domenica 4 giugno 2017

Dungeons & Dragons 5° edizione: la recensione!


Benvenuti. È notizia di poche settimane fa che la 5° edizione di Dungeons & Dragons, anche nota come D&D next, verrà finalmente tradotta in italiano, a più di due anni dalla sua uscita. L’annuncio ha mandato in fibrillazione la comunità dei giocatori di ruolo italiani, che si sono scatenati a commentare sui social l’imminente evento. Da parte mia, posso dire che la notizia mi ha lasciato abbastanza freddino: gioco alla 5° edizione quasi da due anni in edizione originale senza troppi problemi; inoltre, D&D non è mai stato il mio gioco di ruolo preferito, in nessuna delle sue varie versioni. È presto per dire quando vedremo il primo manuale tradotto; da parte mia posso invece dire con certezza quando smetterò di giocarci: la mia campagna terminerà a ridosso dell’estate e poi, come di tradizione per il mio gruppo, ci dedicheremo ad altro. Mi pare dunque il momento opportuno per tirare le somme e fare una bella recensione di questa edizione: per me è un’occasione di salutare il gioco e dirgli addio; per i nuovi giocatori che si avvicineranno a D&D 5 grazie all’edizione italiana, la possibilità di sapere in anticipo cosa li aspetta. Prima di proseguire, un’avvertenza: se già di per sé le recensioni sono una cosa altamente personale, nei giochi di ruolo lo sono ancora di più. Ogni gruppo, infatti, ha un suo stile di gioco, che modella inconsciamente l’applicazione delle regole. Anche se il manuale delle regole non cambia, potete star certi che il D&D che si gioca al mio tavolo è diverso da quello potreste giocare voi, ogni giocatore e ogni Game Master porta con sé un approccio unico che influisce tantissimo sul modo di giocare. La mia recensione, pertanto, non solo è il risultato dei miei gusti, ma anche di uno stile di gioco (o meglio, di condurre il gioco, poiché sono un Game Master) che potrebbe essere lontanissimo dal vostro. Affinché questo articolo vi sia utile, non scordate questo avvertimento. Dal canto mio, cercherò di sottolineare quando e quanto il mio giudizio sarà influenzato dal mio modo di giocare, piuttosto che dai miei gusti.

Prima di cominciare, voglio subito mettere in chiaro una cosa: questa sarà una recensione per giocatori esperti. Può sembrare un controsenso ma davvero non ho il tempo di spiegare da zero cosa sia un gioco di ruolo e come funziona. La mia recensione presuppone che tu, mio lettore, sia già un giocatore (o un Master), probabilmente conosci la 3° edizione di D&D (sicuramente l'edizione di maggior successo), forse hai giocato a quella schifezza della 4° edizione, quasi sicuramente ti sei rifugiato in Pathfinder per poter giocare a qualcosa di simile a D&D, in assenza dell’edizione italiana. Ora che finalmente la 5° edizione sta per essere tradotta, ti domandi: “ne vale la pena? Vale la pena di ricomprare i tre manuali base più la probabile ambientazione o conviene andare avanti con i giochi di ruolo che già possiedo?”. Se non avete mai giocato a D&D (o Pathfinder) in nessuna delle sue forme, molto di quello che scriverò avrà poco senso per voi, però non scoraggiatevi, il mio giudizio finale sarà duplice, rivolto tanto ai vecchi quanto ai nuovi giocatori.


La maniera più semplice di descrivere D&D next è quella di vedere dove si differenzia dalla 3° edizione e dove vi resta fedele. La 4° edizione si allontanò parecchio da diversi concetti base di D&D e (anche) per questo, fu punita dallo sfavore dei giocatori. La 5° edizione torna alle origini ma vuole farlo con maggior attenzione alla semplicità. Le caratteristiche di base sono sempre le stesse (Forza, Destrezza, ecc.) ma si fermano a 20 (per i giocatori) e a 30 (per i mostri). Le razze sono quelle classiche, con l’aggiunta dei dragonidi della 4° edizione. Alcune razze hanno un archetipo base (es. l’elfo) più alcuni tratti extra in base allo specifico sottotipo (es. elfi delle foreste, elfi della luna, etc.) Anche le classi sono quelle standard, con l’ingresso stabile del warlock dalla 4° edizione. Ogni classe si sviluppa su 20 livelli, gli incantatori tornano ad avere slot magici e incantesimi da preparare (una delle cose che erano state tolte dalla precedente edizione e che più avevano fatto storcere il naso), scompare il bonus di attacco base con tutte le sue complicazioni e fa la sua comparsa il bonus di competenza (prima grossa differenza). Questo bonus parte da +2 e arriva ad un massimo di +6, aumenta con il livello e un personaggio lo somma ai suoi attacchi, ai tiri salvezza in cui è maggiormente versato e alle abilità che sceglie fra quelle disponibili per la sua classe. Scompaiono così anche i gradi di abilità e la necessità di spendere punti o aggiornare la scheda ogni livello. Per calcolare i propri punteggi finali di attacco, tiri salvezza o abilità, occorre considerare soltanto il bonus della relativa caratteristica e se il personaggio sia competente o meno. Fatto ciò, il punteggio muterà solo quando aumenterà (automaticamente) la caratteristica o il bonus di competenza, riducendo i calcoli a zero o quasi. L’impatto di questa novità non si avverte solo in sede di creazione e di sviluppo del personaggio, ma anche nella risoluzione delle azioni. Pensateci bene: nella 3° edizione il bonus di un personaggio, nell’attacco o nelle abilità, cresceva costantemente. Per mantenere bilanciate le sfide, occorreva quindi che la Classe Armatura dei mostri o le difficoltà delle azioni aumentassero di conseguenza. Guadare un fiume (ad esempio), aveva una classe difficoltà di 10-15 all’inizio del gioco ma stranamente aumentava man mano che il personaggio diventava più potente. In D&D next è possibile assegnare una CD in base a quanto sia davvero difficile un’impresa e poi lasciarla inalterata. I bonus dei personaggi crescono lentamente e questo garantisce che un’azione difficile resti sempre più o meno ardua.

Ogni classe presenta ai giocatori alcuni percorsi, al suo interno, che servono a specializzare il personaggio in un senso piuttosto che un altro. Prendiamo il ladro: è possibile diventare un esperto scassinatore, un assassino oppure apprendere qualche rudimento di magia per diversificare le proprie capacità. Questi percorsi, pur non essendo esattamente la stessa cosa, sostituiscono le vecchie classi di prestigio, che scompaiono completamente. Non è solo una differenza numerica (le classi di prestigio nella 3° edizione erano ormai centinaia) ma anche sostanziale: si accede ad un certo percorso unicamente tramite una singola classe e se ne può avere una e soltanto una. Scompaiono inoltre del tutto i talenti, che erano il cuore del sistema di gioco della 3° edizione. I talenti erano alla base della personalizzazione del personaggio ma, a conti fatti, non venivano impiegati correttamente. Come già scritto, ve ne era un numero spropositato, ma a conti fatti, oltre il 90% del totale erano inutili. I giocatori, poi, concentrandosi sempre e soltanto sugli stessi, i migliori, ne rendevano di fatto la scelta obbligatoria allo scopo di avere il personaggio più potente (e potete star certi che il 99% dei giocatori si comportava così, con buona pace dei Master che tentavano di impedire gli eccessi più assurdi). Proprio la combinazione di talenti e classi di prestigio ha portato la 3° edizione ad avere la fama di gioco “power play”, una fama più che meritata. D&D 5 risolve il problema alla radice, eliminandone le cause (seconda grossa differenza). A dire la verità, i talenti esistono ancora ma in maniera parecchio diversa. Innanzitutto sono una regola opzionale, per selezionarne uno il giocatore deve rinunciare ad un aumento di caratteristica del personaggio. Seconda cosa, i talenti sono pochi e davvero efficaci, sceglierne uno piuttosto che un altro ha un grosso impatto sulla vita del personaggio.

Per quanto riguarda la risoluzione delle azioni, fa la sua comparsa la regola del vantaggio. Se, nel compiere un’azione (che sia nascondersi, combattere o scalare una montagna), il vostro personaggio si trova in una condizione favorevole (vuoi perché è nascosto nelle ombre, perché attacca un nemico stordito o perchè dispone di una solida presa e attrezzi da scalatore), ottiene un dado bonus. Il giocatore lancia 2 dadi a 20 facce e sceglie quello che mostra il risultato più alto. Al contrario, se il vostro personaggio è influenzato da condizioni avverse (il nemico è all’erta e non c’è alcun posto dove nascondersi, il vostro bersaglio è invisibile oppure infuria una tempesta mentre vi state arrampicando), avrete un dado di svantaggio: lancerete due dadi e sarete obbligati a prendere il risultato peggiore. In questa semplice maniera, si tolgono di mezzo elenchi e tabelle piene di bonus o penalità, l’unica cosa che conta è sapere se il vostro personaggio si trova in una situazione di vantaggio o di svantaggio. Pare una cosa semplice...e in effetti lo è, ma soprattutto funziona alla grande! Come Master potete improvvisare in ogni situazione, concedendo vantaggi o imponendo svantaggi, senza dover rallentare il gioco alla ricerca di quel singolo modificatore. 


L’ultima grossa differenza è il lavoro di bilanciamento compiuto sulla magia. Nella 3° edizione (come in Pathfinder), gli incantatori surclassano completamente le altre classi. Una volta che il mago o il chierico hanno avuto accesso a determinati incantesimi, staccano nettamente tutto il resto del gruppo, diventando capaci di eliminare da soli le minacce più insidiose. Gli altri personaggi vengono relegati ad un ruolo minore, al massimo di protezione del mago, che può così lanciare i suoi incantesimi in tutta tranquillità. La 5° edizione ha cambiato le cose e, sebbene la perfezione non sia di questo mondo, bisogna ammettere è riuscita a bilanciare gli incantatori con le altre classi. Come ha fatto? Per prima cosa, si impedisce ai maghi di accumulare potenziamenti a raffica: incantesimi di questo genere richiedono ora concentrazione. Questo non significa che il mago deve restare fermo sul posto a meditare, significa semplicemente che è possibile concentrarsi su un solo incantesimo per volta. Non tutti gli incantesimi richiedono concentrazione ma quelli che lo fanno sono proprio quelli che potenziano l’incantatore o i suoi alleati. Come seconda cosa, sono scomparsi quasi tutti gli incantesimi il cui effetto era di uccidere all’istante, gli incantesimi che infliggono danno ne infliggono un pò meno di prima (e comunque, i mostri ora hanno molti più punti ferita di prima, quindi…) mentre gli incantesimi che impongono effetti su altre creature, come paralisi o cecità, sono diventati a concentrazione, motivo per cui il mago non può tenerne attivo più di uno per volta. Ah, dimenticavo: è possibile liberarsi degli effetti nocivi di alcuni incantesimi anche in seconda battuta, continuando a fare tiri salvezza ogni turno finché non si ottiene un successo! Poveri maghi, verrebbe da dire, e in effetti chi è molto abituato alla 3° edizione riceverà un vero e proprio shock. Potrebbe sembrare che maghi e chierici non solo siano stati depotenziati, ma ridotti a mere ombre di ciò che erano un tempo. Giocando, però, ci si accorge che gli incantatori sono ora potenti come i loro compagni, con i loro punti di forza intatti (attacchi ad area e capacità di creare effetti che nessuno possiede), l’unica cosa che hanno perduto è la capacità di risolvere da soli interi scontri. Che poi neppure questo è vero, tante volte il mago del mio gruppo ha salvato la situazione da solo, ma è successo anche che pure i guerrieri o i ladri riuscissero a fare lo stesso.

Ci sono, ovviamente, moltissime altre piccole differenze tra la 3° edizione e quest’ultima, ma analizzarle tutte nel dettaglio ci porterebbe via troppo tempo. Prima di passare a ciò che non funziona in questa edizione, vorrei però segnalare la gestione degli oggetti magici. Nella 3° edizione, i personaggi non potevano davvero farne a meno, ad eccezione, forse, del mago, il quale basa la quasi totalità del suo potere sulla magia. Le classi combattenti, ad esempio, oltre ad essere inferiori a quelle magiche, avevano una grande necessità di oggetti magici per potenziare le loro caratteristiche, per disporre di capacità speciali, per riuscire a tenere un minimo il passo con maghi e stregoni. Nella 5° edizione le cose sono un pò diverse. Innanzitutto gli oggetti magici non sono più così indispensabili. Intendiamoci: in un gioco come D&D, basato su depredare tesori da antiche cripte sotterranee, gli oggetti magici resteranno sempre una cosa importante, se non altro per fornire colore, varietà e al gioco. La differenza ora è che è la classe a fornire la maggior parte dei poteri ai personaggi, gli oggetti magici aiutano o migliorano queste capacità ma niente di più. Un guerriero senza spada o armatura magica è efficace quasi quanto un guerriero che le possieda entrambe. Inoltre, per evitare che i personaggi si riempiano di oggetti senza ritegno, è stato introdotto il requisito dell’attunement. Cosa è? Gli oggetti magici più interessanti (e più utili) richiedono quasi tutti che un personaggio si “sintonizzi” con il suo potere prima di poterlo usare. Un personaggio non può utilizzare contemporaneamente più di tre oggetti magici con questo requisito. A differenza della 3° edizione, dove si poteva utilizzare un oggetto di ogni tipo (più due anelli), ora occorre tenere da conto anche questo requisito. Un guerriero, ad esempio, potrebbe avere l’armatura adamantina, i guanti del potere orchesco e una spada fiammeggiante, tre oggetti che richiedono attunement, ma non potrebbe aggiungervi altri oggetti come mantelli di protezione, anelli di resistenza perché pure questi oggetti richiedono attunement. Non ha importanza che fisicamente lo spazio per un mantello o gli anelli sia libero, se quell’oggetto richiede attunement, il giocatore dovrà fare la sua scelta.


Si direbbe, a questo punto, che il mio giudizio sulla 5° edizione sia decisamente positivo. Chi mi conosce (di persona o tramite questo blog) sa invece che questo è il momento in cui arrivano le critiche. Il più grosso problema che ho avuto con questa edizione è stato nella gestione degli incontri e, di conseguenza, con la potenza dei mostri. D&D 5 è stato progettato avendo a riferimento un certo stile di gioco, che purtroppo non è lo stesso che utilizzo io con il mio gruppo. D&D 5 presuppone che i personaggi affrontino diversi combattimenti in sequenza al giorno, indebolendosi lentamente, consumando incantesimi, oggetti magici e più in generale risorse. Giocando in questa maniera, i mostri dovrebbero rappresentare delle minacce efficaci. Questo modo di giocare, però, mi spiace dirlo, sembra quello dei giochi da tavolo o dei videogame, più adatto a dei bambini che a giocatori che vogliano costruire una storia comune. Al mio tavolo di gioco, io e i miei giocatori cerchiamo di portare avanti una storia, che ha i suoi tempi e i suoi modi di svilupparsi e che raramente impone di combattere senza sosta per ore e ore. Il dungeon con mille stanze, pieno di mostri e trappole, è un cliché del gioco di ruolo ma, appunto, solo un cliché. Qualche volta potrebbe anche capitare di giocarlo ma questo non può avvenire sempre. Ridurre il gioco ad una sequenza di combattimenti senza senso è lo stile di gioco adottato da questa edizione, mutuato dalla 4° edizione, una cosa che era certamente meglio non copiare. Poiché al mio tavolo si combatte molto meno di quanto vorrebbe D&D 5, i mostri appaiono piuttosto debolucci, i giocatori li affrontano con i personaggi a pieno potere o quasi, e i tentativi di potenziarli raramente portano a qualcosa di diverso dal trascinare lo scontro qualche round in più. Mi rendo conto che questa critica è molto personale, però, prima di comprare D&D 5 a scatola chiusa, fatevi due domande. Quando giocate di ruolo, qual è il vostro stile? Se è molto interpretativo, se non vi piace combattere molto, se preferite farvi guidare unicamente dalle necessità della storia, se non fate più di un paio di combattimenti a sessione, forse D&D 5 non fa per voi, perchè poi vi trovereste nella mia stessa situazione.

Un altro problema di questa edizione, collegato solo in parte al precedente, è la bassissima mortalità dei personaggi. Nella 3° edizione sarà capitato a tutti di vedere il proprio personaggio ucciso (e magari poi resuscitato), i combattimenti erano oggettivamente pericolosi, i mostri possedevano poteri incredibili, per non parlare degli incantesimi. Ho già detto come gli incantesimi della 5° edizione sono stati depotenziati ma qui il problema è un altro, è che il gioco è strutturato per evitare la morte dei personaggi. Quando un personaggio finisce a 0 punti ferita sviene, ma per morire dovrebbe subire una quantità di punti ferita negativi pari ai suoi punti ferita massimi, e deve accadere in un colpo unico, perchè non si tiene traccia dei punti ferita negativi! Quindi, per esempio, un personaggio con 40 punti ferita, dovrebbe prima arrivare quasi a 0 punti ferita, quindi subire un colpo così potente da ridurlo a -40 punti ferita! Capirete che, tranne al primo o al secondo livello di esperienza, la morte per eccesso di ferite è impossibile, da quasi due anni che gioco non è mai successo, né qualcuno c’è mai andato anche solo vicino. Ma che succede ad un personaggio svenuto? Deve fare un tiro salvezza contro la morte. É un tiro secco del d20, senza bonus, dove 10 o più indica il successo, 9 o meno il fallimento. Per morire davvero, occorre fallire tre volte, non necessariamente di seguito. Questo è forse l’unico modo che potrebbe portare alla morte del personaggio ma neppure questo è mai successo. Basta ricevere una cura, anche solo di 1 punto ferita, per stabilizzare il personaggio e farlo riprendere. Inoltre, esiste un incantesimo dei chierici e dei paladini, di basso livello, che riporta in vita un personaggio morto da un minuto! La totale banalizzazione della vita e della morte è completa: se pure, contro tutte le possibilità, un personaggio muore, può essere resuscitato con una facilità disarmante. Potrei aggiungere anche una descrizione delle generosissime regole per recuperare punti ferita (una notte di sonno e stai sano come un pesce), ma penso che ormai abbiate capito. Questa 5° edizione è davvero sbilanciata a favore dei giocatori, il rischio di morire o fallire è praticamente inesistente. A differenza del problema della gestione degli incontri, che deriva da un mio stile di gioco diverso da quello propugnato da D&D 5, il problema con le regole della mortalità mi sembrano più “oggettive”, chiunque ci giochi, in qualunque modo lo faccia, vi avrà a che fare. Io non sono un Game Master spietato, tutt’altro, ma questa semi invincibilità regalata ai personaggi, questa quasi immortalità, mi lascia davvero perplesso e trovo che tolga parecchio gusto al gioco.

Un’altra cosa che non mi piace molto di questa edizione è il sistema per creare personaggi non giocanti o mostri. Per quanto riguarda i personaggi non giocanti (da ora png, per risparmiare tempo), possono essere creati esattamente come un giocatore creerebbe il suo personaggio, oppure in una forma semplificata. Le regole si limitano a dire che è la stessa cosa, che puoi fare come ti pare, ma a conti fatti non è vero, perchè un png creato come un personaggio è molto più forte di uno creato in modalità semplificata. Questa modalità, poi, è la stessa dei mostri, ed è di una banalità disarmante: si decide il grado di sfida del mostro (cioè quanto dovrebbe essere impegnativo da affrontare, almeno in teoria), quindi i suoi punteggi, i suoi attacchi, i suoi bonus scaturiscono in maniera automatica. Il principio base intorno a cui ruota tale sistema è che un mostro con un grado di sfida uguale ad un personaggio di pari livello ha circa il 50% di probabilità di colpirlo o di essere colpito. Questo sistema sarà pure veloce ma è di una tristezza e faciloneria incredibile. Tutte le capacità e le differenze di un mostro vengono annullate e ricondotte ad un unico valore, il grado di sfida. Esiste una maniera più dettagliata di creare un mostro, lo scopo sarebbe quello di non avere bonus che spuntano dal nulla ma di determinarli passo passo, un pò come i personaggi giocanti. Il problema è che, quando si arriva al dunque, quando le regole dovrebbero dirti come determinare questo o quel bonus, si limitano a dirti “guarda i bonus della tabella per la creazione veloce del mostro”... oltre al danno pure la beffa! Questo sistema di gestione di png e mostri deriva dalla 4° edizione (quanti danni ha fatto e sta facendo quel gioco…) ma è privo persino di quegli accorgimenti che perlomeno la stessa 4° edizione aveva. Mancano infatti regole accurate per potenziare e depotenziare mostri, o per applicarvi un archetipo per modificarne la struttura, non c’è nulla di nulla! Da Game Master di esperienza quale sono, mi sono regolato un pò ad occhio, a volte utilizzando trucchi dalla 3° edizione, ma i giocatori principianti come se la caveranno?

L’ultima cosa che proprio non ho gradito della 5° edizione è il depotenziamento degli incantesimi. É vero che il risultato finale è stato il bilanciamento delle classi incantatrici con le altre, come ho scritto qualche paragrafo sopra, però: 1) del bilanciamento delle classi mi interessa fino ad un certo punto, e 2) poteva essere fatto senza toccare gli incantesimi, che erano un pò il cuore di D&D. Innanzitutto, il bilanciamento delle classi non è necessariamente sinonimo di un buon gioco di ruolo, il cui scopo, ricordiamocelo, è divertirsi, non avere personaggi uguali. Poi, questo ridimensionamento degli incantesimi mi sembra che vada sempre nel senso di salvaguardare i personaggi: non potendo più morire di ferite, i designer della 5° edizione si sono assicurati che pure gli incantesimi non potessero danneggiarli più di tanto. Un mago deve scegliere se potenziarsi o lanciare un incantesimo di controllo sui nemici (e uno soltanto, dato che sono tutti a concentrazione) e, se pure ha successo, concedendo un tiro salvezza ogni turno, è quasi certo che entro breve verrà infranto. Quanto agli effetti, ora che bonus e penalità sono scomparsi, il massimo che si può infliggere è un dado di svantaggio. Non nego che sia una meccanica interessante nella gestione delle azioni ma, parlando di incantesimi, è troppo poco se si parla di effetti come la cecità o l’attaccare invisibili. Il combattimento e gli incantesimi necessiterebbero di maggiore varietà di effetti, e invece tutto si appiattisce dietro un dado bonus o penalità. Restano efficaci solo gli incantesimi che infliggono danni, almeno possono essere sempre lanciati, ma i mostri ora hanno molti più punti ferita di prima e i personaggi...beh, abbiamo visto che morire di ferite è impossibile!

Credo di aver detto tutto. É quindi il momento di tirate le somme. D&D 5 è un buon gioco di ruolo ma, nei fatti, molto distante dal mio modo di giocare e di vedere le cose, per cui dubito proprio che lo giocherò di nuovo. Se siete giocatori esperti, se conoscete e avete giocato altre edizioni di D&D, fate attenzione alle differenze che ho elencato e chiedetevi se lo stile di gioco di D&D 5 è quello che fa per voi. Soltanto se la risposta è un deciso e convinto si, allora potete prendere in considerazione di passare a questa nuova edizione; se avete dei dubbi, tenetevi i vecchi manuali, risparmiate soldi e continuate a giocare con quello che avete. Se siete dei nuovi giocatori, e non avete problemi a spendere i soldi per comprare tutti i manuali necessari a giocare...pensateci su un altro pò! Leggete prima questo articolo (link), dove spiego quali sono i migliori giochi di ruolo per giocatori novizi. Se nonostante tutto ciò pensate che D&D 5 sia il gioco che fa per voi, allora accomodatevi pure. Al di là dei miei ragionamenti, bisogna considerare che giocando a D&D è facile trovare nuovi giocatori, perché si tratta del gioco di ruolo più famoso e giocato al mondo. Inoltre, quando si gioca per la prima volta, è improbabile che le prime avventure siano diverse da un’accozzaglia di combattimenti. D&D 5 può essere un buon punto di ingresso al mondo dei giochi di ruolo, offre un regolamento solido che, per quanto non trovi il mio gusto, può andar bene ad un principiante che voglia fare solo un pò di sano EUMATE (entra, uccidi mostro, afferra tesoro). C’è sempre tempo per passare a giochi migliori...