mercoledì 24 aprile 2013

Pathfinder




Ho già parlato del tremendo flop che è stata la 4° edizione di D&D: al di là dell’insuccesso commerciale vero e proprio, il suo più grande difetto è stato quello di aver scontentato la maggior parte dei giocatori della precedente edizione, i quali non hanno apprezzato le novità introdotte. Pathfinder è il gioco di ruolo che si rivolge appositamente agli scontenti della 4° edizione, e sostanzialmente non è altro che la continuazione della 3.5 sotto un altro nome e con un altro editore, al punto che i fan, informalmente, la chiamano edizione 3.75. Mentre la Wizards cercava (malamente) di innovare D&D, creando un regolamento che si distaccasse dalle sue precedenti incarnazioni, la Paizo ha preferito continuare a limare, sistemare e aggiornare il regolamento del d20 system, ormai caro a molti giocatori. 

Le regole del gioco sono contenute in due manuali: il poderoso manuale base, quasi 600 pagine a colori, e il Bestiario, il libro dei mostri. L’accorpamento dei manuali del giocatore e del Dungeon Master in un unico volume è forse l‘unica grossa differenza rispetto alla 3° edizione di D&D, di cui Pathfinder è la naturale evoluzione. Dal punto di vista dei contenuti, infatti, Pathfinder è un po’ come la 3.5 rispetto alla 3° edizione: una sorta di aggiornamento, quasi una gigantesca errata corrige, pur non mancando modifiche studiate appositamente per questa versione. Pathfinder riparte dal sistema di classi, livelli e incantesimi tipici del d20 system, con lo scopo di bilanciare il gioco e di sistemare le carenze della 3.5, e lo fa senza troppi stravolgimenti o aggiunte eclatanti. I giocatori abituati alle precedenti edizioni di D&D si troveranno assolutamente a loro agio con Pathfinder che, inoltre, è stato volutamente pensato per essere retro compatibile con i vecchi manuali.

Osservando con più attenzione le modifiche, si può notare come le razze sono state dotate di bonus aggiuntivi, e anche le classi hanno molti più poteri di prima. Lo stregone, ad esempio, deve decidere a quale linea di sangue appartenere, ottenendo poteri differenti a seconda della sua scelta. Vecchi privilegi di classe come Punire il Male o Scacciare Non Morti sono stati interamente riscritti, mentre le classi non magiche sono state potenziate allo scopo di metterle alla pari con quelle che utilizzano la magia: l’abisso fra le due categorie era decisamente imbarazzante nelle vecchie edizioni di D&D, ma neppure Pathfinder riesce nell’impresa di colmarlo del tutto, soltanto a ridurlo un altro po’. Le regole del combattimento restano sostanzialmente immutate, salvo quelle degli attacchi speciali come la lotta o il disarmare, che sono state revisionate in maniera profonda e rese di più facile comprensione ed utilizzo. Anche gli incantesimi sono stati sottoposti a revisione, con lo scopo di renderli meno letali: le magie che prima potevano uccidere all’istante, ora si limitano ad infliggere un certo numero di danni secondo il livello di chi le lancia. Il formato della descrizione dei mostri, infine, è stato semplificato, così come le regole che sovrintendono alla loro creazione ed al loro sviluppo.
Questa breve panoramica è certamente insufficiente a dar conto delle innumerevoli piccole modifiche presenti in Pathfinder, la loro dettagliata descrizione è un’impresa che va oltre gli scopi di questa recensione; basti dire, per essere chiari, che i giocatori delle vecchie edizioni di D&D non avranno grossi problemi ad abituarsi alle nuove regole, ma dovranno leggere con attenzione ogni singolo paragrafo per essere sicuri di non tralasciare nulla. Trovo più interessante, invece, darvi un parere sulla bontà di Pathfinder e sulle sue piccole novità. La parola chiave, in questo caso, è proprio “piccole”. Pathfinder non propone rivoluzioni o modifiche clamorose, anzi, a prima vista, i suoi manuali sembrano identici a quelli della 3° edizione di D&D. Quando la Wizards decise di far uscire la 4° edizione, ritenne che non era il caso di limitarsi a modifiche “cosmetiche” o di facciata (come nel passaggio fra la 3° e la 3.5), e puntò tutto su drastici cambiamenti al sistema di gioco (con risultati pessimi, certo, ma questo è un altro discorso); la Paizo, invece, allo scopo di intercettare quei di giocatori rimasti delusi dalla 4° edizione, ha tentato proprio quella strada. Anche se non mi trovo d’accordo con tutte le modifiche del regolamento (in particolare con la tendenza a riempire i personaggi di poteri, quasi a fare un gara con D&D su chi abbia le classi più potenti), il risultato finale è tutt’altro che disprezzabile. Resto comunque perplesso sulla reale necessità di riproporre un regolamento che, sia pure con le summenzionate novità, è in giro da più di dieci anni e che ha già dato tutto ciò che poteva dare. Provo ad immedesimarmi nei panni di un giocatore che possiede parecchi manuali delle precedenti edizioni: a che scopo procurarsi questa ennesima versione? Anche se il manuale di Pathfinder è retro compatibile con i vecchi manuali, diventerebbe necessario un continuo lavorio di aggiornamento per amalgamare i sistemi. Vale la pena dover affrontare questa scocciatura (perché di questo tratta, una maledetta scocciatura, ve lo dico da master!) solo per avere l’ultima versione di questo sistema di gioco? Se fossi un nuovo giocatore, senza la voglia di andare alla ricerca di vecchi manuali fra gli scaffali dei negozi o alla fiera di Lucca, mi indirizzerei verso Pathfinder; negli altri casi, mi terrei ben stretti i manuale della 3° edizione che, dopo 10 anni di supplementi ed espansioni, è probabilmente il gioco di ruolo più completo che esista.

venerdì 5 aprile 2013

Dominion, Thunderstone e Ascension: tre giochi, un sistema unico



Articolo unico, tripla recensione: come mai? Tutto nasce dalla scelta di recensire il gioco di carte Ascension: Chronicle of the Godslayer, a cui ho giocato di recente. Mentre tentavo di scrivere due righe per il blog, mi sono accorto che, istintivamente, ero portato a definire il gioco non tanto per le sue caratteristiche intrinseche, quanto per le sue differenze da Dominion, altro gioco di carte dalle meccaniche simili. A seguire, mi è venuto in mente che esiste anche un altro gioco, Thunderstone, che fa del “deckbuilding” il fulcro del suo sistema di regole, quindi ho deciso di fare una recensione unica. In questa maniera sarà più facile evidenziare i collegamenti fra i diversi giochi, nonché i loro punti di forza e le loro debolezze. Come ho accennato poco fa, è il “deckbuiling”, cioè la costruzione del mazzo di gioco, ad essere alla base dei tre giochi. Tutti i giocatori iniziano il gioco con un piccolo mazzo uguale per tutti, ma attraverso lo scambio, l’acquisto o l’eliminazione di altre carte, riescono a personalizzarlo, con lo scopo di renderlo il più efficiente possibile. Solitamente, lo scopo di questi giochi è fare più punti degli avversari, e lo si raggiunge costruendo il proprio mazzo turno dopo turno, cercando di acquistare le carte migliori, di eliminare le carte peggiori e magari tentando nel frattempo di infastidire o rallentare i propri avversari. 



Cominciamo da Dominion, che è il gioco di carte più famoso e il capostipite della categoria. Il gioco simula la competizione fra regni rivali, e il compito di ogni giocatore è quello di rendere il suo regno più ricco e potente tramite l’acquisto di terreni (tenute, ducati e province). Le carte che rappresentano questi terreni sono le carte vittoria e, seppur inutili per lo svolgimento del gioco in sé, il loro possesso (nonché il loro valore in punti) determina la vittoria finale. Ogni giocatore inizia la partita con dieci carte, fra le quali troviamo monete di rame (carte tesoro) e tenute (carte vittoria). Le monete servono per acquistare tutti gli altri tipi di carte, ovvero le carte vittoria, le carte tesoro di maggior valore (monete d’argento o d’oro) oppure le carte azione. Queste ultime sono il vero motore del mazzo, e hanno gli effetti più disparati: alcune permettono di pescare più carte, altre consentono di giocare più azioni o di fare più acquisti, altre obbligano gli avversari a scartare carte e così via. Il bello del gioco è proprio nella possibilità di giocare in combinazione diverse carte azione allo scopo di acquistare le carte vittoria di maggior valore. Le carte vittoria, come si è già detto, servono unicamente a determinare il vincitore ma, finché il gioco non è terminato, sono soltanto delle carte inutili che appesantiscono il mazzo; meglio quindi acquistare poche province (che valgono 6 punti vittoria) che un numero infinito di tenute (appena 2 punti vittoria) e mantenere snello ed efficiente il proprio mazzo. Dalla mia spiegazione dovrebbe risultare chiaro che la varietà e il divertimento del gioco passa per la quantità e la disponibilità di carte azione sempre diverse, e da questo punto di vista Dominion non teme certamente rivali, dato che esistono parecchie espansioni al gioco base, e le combinazioni fra esse sono virtualmente infinite. 



Thunderstone unisce la meccanica del deckbuilding ad una ambientazione di tipo fantasy: in questo gioco i punti non si fanno acquistando territori, ma sconfiggendo mostri nelle oscure profondità di un dungeon! Le carte rappresentano armi, incantesimi ed eroi: combinando i loro bonus di attacco, i giocatori tentano di superare il valore di combattimento dei mostri; se riescono a sconfiggerlo, mettono la carta della creatura nel loro mazzo e si prendono i relativi punti vittoria. Poiché si ispira ai giochi di ruolo fantasy, Thunderstone aggiunge alcune regole originali al classico sistema del deckbuilding: le carte degli eroi, ad esempio, hanno un livello che indica la loro potenza, ed è possibile aumentarlo tramite i punti esperienza conquistati sconfiggendo i mostri: in questa maniera, pertanto, il giocatore potrà prendere direttamente carte eroe di livello superiore senza doverle acquistare regolarmente. Ancora: ogni mostro è associato ad diverso livello di profondità del dungeon in cui si trova; quanto si affronta una creatura occorre giocare alcune carte in grado di fornire “illuminazione” o, in caso contrario, subire pesanti penalità. Anche Thunderstone vanta al suo attivo diverse espansioni in grado di aumentare la varietà di gioco; a conti fatti, l’unica grossa differenza con Dominion è l’ambientazione, e di conseguenza le particolari regole che essa porta con se. A voler essere pignoli, tuttavia, si può dire che Thunderstone è un po’ più semplice da giocare: il concetto “uccidi i mostri per fare punti” è più immediato e di facile comprensione per il giocatore occasionale; d’altro canto, questa semplicità si paga sul versante delle combinazioni fra le carte durante il gioco, che quasi mai arrivano al livello di raffinatezza e varietà di Dominion.  


Se c’è un difetto che si può imputare ad entrambi i giochi è una certa lentezza nella fase preparatoria della partita, quando si tratta di decidere quali carte utilizzare e quali no. E’ possibile scegliere fra i diversi startup suggeriti delle regole, oppure crearne di nuovi (con il rischio però di sbilanciare la partita), ma in ogni caso occorre tempo per decidere e per prendere le singole carte fra le centinaia disponibili. Sembra una cosa banale, ma vi assicuro che non lo è: i miei amici hanno tutte le espansioni disponibili, e se dopo una partita non si rimette tutto in ordine, la volta dopo è il caos più totale! Ascension, l’ultimo gioco della triade, risolve alla grande questo problema, dato che non è necessario selezionare fra le varie carte dato che, molto semplicemente, si utilizzano tutte! Si fa un unico grosso mazzo, si pescano le prime sei carte e si dispongono sul tavolo; appena un giocatore compra una carta o sconfigge una creatura, al suo posto ne viene subito messa un’altra. Il fatto che le carte disponibili cambiano ad ogni turno rende le cose vivaci e variabili: magari un giocatore mette l’occhio su una carta ma, prima che inizi il suo turno, questa gli viene soffiata da un altro giocatore! Ascension ha una meccanica di deckbuilding simile a quella degli altri due giochi, dove vince il giocatore che fa più punti: questi si ottengono sconfiggendo creature (come in Thunderstone) o acquistando carte (come in Dominion). A differenza di quest’ultimo, però, non c’è una distinzione fra carte che danno punti e carte che si usano per compiere azioni: tutte le carte hanno sia un effetto che un valore in punti; a volte sarà necessario acquistare una carta non tanto per la sua utilità ma per il suo valore, o viceversa. Un’altra peculiarità di Ascension sono le carte artefatto che, una volta giocate, restano sul tavolo da gioco, senza andare ad appesantire il mazzo del giocatore; si tratta di una variante tattica molto utile ed apprezzata. Ascension ha il pregio della semplicità e il fascino di un’ambientazione fantasy, una buon livello di combinazione fra le carte in gioco (superiore a Thunderstone ma non al livello di Dominion) e una immediatezza in fase di setup del gioco che non ha rivali.