aspettative. Anche la risoluzione finale della trama, con Jason che finisce annegato/sciolto nelle acque tossiche è un po’ assurda: come è possibile che nelle fogne di New York sia presente dell’acqua contaminata con tanta leggerezza? A parte questo, il film si attesta sui livelli classici della saga.



Non è possibile dire lo stesso del nono film della serie, “Jason va all’inferno” (Jason Goes to Hell: The Final Friday, 1993), che segna l’inizio della parabola discendente della saga. Il film si apre con Jason che tenta tenta di uccidere una ragazza a Crystal Lake, senza alcuna spiegazione su come sia tornato in vita, né su come abbia fatto a tornare da New York a Crystal Lake. La ragazza che Jason sta inseguendo in realtà è un’agente di polizia che ha il compito di farlo cadere in trappola: all’improvviso dai cespugli spunta fuori un’intera squadra SWAT che, dopo aver crivellato di colpi Jason, finisce il lavoro con delle bombe, facendolo letteralmente a pezzi. Un urlo di vittoria erompe dalla gola degli agenti, increduli di essere riusciti a compiere l’impossibile, quindi recuperano i pezzi sanguinanti del cadavere e se lo portano via. Non so voi, ma a me questa scena puzza di cazzata: immaginare che un intero corpo di polizia si sia messo sulle tracce di Jason, riuscendo ad intrappolarlo e a riempirlo di bombe … beh, sembra più un action movie che un film horror. Purtroppo le stupidaggini non sono finite, e la più grossa arriva subito dopo: mentre il coroner tenta un’autopsia sui pochi resti di Jason, il suo cuore inizia a pulsare, ipnotizzando il dottore che in un raptus improvviso inizia a divorarlo! Lo spirito di Jason abbandona il suo corpo smembrato per entrare in quello del povero dottore, riuscendo così a possederlo! Questo potere di trasmigrazione che Jason dimostra “improvvisamente” di possedere, è una vera assurdità: se lo possedeva, perché non l’ha utilizzato prima? Per esempio quando Tommy Jarvis lo uccise realmente nel quarto film della saga? Al di là dei grossi dubbi di continuity che pone questo potere, il punto centrale della questione è che tale facoltà è del tutto senza senso per il personaggio di Jason, ma torniamo al film. Mentre Jason torna a vivere (e ad uccidere) nel corpo del coroner, il famoso cacciatore di taglie Creighton Duke viene intervistato alla TV. Duke si dice assolutamente sicuro che Jason sia ancora vivo, dimostrando di conoscere il suo potere di trasmigrazione, e conclude l’intervista in maniera enigmatica lasciando intendere che soltanto lui sa come uccidere Jason definitivamente. Secondo Duke, Jason cerca il corpo di un familiare per tornare in vita stabilmente, dato che i corpi degli estranei che riesce a possedere vengono consumati troppo rapidamente dal suo spirito; allo stesso modo, così come un familiare può donargli una resurrezione definitiva, solo un membro della sua famiglia potrebbe ucciderlo una volta per tutte. La prima cosa che mi sono chiesto, dopo aver sentito Duke dire questa scemenza, è stata: come diavolo fa a sapere queste cose? E la seconda: familiari di Jason? Quali? E da dove spuntano? Alla prima domanda non c’è risposta (per fortuna, aggiungo io, dato che la risposta rischiava di essere più stupida della domanda); in merito ai familiari di Jason, invece, il film ne tira fuori ben tre: Diana Kimble (sorellastra di Jason), sua figlia Jessica e la neonata Stephanie, figlia di Jessica. E’ quasi superfluo far notare come non si sia mai parlato di altri parenti di Jason nei film precedenti, ma tant’è. Indossando ogni volta un corpo differente, Jason tenta di mettere le mani prima su Diana, ma riesce solo ad ucciderla, quindi punta su Jessica e la piccola Stephanie. Ad aiutarle ci sarà Steven, il padre della piccola, e lo stesso Duke. Lo scontro finale avviene nella vecchia casa dei Voorhees a Crystal Lake: utilizzando un pugnale sacrificale magico che il solito Duke tira fuori non si da dove, Jessica e Steven riescono ad uccidere definitivamente Jason, che viene trascinato all’inferno dalle sue stesse vittime. L’ultima immagine del film è il guanto artigliato di Freddy Krueger (!!!) che spunta dalla terra, afferra la maschera di Jason e la trascina sotto terra con se! Un finale a sorpresa che sembra alludere ad un futuro scontro fra le due icone dell’horror; lo scontro ci sarà davvero, ma per vederlo i fan hanno dovuto attendere dieci anni. Nonostante la trama improbabile e i colpi di scena uno più assurdo dell’altro, questo film riesce a salvarsi dal completo disastro per diverse ragioni. Il finale con l’artiglio di Freddy Krueger è certamente una di esse, così come le numerose scene splatter, tra le migliori della serie. Un altro motivo è la doppia citazione/omaggio ai film della serie de “La Casa” di Sam Raimi: il libro del Necronomicon che si trova nella vecchia abitazione di Jason, e il pugnale sacrificale usato da Duke. La presenza del Necronomicon è importante soprattutto per le sue implicazioni: forse Pamela Voorhees ha utilizzato questo libro maledetto per far tornare in vita Jason, e in ogni caso potrebbe essere tale oggetto il responsabile della sua semi immortalità. 



Purtroppo non ci sono scusanti per il decimo e ultimo film della saga, “Jason X – Morte Violenta” (Jason X, 2002), che è davvero pessimo come appare. Siamo alla fine degli anni 2000, e Jason si trova imprigionato in un centro di ricerche segreto vicino a Crystal Lake. L’organizzazione che lo tiene in custodia decide di ibernarlo, dato che non sembra possibile uccidere il soggetto … ma le hanno davvero provate tutte, tipo a nuclearizzarlo o a buttarlo nella lava? Chissà … comunque Jason riesce a liberarsi ed insegue la dottoressa Rowan per ucciderla. La scienziata è abbastanza furba da portare Jason fino alla camera di ibernazione e riesce a chiudervelo dentro, ma non riesce ad evitare un colpo mortale da parte del suo machete. Il computer della struttura dà inizio al processo di congelamento, bloccando nella stessa stanza sia Jason che la morente Rowan. Passano quattro secoli, e nel 2455 un gruppo di scienziati, studenti universitari ed alcuni militari di supporto atterrano sulle rovine devastate della Terra. Chiaramente le cose non sono andate troppo bene per il nostro pianeta, ma il film non si sofferma troppo su questo punto: la razza umana ora vive nello spazio o su altri pianeti e questi scienziati stanno cercando tracce dell’antica civiltà della Terra. Sfortuna vuole che si imbattono nella camera criogenica che contiene Jason e la dottoressa Rowan. Grazie alla tecnologia del futuro, la bella scienziata viene riportata in vita; Jason invece non ha bisogno di nanomacchine per tornare in vita, fa tutto da solo e ricomincia a fare ciò che sa fare meglio: uccidere. Rowan avverte i militari del pericolo che corrono e, stranamente per questo genere di film, le credono pure, cominciando una caccia all’uomo nell’astronave. Non importa se sono dei cazzuti soldati spaziali con fucili più grandi di loro, Jason riesce ad ammazzarli tutti, quindi comincia ad uccidere gli scienziati e gli studenti. L’androide femminile K.M., armata fino ai denti, riesce ad uccidere Jason, ma il suo corpo smembrato finisce sopra uno dei lettini di rigenerazione che lo riporta in vita, più potente e corazzato che mai. Ora Jason è uno zombie cyborg immortale e si prende la sua rivincita sull’androide K.M. staccandole la testa; i pochi superstiti, fra cui la dottoressa Rowan, riescono a fuggire dall’astronave, facendola poi saltare in aria. Il corpo di Jason precipita per lo spazio e attraverso l’atmosfera del pianeta Terra 2. Nell’ultima scena vediamo una coppia di giovani che si sta baciando nei pressi di un lago, osservando una stella cadente attraversare il cielo notturno fino a precipitare in acqua. La maschera da hockey distrutta affonda lentamente, lasciandoci nel tradizionale dubbio se Jason sia ancora vivo o no. Nel complesso si tratta di un film abbastanza brutto: la trama è banale, le uccisioni sono poco splatter, gli effetti speciali necessari a rendere credibile il futuro e la sua tecnologia sono pessimi ed è proprio questo il grosso difetto del film. Prendiamo ad esempio i militari che danno la caccia a Jason; si potrebbe supporre che con la tecnologia del 2455 dovrebbe essere uno scherzo trovarlo e localizzarlo, invece non hanno nessun tipo di attrezzatura speciale, neppure dei pidocchiosi occhiali per vedere al buio! Hanno soltanto delle armi più grosse e dal look futuristico, che però sparano proiettili esattamente come le armi odierne. Non c’è da stupirsi se Jason li massacra senza problemi facendo far loro la figura dei polli! L’ultimo film della serie avrebbe meritato di essere qualcosa di speciale, e non questo aborto malriuscito.



In realtà c’è un altro film che fa parte della saga di Venerdì 13, ed è quello in cui Jason si scontra con Freddy Krueger in persona! “Freddy vs Jason” è uscito nel 2003, quindi solo un anno dopo Jason X, ma va collocato cronologicamente prima di quest’ultimo. Non temete, ci sarà la recensione anche di questo crossover, ma solo dopo che mi sarò occupato della saga di Nightmare, il cui artigliato protagonista è proprio Freddy. Resta pertanto da considerare soltanto il remake, “Venerdì 13” (Friday the 13th, 2009). Il film cerca di condensare in un’ora e mezza tutto ciò che Jason ha fatto ed è stato nel corso degli anni; più che un remake, si potrebbe dire che il film è un collage di situazioni tratte dai film precedenti. All’inizio del film viene mostrata l’uccisione di Pamela Voorhees, il famoso evento che scatenerà la rabbia omicida di Jason;  si passa quindi al massacro di alcuni campeggiatori da parte di un Jason che non indossa ancora la famosa maschera da hockey, bensì un sacco con i buchi per gli occhi. Il fratello di una delle vittime, Clay, arriva a Crystal Lake nella speranza di trovare sua sorella viva; incontra un gruppo di ragazzi in vacanza per il weekend e insieme a loro finisce sotto l’attacco da parte di Jason (stavolta con la maschera). La sorella di Clay, Whitney, è davvero ancora viva: è tenuta prigioniera da Jason nel suo covo unicamente perché le ricorda sua madre. Proprio la somiglianza con la defunta Pamela Voorhees sarà l’espediente che useranno i due fratelli per rallentare Jason, riuscendo in seguito ad ucciderlo. Clay e Whitney gettano il cadavere nelle acque del lago, grati e increduli di essere sfuggiti alla morte, ma un istante dopo il pontile va in frantumi e Jason riemerge dal lago per cercare di trascinare Whitney con se. Tanto le vicende del film, quanto il suo finale, richiamano in maniera palese le scene già viste lungo tutta la saga di Venerdì 13, non serve neppure evidenziarle una ad una per quanto sono evidenti. Il remake non è malvagio, ma per qualche motivo non mi ha preso come i vecchi film della serie: un senso di deja-vu pervade la pellicola e anche sul versante splatter non si raggiungono grossi risultati, anche se bisogna ammettere che è difficile essere creativi ed originali dopo quasi 160 omicidi sparsi in oltre dieci film. 

Jason Voorhees è un tipico prodotto degli anni ’80, con i suoi pregi, i suoi difetti e i suoi cliché; l’horror è andato avanti e il genere slasher attualmente è un po’ alla frutta. Anche se le situazioni dei film sono quasi sempre le stesse, con dei ragazzi presi a fare sesso o stupidamente distratti che vengono massacrati uno dopo l’altro, mi sono divertito parecchio a vedere tutti i film della serie in ordine, alcuni dei quali per la prima volta. In diverse occasioni mi sono trovato a tifare per Jason, tanto erano stupide ed irritanti le sue giovani vittime! Lo scontro finale che avviene in ogni film tra Jason e l’ultima ragazza superstite, poi, vale quasi sempre il prezzo del biglietto. La saga si conclude un po’ fiaccamente a causa degli ultimi due episodi che sono davvero debolucci, ma nel complesso è stata una bella esperienza e mi sento di consigliarla a tutti, che siano giovani fan dei film horror o vecchi aficionado di pellicole anni ’80.