mercoledì 28 dicembre 2016

Lezioni di giochi di ruolo (parte I): le basi



Anche se a volte io stesso lo dimentico, questo blog è originariamente nato per parlare di giochi di ruolo. Si sa poi come le cose vanno a finire: un articolo tira l’altro e si finisce per scrivere qualunque cosa ti passi per la testa. Il blog finisce così per riflettere la mia vita e sono assolutamente contento di ciò. Detto questo, non mi dispiacerebbe tornare a parlare di giochi di ruolo e vorrei farlo con una serie di articoli che indaghino questo bellissimo hobby a 360 gradi. Lo spunto mi viene dalla richiesta di un amico che mi aveva pregato di tenere un “corso di gioco di ruolo” in un ludo pub. La cosa non è (ancora) andata in porto ma l’idea di sottofondo era buona. Questi articoli saranno una vera e propria incursione dietro le quinte del gioco di ruolo: ci occuperemo di tematiche generale, di definizioni, ma ci saranno anche pezzi eminentemente pratici, dedicati soprattutto ai Game Master, con consigli spiccioli su come gestire il gioco. L’articolo che vi apprestate a leggere delinea gli elementi fondamentali che definiscono il gioco di ruolo in senso generale, senza riguardo per singoli giochi come Dungeons & Dragons oppure Cyberpunk. E’ pensato per poter essere letto tanto da novizi quanto da veterani e pone le basi per tutti i futuri articoli. Divertitevi.


Esistono mille definizioni di gioco di ruolo, da quelle più banali a quelle più sofisticate. Quella da cui voglio partire si limita a dipingere il fenomeno in base a come appare. Il gioco di ruolo è un gioco di società in cui i partecipanti (tranne uno) fanno finta di essere delle altre persone. Questi alter-ego dei giocatori, questi avatar, partecipano ad avventure immaginarie in un mondo immaginario controllato dal Game Master, l’unico giocatore a non avere un personaggio tutto suo da impersonare. Il Game Master conosce le regole del gioco, ha il controllo del mondo di gioco, interpreta tutte le persone fittizie che vi abitano e con cui i personaggi dei giocatori potrebbero entrare in contatto. Il gioco si svolge su un piano puramente verbale e immaginario: il Game Master descrive la scena, cosa vedono i personaggi dei giocatori, quindi chiede loro cosa vogliono fare; i giocatori rispondono e il Game Master racconta cosa succede. Le azioni dei giocatori, ovviamente, modificano la scena, per cui il Game Master offre nuovamente ai giocatori delle scelte e così via, fino alla conclusione della storia, qualunque essa sia. Solitamente il Game Master, quando comincia la partita, ha una vaga idea di che storia narrare, un canovaccio di base, ma la storia vera e propria potrà svilupparsi solo con l’interazione costante fra lui e i giocatori.

La definizione che ho usato è abbastanza rozza, ma ha il pregio di catturate cosa avviene realmente al tavolo di gioco, oltre a mettere in luce gli elementi caratteristici del gioco di ruolo, elementi che lo differenziano da qualunque altro tipo di gioco. Vediamoli uno per uno, sia pur brevemente. Innanzitutto, come dice la parola stessa, il gioco di ruolo è un gioco. Questo significa che ha delle regole e che non si dovrebbe barare. A differenza dei giochi normali, nel gioco di ruolo non si vince e non si perde, i giocatori non sono in competizione né fra di loro né contro il master (o viceversa). Questa caratteristica è molto importante e ne riparleremo dopo. E’ un gioco di società, quindi si fa insieme ad altre persone, di solito i propri amici ma non è indispensabile, alle varie fiere di settore è possibile provare dei giochi insieme a completi sconosciuti. Il fatto che sia un gioco sociale implica che, oltre alle regole del gioco vero e proprio, vi siano delle regole sociali non scritte, che sono importanti quanto quelle ufficiali, la cui non osservanza può portare ad una insoddisfacente esperienza di gioco, se non addirittura alla disgregazione del gruppo. Queste regole sociali formano un vero e proprio patto fra GM e giocatori e si pongono, rispetto alle regole del gioco vero e proprio, come la Costituzione rispetto alle leggi ordinarie dello stato. Anche di questo ne riparleremo più avanti.

Nel gioco di ruolo, ogni giocatore (tranne il GM) fa finta di essere un’altra persona, che viene chiamata personaggio giocante. Il personaggio è definito, tramite le regole del gioco, da attributi e caratteristiche numeriche che indicano quanto è forte, sveglio o veloce; tali caratteristiche vengono raccolte fisicamente su un pezzo di carta, la scheda del personaggio. Il cuore o l’anima di questo personaggio fittizio è fornito dal giocatore che lo impersona, il quale deciderà cosa gli piace, cosa non gli piace, la sua storia passata, i suoi obiettivi, insomma tutto quello che rende “reale” una persona, di fantasia o meno. Ma che significa esattamente fare finta di essere un’altra persona? Cosa deve realmente fare il giocatore? Il giocatore deve interpretare il personaggio come se lui fosse quella persona, niente di più, niente di meno. Non è obbligato a recitare le sue battute con verve teatrale, né a parlare in prima persona se non se la sente: giocare di ruolo non è una gara di recitazione né di improvvisazione. Il giocatore, semplicemente, deve agire e pensare come se lui fosse il suo personaggio, con i suoi pregi e i suoi difetti, anche diversi da se stesso. Se il giocatore sta interpretando un personaggio che è stato definito come un codardo, non dovrà essere il primo a gettarsi nella mischia; se sta interpretando un personaggio che odia il mare non dovrebbe finire imbarcato sulla prima nave che parte. Soprattutto, un giocatore dovrebbe tener separate le sue conoscenze da quelle del personaggio. Il giocatore potrebbe sapere alcune cose che il suo personaggio ignora (ad esempio quanto è pericolosa una certa creatura, perché l’ha incontrata in precedenti partite, ma il suo personaggio vi ha a che fare per la prima volta) oppure essere vero il contrario (un personaggio fittizio di un mondo fittizio conoscerà certamente fatti e persone di quel mondo ma il giocatore molto probabilmente no, quindi toccherà al GM informare il giocatore di queste conoscenze extra). Sfruttare abusivamente le conoscenze del giocatore (o del personaggio) non solo provoca gravi disfunzioni durante il gioco ma è anche una delle frequenti cause di quel problema noto come “fare del meta-game”. Fare del meta-game significa giocare sapendo che stai facendo un gioco; significa utilizzare le logiche interne del gioco per prendere delle decisioni al posto delle conoscenze del personaggio. Pensare (e giocare) in base a fatti come “siamo quasi alla fine del labirinto, sicuramente li ci sarà il cattivo più forte” oppure “questa stanza deve contenere un passaggio segreto altrimenti l’avventura si blocca” oppure “se fosse importante il GM ce l’avrebbe fatto trovare”, è uno svilimento del gioco e del concetto di interpretazione: il personaggio non sa di non essere reale e di star partecipando ad un gioco! Su questa faccenda del meta-game ci si potrebbero fare interi articoli ma per adesso basta questo, andiamo avanti.


Dicevamo che ogni giocatore interpreta un personaggio, tranne uno. Questo solitario eroe del gioco di ruolo, a cui è negato il piacere di avere un personaggio tutto suo, è il Game Master e basta scorrere la lista dei suoi compiti per capire perché parlo di lui come un “solitario eroe”: il GM deve conoscere bene le regole (sarebbe il caso che le conoscano anche i giocatori, ma lui non può proprio esimersi), controlla il mondo di gioco in cui si muovono i personaggi giocanti, ne interpreta ogni comparsa (dall’anonimo macellaio al malvagio Signore Oscuro che vuole distruggere l’universo), propone ai giocatori una storia ogni volta diversa per mettere in moto il gioco e deve svolgere tutti questi compiti sostanzialmente da solo. Tante cose contribuiscono al successo e al divertimento di una partita, ma nessuna è fondamentale come un buon Game Master che sa il fatto suo, consapevole dei suoi compiti e delle sue prerogative, in grado di sfruttare ogni trucco del mestiere per portare a casa il risultato. Il GM non può avere un suo personaggio per due motivi: il primo, quasi banale, è che non ha tempo! Riuscire a fare tutto quello che deve fare lo assorbe completamente, non ha materialmente il tempo per curare l’interpretazione di un personaggio. Il secondo motivo, molto più importante, è che il GM è anche l’arbitro del gioco e non può mettersi sullo stesso piano dei giocatori, così come un giudice non può scendere dal suo scranno e mettersi nei panni dell’accusa o della difesa. Il GM deve essere imparziale, e per farlo deve rinunciare ad avere un suo personaggio, in caso contrario si avrebbe un chiaro conflitto di interessi: da una parte c’è il GM, che propone una storia e muove gli antagonisti dei personaggi, dall’altra i giocatori, che si situano sul versante opposto. Come potrebbe il GM interpretare un suo personaggio e al tempo stesso i suoi avversari? Chiaramente non è possibile ed è per questo motivo che un GM non può avere un personaggio tutto suo come gli altri giocatori.

E’ il momento di riprendere due punti lasciati in sospeso. Cominciamo dal primo: si è detto che nel gioco di ruolo nessuno vince e nessuno perde, diversamente da altri giochi. Si è però appena detto che GM e giocatori si trovano su versanti opposti. I giocatori non vincono se sconfiggono gli avversari del GM? E il Game Master non vince se sconfigge i personaggi dei giocatori? La risposta sembra complicata ma se avete letto attentamente quanto si è scritto sinora, ci arriverete con facilità. Lo scopo del gioco di ruolo è vivere insieme ai propri amici un’avventura, raccontare una storia dove gli eventi non sono prestabiliti come in un libro ma determinati dalle scelte dei giocatori. Se questo è lo scopo, il concetto di vincere o perdere come viene comunemente inteso perde di significato. Se i giocatori hanno ben interpretato i loro personaggi … se la storia che è nata dall’interazione fra questi e il GM è stata interessante e coinvolgente … se, insomma, tutti i giocatori (GM compreso) si sono divertiti, allora non serve altro. Da questo punto di vista, giocatori e Game Master “vincono” sempre. Si può parlare di vittoria e sconfitta, se proprio vogliamo, unicamente dal punto di vista dei personaggi. Questi potrebbero essere sconfitti dalle difficoltà della storia: potrebbe perdere un duello, non arrivare in tempo per salvare il villaggio assediato, potrebbero essere umiliati a corte dal duca; addirittura, potrebbero anche finire uccisi! Indubbiamente tali eventi non fanno piacere ai giocatori, però occorre riconoscere che l’avventura, seppur un disastro per i personaggi, potrebbe comunque essere stata divertente e ben giocata. Un buon giocatore sa riconoscere che il divertimento non passa sempre per la vittoria del proprio personaggio e capita spesso che, negli anni, le storie che si ricordano meglio sono proprio quelle in cui qualcosa è andato storto. Una morte eroica, un colossale sbaglio, un errore madornale, ogni giocatore ha diversi aneddoti divertenti da raccontare sulle proprie avventure e non tutte legate alla vittoria del proprio personaggio. Se ci spostiamo dalla parte del Game Master, le cose non sono molto diverse. Vedere la propria avventura che termina con lo sterminio totale del gruppo non è una bella cosa! Innanzitutto perché questo vuol dire la fine della storia anzi, di tutte le storie che coinvolgevano quel gruppo. Immaginate mesi e mesi di trame portate avanti silenziosamente, tutto vanificato in poche ore di gioco da qualche tiro di dado. Secondo, il massacro del gruppo potrebbe esser stato causato dallo stesso Game Master! A meno che i giocatori, testardamente e stupidamente, non si sono messi in testa di sfidare avversari chiaramente più forti di loro, la morte collettiva di tutti i personaggi (in inglese nota come TPK, ovvero “total party kill”) potrebbe essere il risultato di un errore del Game Master, che ha sbagliato nel valutare la forza degli avversari. Abbiamo detto che il GM deve essere neutrale, un arbitro del gioco, e se i personaggi vanno in cerca di guai non deve fare sconti. Non bisogna però dimenticare che il GM è una persona, un membro del gruppo sociale di cui fanno parte i giocatori. Il Game Master, sotto la sua scorza di duro giudice ed arbitro, è segretamente dalla parte dei giocatori. Quando sfida i loro personaggi, che sia sotto forma di enigmi o di minacciosi avversari, non lo fa per vederli sconfitti ma lo fa nella speranza che riescano a spuntarla. Questo non vuol dire stare dalla loro parte, il GM non è un alleato in senso stretto dei giocatori, ma è chiaro che la sconfitta dei giocatori non è il suo obiettivo né, tantomeno, un risultato auspicabile. Così come i giocatori “vincono” se interpretano in maniera convincente i loro personaggi mentre partecipano alla storia condivisa, così il Game Master “vince” se propone una storia interessante, interpreta in maniera divertente i personaggi non giocanti e riesce a proporre sfide coinvolgenti. Queste sfide devono essere sentite dai giocatori come vere: il GM può pure essere “dalla loro parte” nel senso di sperare che questi riescano a superarle, ma non deve addomesticarle né banalizzarle per farli vincere. Sconfiggere le minacce del Game Master è una sfida molto divertente per i giocatori, il cui risultato non deve essere falsato; d’altro canto, per il GM, sconfiggere i giocatori non è una vera sfida, poiché potrebbe farlo senza problemi, potendo attingere a tutto il regolamento e persino inventarsi le regole che gli servono! La vera sfida, per un Game Master, è quella di proporre minacce interessanti e divertenti ai giocatori, con la segreta speranza che riescano a sconfiggerle, così da poter continuare il gioco. 


Veniamo infine al secondo punto in sospeso, il fantomatico patto fra GM e giocatori. Si è detto che il gioco di ruolo è un gioco sociale, fatto in gruppo e, per questo motivo, oltre alle regole specifiche del gioco in quanto tale, soggiace ad altre regole di natura sociale. Queste regole sono il frutto di un accordo tacito fra il GM e i giocatori, una sorta di patto sociale non scritto che va a regolare il modo di giocare e di comportarsi attorno al tavolo. Tale accordo può avere ad oggetto le tematiche più disparate, essere molto dettagliato o appena abbozzato ma di sicuro deve contenere un punto fondamentale che può essere riassunto nelle frasi “stare al proprio posto” e “stare al gioco”. Cosa significano? Stare al proprio posto indica che GM e giocatori devono aver ben chiaro quale sia il loro ruolo e non usurpare prerogative che spettano all’altra parte. Il GM, ad esempio, è l’arbitro delle regole: è giusto ascoltare il parere dei giocatori ma poi la scelta finale deve essere sua, e tale scelta non può essere messa continuamente in discussione. Giocare è divertente, lamentarsi no. I giocatori, d’altro canto, con le loro scelte danno sostanza al canovaccio di avventura proposto dal GM; non è corretto interferire con le loro scelte, né forzarle in una direzione piuttosto che in un’altra. Stare al gioco è la logica continuazione dell’altra asserzione. E’ compito del GM arrivare ad ogni partita con una storia diversa, i giocatori devono fidarsi e mettersi nelle mani del Game Master, certi che sa cosa sta facendo. Questo significa, ad esempio, non impuntarsi a giocare contro la storia, rovinandola a tutti i costi, che è cosa ben diversa dalla libertà di scelta. Prendiamo ad esempio un’avventura horror. Il genere horror sfrutta determinati cliché, come la divisione del gruppo, l’andare di notte fra tombe e cimiteri e così via: i giocatori dovrebbero partecipare a questa avventura accettandoli, non cercando di opporvisi a tutti i costi! Quante volte, guardando un film horror, ci si è trovati a prendere in giro i personaggi del film quando sono entrati nella cripta del cimitero senza una torcia oppure quando hanno deciso di dividersi, finendo per favorire il mostro di turno? Ma c’è una grande differenza fra spettatori/giocatori e personaggi del film/gioco. Questo non significa giocare stupidamente, se nel gioco ci sono motivi per essere cauti, i personaggi avranno tutte le ragioni per esserlo. Significa invece che, nel momento in cui si decide di giocare ad un genere, occorre rispettarne le varie convenzioni implicite, fare il contrario avrebbe come unico risultato quello di rovinare la partita. Andreste mai a vedere un film horror in cui i protagonisti bombardano dall’alto ogni cimitero per evitare di incontrare i mostri? Penso proprio di no, quindi per quale motivo dovreste giocare alla stessa maniera una partita horror? Quando il GM propone una storia ai suoi giocatori, lo fa nella convinzione che chiunque, al tavolo di gioco, rispetterà le convenzioni del genere. I giocatori dovranno avere tutta la libertà necessaria a determinare lo sviluppo della storia, lasciando al GM il compito di condurla e di interpretare le regole. Quando tutti i partecipanti al gioco, che siano i giocatori o il Game Master, sanno qual è il loro ruolo e non tentano di interferire in faccende che non gli competono, l’avventura e il divertimento possono finalmente decollare!

mercoledì 7 dicembre 2016

La saga di Shannara: i prequel



Se siete amanti del fantasy, è probabile che fra i vostri scaffali si trovi qualche libro della serie di Shannara di Terry Brooks. Dico “qualche” perché i libri della saga sono ormai quasi 30 e non so quante persone ci siano in giro ad averli letti tutti. La saga è cominciata nel 1977 con “La spada di Shannara”, per poi proseguire con “Le Pietre Magiche di Shannara” (1982) e “La Canzone di Shannara” (1985). Questi tre romanzi formano il nucleo centrale della saga, la trilogia originaria. Negli anni Terry Brooks si è spinto tanto avanti, con decine di sequel, quanto indietro, con numerosi prequel. Quest’anno la saga è approdata sul piccolo schermo con la serie “The Shannara Chronicles”, facendosi conoscere ad un pubblico più vasto. Ora, se indubbiamente è vero che tale serie sia una vera schifezza, nonché un tradimento totale del libro da cui è tratto (Le Pietre Magiche), però ha avuto almeno il merito di riportarmi all’attenzione questi libri che avevo letto da ragazzo, facendomi soprattutto sorgere la fatidica domanda: ma di che diavolo parlano tutti gli altri libri? Cosa è riuscito ad inventarsi Terry Brooks per scriverne così tanti? Preso da sacro furore, ho deciso di leggerli tutti, prediligendo l’ordine cronologico al posto di quello di scrittura. Al momento ho finito di leggere tutti i prequel, motivo per cui vale la pena fermarmi un attimo e farci un articolo sopra. Ne dedicherò poi uno alla trilogia originaria e infine uno ai vari seguiti. Chiaramente tutto questo articolo è a rischio spoiler, ma cercherò di essere il più vago possibile, così da non togliere il piacere di una eventuale lettura. Chi ha letto la trilogia originaria si troverà avvantaggiato nella comprensione, e anzi, darò per scontato che voi l’abbiate fatto, ma non può essere diversamente, dato che i vari prequel servono appunto a spiegare come si è arrivati all’inizio della storia de “La Spada di Shannara”. A differenza della maggior parte delle serie fantasy classiche, la saga di Shannara è ambientata sulla Terra. Alla fine del XX secolo, vari conflitti armati, che hanno visto anche l’impiego di armi nucleari e batteriologiche, hanno quasi sterminato la razza umana e cambiato irreversibilmente la faccia del pianeta. La società che nasce dalle Grandi Guerre vede la presenza di nuove razze oltre a quella umana e, soprattutto, il potere della magia. La trilogia originaria prende il via direttamente nel nuovo mondo, le Quattro Terre, lasciando a racconti e dicerie tutto ciò che l’aveva preceduto. I prequel raccontano invece come si è arrivati a questo stato dei fatti, delle Grandi Guerre e di come gli esseri umani si siano quasi sterminati a vicenda. Potrebbe sembrare una storia che ha poco a che fare con tematiche fantasy, (es. come la magia) e invece no, come andremo a scopriremo.




Nella trilogia originaria, ci veniva raccontato come, all’alba dei tempi, esistevano moltissime creature fantastiche, in grado di utilizzare la magia per i fini più disparati. Esistevano creature della luce e creature delle tenebre e fra loro vigeva uno stato di guerra perenne. Le creature della luce riuscirono a prevalere ma, poiché non era nella loro natura l’uccisione e lo sterminio, decisero di bandire le creature dell’oscurità in un abisso senza tempo, il Divieto. Responsabile del mantenimento del Divieto era un albero magico, l’Eterea. Finché tale pianta fosse vissuta, i demoni non sarebbero mai riusciti a liberarsi dal Divieto in cui erano confinati. Questi eventi, molto lontani nel tempo, vengono indicati come epoca di Faerie. Sebbene i prequel non scendano molto più in dettaglio rispetto a quanto già detto, ci vengono però chiarite meglio quali furono le forze in gioco. Da una parte c’era il potere del Verbo (la luce), dall’altra il potere del Vuoto (l’oscurità). Lo scontro fra queste due parti è eterno e vede a volte il prevalere dell’una, a volte quello dell’altra. I campioni del Verbo sono noti come Cavalieri del Verbo e portano un bastone nero inciso di rune che permette loro di utilizzare la magia. Il loro scopo è difendere la razza umana e distruggere i servitori del Vuoto, i Demoni. I Demoni (da non confondersi con le creature bandite nel Divieto, nonostante abbiano lo stesso nome) sono essere umani che hanno fatto un patto con il Vuoto: in cambio di potere la loro essenza viene svuotata finché non si trasformano in creature di pura malvagità. Il loro obiettivo è di portare la sofferenza fra gli uomini, spargere sospetti e menzogne per creare uno stato di paura. Sul finire del XX secolo il Vuoto sta vincendo la guerra, mentre i campioni del Verbo non riescono a tenere il passo. I primi tre romanzi della saga sono “Il Demone” (1997), “Il Cavaliere del Verbo” (1998) e “Il Fuoco degli Angeli” (1999); si tratta di libri autoconclusivi con gli stessi personaggi. I protagonisti sono principalmente due: la giovane Nest Freemark, una ragazza dotata di poteri magici innati, trasmessi nella sua famiglia per linea femminile, e John Ross, cavaliere del Verbo, portatore del Bastone Nero e cacciatore di Demoni. John Ross fa ogni notte dei sogni molto particolari: vede il mondo come potrebbe diventare se il Vuoto vincesse la guerra contro il Verbo e, con tali informazioni del futuro, opera nel presente per evitare che tale  fosco scenario si avveri. Le varie storie portano i due personaggi a conoscersi e ad aiutarsi a vicenda. Nel primo romanzo, John deve aiutare Nest contro un Demone molto potente che ha preso di mira la famiglia della ragazza già da anni e che ora vuole reclamare la sua magia. Nel secondo romanzo è Nest a ricambiare il favore, impendendo a John Ross di abbandonare la causa del Verbo e di tradirla con quella del Vuoto. Anche stavolta c’è di mezzo un Demone, che con le sue macchinazioni stava cercando di portare John dalla sua parte. Il terzo romanzo è il più importante, poiché gli eventi ivi descritti avranno un impatto sul futuro di tutta la saga. John Ross fa uno dei suoi sogni premonitori e scopre che i Demoni riusciranno ad impadronirsi di un Variante, una creatura magica molto potente, che muterà le sorti della guerra. Con l’aiuto di Nest, John cerca di impedirlo, anche stavolta contro un Demone particolarmente tenace, forse il più pericoloso di tutti. Alla fine della storia sono le forze del bene a trovare il Variante, che si incarna in un neonato, il futuro figlio di Nest. La ragazza tiene segreto questo fatto al Demone il quale, pensando di aver già distrutto il Variante, sceglie di non rischiare un duello con Nest e la lascia andare via.


I successivi romanzi della saga sono “I Figli di Armageddon” (2006), “Gli Elfi di Cintra” (2007), “L’Esercito dei Demoni” (2009) e insieme formano una storia unica. Nonostante i successi di Nest e John Ross, il Vuoto ha infine avuto la meglio, le varie nazioni degli uomini sono scese in guerra le une contro le altre, fino al disastro più completo. La civiltà è collassata, la terra è inquinata, molte persone manifestano mutazioni genetiche (che in futuro porteranno all’apparizione di nuove razze), ma per il momento non c’è ancora stato l’olocausto nucleare. I pochi sopravvissuti si chiudono in fortezze, costruite su ciò che resta di antiche città, per sfuggire ai Demoni e ai loro eserciti di ex-uomini. Vengono chiamati così perché si tratta di esseri umani regrediti ad uno stadio bestiale, hanno venduto la loro anima ai Demoni, che li utilizzano come schiavi e servitori. Gli eserciti dei Demoni vagano per la terra devastata, prendendo d’assalto le fortezze superstiti una dopo l’altra. Nonostante tutto, però, c’è chi resiste. I cavalieri del Verbo ci sono ancora e in questa epoca (ci troviamo nel XXI secolo) ne troviamo due ancora vivi: si tratta di Logan Tom e Angela Perez. Entrambi lottano contro i Demoni e i loro eserciti, cercando di liberare gli essere umani imprigionati nei campi di prigionia. Al primo viene assegnata una missione di importanza fondamentale: dove cercare e proteggere il ragazzo chiamato Falco, leader di una setta di ragazzini sbandati che vive nei pressi della ex città di Seattle. Falco non è altri che il Variante, figlio di Nest Freemark, rimasto eternamente giovane e privo di memoria. Il Re del Fiume Argento, una creatura leggendaria risalente all’epoca di Faerie si è preso cura di lui dopo la morte di Nest e sa che nel suo futuro c’è una grande impresa: dovrà riunire il maggior numero possibile di sopravvissuti e portarli al sicuro dalla distruzione nucleare imminente. Angela Perez, invece, ha il compito di aiutare gli Elfi, una razza simile agli umani che vive nel profondo delle foreste, risalente al tempo di Faerie ma ormai senza magia. Gli Elfi sono sopravvissuti tenendosi lontano dagli uomini, che non hanno mai neppure sospettato della loro esistenza. Anche gli Elfi dovranno unirsi agli umani superstiti sotto la guida del Falco ma per farlo, è necessario mettere prima in sicurezza l’Etera, la gigantesca pianta che tiene in vita il Divieto. Le storie dei due cavalieri del Verbo si incrociano più volte, in una girandola incredibile di avventure: cavalieri rinnegati, Demoni spietati, il ritrovamento delle Pietre Magiche della Ricerca, l’utilizzo della strana magia del Loden, la salvezza dell’Eterea, fino al culmine della storia. Mentre le esplosioni nucleari avvolgono la terra in un inferno di distruzione, il Falco guida i superstiti all’interno di un valle e li, con la sua potente magia di Variante, crea una barriera protettiva sotto forma di una nebbia perenne. All’interno della valle, tenuti al sicuro dalla magia, l’umanità sopravvive alla distruzione totale che devasta il resto del mondo.


La saga prosegue con “L’Ultimo Cavaliere” (2010) e “Il Potere della Magia” (2011), che formano un’unica storia. Cinquecento anni dopo l’arrivo nella valle, le barriere protettive create dal Falco stanno per venire meno. Al di fuori c’è un mondo brutale, dove la vita si è adattata e dove solo il più forte sopravvive. Il primo ad accorgersi che le nebbie protettrici della valle sono sparite è Sider Ament, l’ultima cavaliere del Verbo. Sider tenta di avvertire le comunità umane all’interno della valle ma senza grande successo. Ad opporsi a lui, in particolare, è Skeal Eile, noto come il Serafico, voce spirituale della setta dei Figli del Falco. Questi ritengono di essere i discendenti del Falco e credono in un suo ritorno, che coinciderà con l’uscita dalla valle e il dominio su ciò che resta del mondo. Sider Ament fa la conoscenza di due giovani cercatori di piste, Panterra Qu e la sua inseparabile amica Prue Liss; in particolare, Sider vede in Panterra il suo potenziale successore al ruolo di cavaliere del Verbo. I due giovani, insieme ad alcuni compagni, fra cui la principessa degli Elfi Phryne Amarantyne, esplorano il mondo esterno ma vengono catturati da un gruppo di Troll (umani sopravvissuti all’olocausto nucleare che sono mutati in una nuova razza, potente e massiccia). I Troll sono feroci guerrieri e vogliono impadronirsi della valle. La storia si complica con l’arrivo dello Stracciaiolo, forse l’ultimo Demone rimasto al mondo, il cui scopo è uccidere Sider Ament ed impadronirsi del suo bastone magico. Senza entrare troppo nei dettagli, alla fine della storia il Demone viene sconfitto e l’invasione dei Troll scongiurata ma Sider Ament muore in combattimento e lascia il suo bastone a Panterra Qu, che diventa così l’ultimo cavaliere. Il romanzo termina con Panterra che lascia la valle per esplorare il mondo esterno, alla ricerca di una nuova casa per Uomini ed Elfi.


L’insieme di questi 8 libri costituiscono un lungo racconto, omogeneo per tematiche e personaggi: raccontano come le Grandi Guerre abbiano quasi spazzato via la razza umana, distrutto il mondo conosciuto e della dura vita dei sopravvissuti. Manca però un libro all’appello, “Il Primo Re di Shannara” (1996), che racconta con dovizia di particolari gli eventi che fanno da antefatto alla Spada di Shannara, il primo romanzo della trilogia classica. Pur facendo parte dei prequel, questo libro è molto diverso dagli altri, per via del grosso salto temporale negli eventi, presentandoci il mondo fantasy delle Quattro Terre come già formato. Il Primo Re si concentra su eventi che erano già stati descritti nella Spada, sviscerandoli di particolari e dando vita a personaggi leggendari che in quel libro erano stati soltanto nominati. Gli umani, gli Elfi, e le altre razze mutate uscite dall’olocausto nucleare (Troll, Nani e Gnomi), si sono diffusi per il mondo, occupando ciascuno un territorio e vivendo in relativo isolamento l’una dall’altra. A guidare le razze c’è un gruppo di persone, i Druidi, che vivono nel castello di Paranor. Lo scopo dei Druidi era quello di recuperare le conoscenze scientifiche perdute dall’umanità, ma nelle loro ricerche, finirono per (ri)scoprire l’esistenza della magia. Il druido Brona non approvava però la cautela della sua congrega nell’uso della magia, così, con alcuni seguaci, lasciò il castello di Paranor e proseguì nei suoi studi. Soggiogando la razza umana con i suoi poteri, Brona attaccò le altre razze ma queste, unendosi sotto la guida dei Druidi, riuscirono a sconfiggerlo. Secoli dopo la Prima Guerra delle Razze, Brona è ancora vivo, grazie alla magia, ma non è più umano, bensì una creatura non morta di immenso potere nota come Signore degli Inganni. Sfruttando la sua nuova forza, Brona conquistò la feroce nazione dei Troll e i piccoli e selvaggi Gnomi, quindi si preparò a schiacciare Nani ed Elfi ma non prima di aver lanciato un attacco preventivo contro i Druidi. Questi, avendo ormai ripudiato la magia, si erano chiusi in un intransigente isolazionismo e avevano rinunciato al loro ruolo di guida delle razze. I Druidi vengono sterminati ma alcuni si salvano e, fra essi, il mistico Bremen. Questi non aveva rinunciato allo studio della magia ma, anzi, si era reso conto che Brona e il Signore degli Inganni fossero la stessa persona. Insieme ai suoi compagni ed alleati, il druido Bremen mise in atto un piano per aiutare le razze a sconfiggere il vecchio nemico, un piano che ebbe il culmine con la forgiatura di una spada magica. Costruita con la sapienza tecnologica degli uomini del vecchio mondo, infusa di magia mortale e potenziata dalla magia degli spiriti dei morti, questa spada aveva un unico potere, quello della verità. Può sembrare poca cosa ma contro il Signore degli Inganni, un essere la cui vita è menzogna, prolungata artificialmente dalla magia, è la cosa più letale che ci sia. Bremen consegnò la spada a Jerle Shannara, il re degli elfi, che affrontò le orde dei Troll al servizio del Signore degli Inganni in un’epica battaglia. Jerle Shannara mise alle strette la malvagia creatura ma all’ultimo ebbe un’esitazione, il suo spirito guerriero lo portò ad utilizzare la spada come un’arma qualunque e non come il talismano magico che era. Tale indecisione permise al Signore degli Inganni di fuggire, sia pure indebolito e ridotto soltanto ad un’ombra. Bremen capì cosa era successo e si disperò, pensando che quando il Signore degli Inganni sarebbe tornato, lui non sarebbe stato più in vita, nonostante la magia del Sonno Magico che gli aveva permesso una vita molto più lunga di un comune essere umano. Così, Bremen fece due cose: istruì il suo successore alle arti magiche, un giovane ragazzo di nome Allanon, e si condannò ad una vita da spettro al Perno dell’Ade, un piccolo lago dove la vita e la morte si uniscono, finché il Signore degli Inganni non fosse stato sconfitto. Allanon, ora l’ultimo dei Druidi, avrebbe potuto consultarsi con lo spirito di Bremen ogni volta che se ne sarebbe presentata la necessità.


Leggere tutti i libri “prequel” della saga originaria di Shannara è stato interessante. Da una parte, Terry Brooks ha svelato un mondo nuovo, precedente a quello conosciuto nella trilogia classica, un mondo dove la magia del Verbo e del Vuoto si affrontano senza esclusioni di colpi. Dall’altro, è stato interessante seguire le tracce di oggetti, persone e situazioni che si sarebbero poi riproposte nei suoi libri più famosi. Si avverte un buco negli eventi fra “Il Potere della Magia”, con gli esseri umani che escono per la prima volta dalla valle dove erano sopravvissuti al disastro nucleare, e “Il Primo Re di Shannara”, che mostra il nuovo mondo delle Quattro Terre come una realtà già solida, una mancanza che forse Terry Brooks potrebbe decidersi a colmare. Ora, per quanto riguarda i contenuti, sebbene questa sia una “normale” saga fantasy, priva di qualsiasi ambizione letteraria nel senso più alto del termine, non è difficile notare come ci siano degli stilemi ricorrenti. Uno fra tutti è quello che io chiamo “l’uomo di frontiera”. Mi spiego meglio: ho notato che spesso e volentieri i protagonisti delle storie di Terry Brooks sono cacciatori, ranger, cercatori di piste, tutti caratterizzati perlopiù dalla voglia di stare da soli, di non mischiarsi con le altre persone e di cavarsela da soli. Questi personaggi o hanno un passato tragico, che li spinge a stare per conto loro, oppure sono uomini di frontiera, gente che vive nei posti più impervi e che si trova a proprio agio solo nella solitudine. Ovviamente, la storia spinge questi personaggi al confronto con altre persone, con il mondo esterno, un fatto che porta ad un duplice risultato. Da una parte, l’uomo di frontiera risulta più onesto, più coraggioso, più genuino delle altre persone, dall’altra deve spesso addossarsi un grave compito per un bene più grande, un compito che non vorrebbe ma che nondimeno il suo senso dell’onore e di giustizia gli impone di portare a termine. L’uomo di frontiera, inoltre, non ha particolare interesse nel genere femminile ma solo finché non trova la persona giusta, quella a cui giurare eterno amore. E se per i capricci del fato una tale unione risulta impossibile (spesso per via del duro compito che gli viene imposto), allora lui ne conserverà per sempre il ricordo, incapace di legarsi ad un’altra donna. Un altro stilema degno di nota è la sfiducia verso il potere costituito. Quando nei romanzi sorge una minaccia che riguarda una o più comunità, coloro che stanno al potere mostrano la loro incapacità ,anzi, spesso e volentieri si schierano con il nemico, per paura o per desiderio di potere, sperando di guadagnarci qualcosa. Gli unici che tentano di fare qualcosa, di schierarsi contro il male, sono gli eroi solitari di cui abbiamo discusso finora, che dal confronto con i molli uomini di governo ne escono sempre vincitori. 

Per adesso è tutto. Spero di avervi fatto interessare al mondo di Shannara, oppure venire la voglia di (ri)prendere in mano qualche libro. Come già detto, il prossimo articolo sul mondo di Shannara parlerà della trilogia originaria, i romanzi che hanno dato il via a tutto: non posso darvi una data precisa ma vi prometto che non dovrete aspettare tanto. A presto.