mercoledì 31 dicembre 2014

Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate



Ben ritrovati. Oggi è l’ultimo giorno dell’anno e per chiudere in bellezza questo 2014 vi lascio alla lettura di un pezzo speciale. Il terzo ed ultimo film de Lo Hobbit è nelle sale da qualche settimana ed è giunto il momento di concludere la recensione sulle differenze tra pellicola e romanzo, le cui parti precedenti trovate qui e qui. Forse è il caso che gli (ri)diate un’occhiata per rinfrescarvi la memoria, dato che non ho intenzione di ripetere ciò che ho già scritto nei vecchi articoli né di tornare a sottolineare differenze già sviscerate a sufficienza.



Il film si apre con il drago Smuag in volo verso la città di Pontelagolungo. Bastano alcuni passaggi della mostruosa creatura per trasformare la città in un vortice di fiamme e caos. I cittadini, disperati, tentano di fuggire sulle barche e lo stesso fanno i pochi nani della compagnia di Thorin rimasti in città, insieme all’elfa Tauriel. Bard riesce a liberarsi dalla prigione deve era stato gettato dagli sgherri del governatore, sale su una torre di legno e inizia a bersagliare il drago di frecce, senza alcun risultato. La svolta avviene con l’arrivo di suo figlio Bain, che gli porta l’ultima freccia nera. Con un disperato espediente, Bard riesce a scagliarla e a colpire il drago nell’incavo sul petto, dove la sua corazza è assente. Con un grido terrificante il drago morente precipita sulla città in rovina, travolgendo la barca del governatore. Bilbo, Thorin e gli altri nani assistono agli eventi dall’alto della montagna. Nel libro le cose vanno in maniera leggermente diversa. Innanzitutto non ci sono nani a Pontelagolungo, tutta la compagnia di Thorin si trova già alla Montagna Solitaria, così come non ci sono elfi, Tauriel è un personaggio inventato per il film. Nel libro tutta la città si prepara a combattere e distrugge il ponte che la collega alle rive del lago, per evitare di dare al drago un appoggio e obbligandolo a restare in volo. Bard scopre il punto debole nella corazza di Smaug grazie ad un tordo parlante, il quale aveva sentito il racconto di Bilbo ai nani sullo stesso argomento. La freccia nera di Bard non è una lancia di metallo, ma una vera e propria freccia, avuta da suo padre e dai suoi antenati, forgiata nelle fucine del Re sotto la Montagna. Bard scaglia la freccia e il drago viene ucciso; nella sua caduta, tuttavia, non affonda nessun governatore, che pertanto è vivo e vegeto alla fine della battaglia.



Il film continua mostrandoci Bard che si occupa del suo popolo, mettendosi in marcia verso la città in rovina di Dale per cercare riparo. I suoi pensieri vanno ovviamente al grosso tesoro nella Montagna Solitaria, che reputa incustodito in quanto è certo che i nani siano stati uccisi. Fili, Kili e gli altri nani che si erano separati da Thorin si ricongiungono con i loro consanguinei, mentre Legolas e Tauriel lasciano la città diretti a nord. Bilbo accenna alla malattia dell’oro di cui sarebbe preda Thorin e in effetti gli altri nani non possono che constatare sgomenti ciò che sta avvenendo al loro re. Thorin non riesce a pensare a niente che non sia ritrovare l’Arkengemma, e inizia a pensare che gli altri nani l’abbiano trovata e gliela tengano nascosta. Nel frattempo arrivano gli elfi silvani guidati da Thranduil, che porta anche soccorso ai superstiti di Pontelagolungo. Thranduil però chiarisce di non essere arrivato li per aiutare gli umani, ma per reclamare una parte del tesoro, in particolare delle gemme di bianca luce stellare a cui tiene molto. Bard e Thranduil si recano insieme alla Montagna e, incredibilmente, trovano la porta di Erebor sigillata dalle macerie: Thorin e i suoi sono ancora vivi. Ha luogo una contrattazione fra Bard e Thorin ma finisce male: Thorin si rifiuta di cedere la parte del tesoro che aveva promesso agli abitanti del lago e anzi invia un corvo messaggero per chiedere aiuto a suo cugino Dain. Intrecciata alla storia principale seguiamo anche le vicissitudini di Gandalf, prigioniero di Sauron a Dol Guldur e quelle di Legolas e Tauriel. Confrontandoci con il romanzo, possiamo subito eliminare queste due storie secondarie poiché Legolas e Tauriel non vi compaiono proprio; quanto a Gandalf, alla fine del romanzo racconta brevemente a Bilbo come lui e il Bianco Consiglio abbiano scacciato il Negromante (ossia Sauron) da Dol Guldur. Non ci sono quindi reali paragoni da poter fare con le scene d’azione inventate da Peter Jackson. Mi limito a dire due cose: la scena in cui Galadriel scaccia Sauron è decisamente esagerata, impossibile che la Dama Bianca sia più potente di Gandalf; quanto poi alle parole di Elrond sulla necessità di dare la caccia immediata a Sauron, quasi che potesse essere davvero sconfitto, appaiono del tutto fuorvianti! Anche senza l’anello del potere, Sauron non può essere battuto, ciò che appare come una vittoria in realtà è solo tempo guadagnato prima della fine. Tornando alla storia principale, nel libro Bard viene acclamato re dalla sua gente, contro il volere del governatore, ancora vivo, ma per il momento Bard non vuole saperne nulla, desidera solo essere d’aiuto. Gli eventi procedono più o meno come nel film, ma in un arco di tempo più lungo (circa 11 giorni). Thranduil marcia sulla montagna con la sua armata di elfi per reclamare il tesoro ma devia verso gli umani per prestare aiuto in quanto “buono e gentile”. Questa è una grossa differenza rispetto al film, che tenta in ogni maniera di presentare Thranduil come un bastardo, quando nel libro viene detto chiaramente che si tratta di un re buono e giusto. Thorin apprende dai corvi parlanti non solo la morte del drago (non l’ha vista dagli spalti della Montagna come nel film) ma anche l’arrivo dell’esercito degli elfi e degli uomini; si infuria e mentre manda i corvi ad avvertire suo cugino Dain, inizia a fortificare l’accesso alla montagna. Accecato dalla bramosia del tesoro, Thorin rifiuta l’ambasciata di uomini ed elfi, agli occhi di tutti lo scontro sembra imminente.



Bilbo parla con Balin dell’Arkengemma, e si convince che la pazzia di Thorin peggiorerebbe se ne entrasse in possesso. Di notte si cala di nascosto con una fune fuori della Montagna e si fa portare al cospetto di Thranduil, Bard e Gandalf (appena tornato da Dol Guldur). Bilbo offre la preziosa gemma come la sua 14° parte del tesoro, suggerendo di utilizzarla come riscatto poiché Thorin farebbe di tutto per tornarne in possesso. Nel frattempo Gandalf cerca di mettere in guardia Thranduil sull’esercito degli orchi che sta per piombargli addosso ma il re elfico non crede alle sue parole. La mattina dopo avviene l’incontro fra Thranduil, Bard e Thorin. Il re nanico è stupito di vedere l’Arkengemma in mano ai suoi nemici e si infuria con Bilbo, che gli rivela di essere stato lui l’artefice di questo piano. Thorin cerca di gettarlo dalle mura ma viene fermato dai suoi stessi compagni e da Gandalf, che lo invita a lasciar stare il povero hobbit. Bilbo viene fatto calare con una corda, Thorin sta per cedere al ricatto quando arriva un’armata di nani guidata da Dain. La battaglia sembra inevitabile, quando all’improvviso appaiono gli orchi! Grazie ai mangia pietra, dei giganteschi vermi in grado di perforare la roccia, gli orchi sono riusciti ad arrivare non visti e ora minacciano di morte tutti i presenti. I nani si voltano per fronteggiare la carica degli orchi e gli elfi si schierano dalla loro parte, insieme agli umani. Nel libro le cose vanno più o meno alla stessa maniera, con qualche differenza. Gandalf sembra sospettare che qualcosa bolle in pentola (l’arrivo degli orchi) ma non avverte nessuno. Quando gli orchi arrivano (senza mangia pietra, un’invenzione del film), questi prendono in effetti di sorpresa elfi e nani, ma semplicemente perché nessuno li stava aspettando! Peter Jackson fa credere che l’attacco degli orchi fosse una cosa programmata di tempo e parte di uno schema più grande che fa capo a Sauron. Nel romanzo non è così: gli orchi volevano semplicemente vendicarsi per l’uccisione del Grande Orco delle Montagne Nebbiose (ucciso da Thorin e Gandalf all’inizio della storia), e a tal fine raccolgono le loro armate, insieme ai Lupi Selvaggi. Gli orchi, inoltre, sono guidati da Bolg, non da Azog, che è defunto da un bel po’ (rileggete il primo articolo).



Ha inizio così la Battaglia dei 5 Eserciti: elfi, nani e uomini contro orchi e lupi. Nel film i lupi mannari neppure si vedono nello scontro finale, verrebbe da chiedere a Peter Jackson quale sia il 5° esercito del suo film. Nel libro la battaglia è descritta in breve, nel film occupa più di un’ora. Peter Jackson prende le poche frasi scritte da Tolkien e vi costruisce la parte centrale del film, ma i risultati sono altalenanti. Lo scontro non ha certamente l’epicità della battaglia del fosso di Helm o dell’assedio di Minas Tirith, e lo svolgimento della battaglia, tatticamente parlando, è assai confuso. Per fortuna Peter Jackson si disinteressa presto dello scontro di massa e si concentra sulle vicende dei singoli personaggi. E sono proprio le vicende personali a segnare un grande distacco dal romanzo, in particolare la presenza di Tauriel e Legolas, nonché la morte di Thorin, Fili e Kili. Nel film Legolas uccide Bolg, Thorin e Azog si uccidono a vicenda, Kili viene ucciso da Bolg per difendere Tauriel e Fili viene catturato e ucciso da Azog. Nel libro le cose vanno così: quando la battaglia sembra volgere al peggio, si ode uno squillo di tromba, Thorin e i suoi nani escono dalla montagna corazzati in maniera impressionante e caricano gli orchi. La carica spezza il fronte degli orchi ma quando perde di slancio Thorin si trova circondato da Bolg e dalla sua guardia personale. Bilbo assiste alla battaglia da Collecorvo, in mezzo agli elfi e Gandalf ma viene colpito da una pietra sulla testa e perde i sensi, l’ultima cosa che vede sono le Grandi Aquile scendere sul campo di battaglia. I potenti volatili già tenevano d’occhio gli orchi da un po’ di tempo e si uniscono al combattimento appena in tempo, ma nonostante questo lo scontro è ancora in bilico. E’ l’arrivo di Beorn in forma di orso a dare la svolta decisiva: dopo aver tratto fuori dalla mischia Thorin, ormai trafitto da molti colpi, il feroce guerriero fa a pezzi Bolg e le sue guardie e a quel punto gli orchi rimasti rompono il campo e fuggono. Anche Fili e Kili si contano fra i morti, caduti in difesa del loro re. Quando Bilbo riprende i sensi viene portato da Gandalf al cospetto di un Thorin ormai morente. Prima di andarsene, Thorin si pente delle sue parole e delle sue azioni contro lo hobbit e si congeda da lui in pace. Anche nel film c’è il rappacificamento fra Thorin e Bilbo, ma questi era già al suo fianco quando è stato colpito a morte da Azog.



La conclusione della battaglia è trattata molto sbrigativamente nel film: morto Thorin, Bilbo saluta Balin e gli altri nani, e prende la via del ritorno verso casa insieme a Gandalf. Nel libro gli eventi sono più dettagliati: c’è il funerale di Thorin, sepolto sotto la Montagna insieme alla sua spada Orcrist e all’Arkengemma, mentre Dain diventa il nuovo Re sotto la Montagna. Bilbo prende con se due cassette piene di oro e argento e si congeda dai nani. Il suo viaggio di ritorno avviene insieme agli altri protagonisti della storia: i primi a separarsi sono gli elfi, che tornano al loro reame boscoso, quindi è il turno di Beorn. Bilbo e Gandalf arrivano a Gran Burrone, dove si intrattengono per un po’ con Elrond, ed è solo in questa occasione che Gandalf rivela gli eventi di Dol Guldur. Bilbo e Gandalf ripartono, trovano i troll pietrificati e Bilbo riporta alla luce il loro tesoro, che i nani avevano seppellito per precauzione. Bilbo torna infine alla Contea, dove scopre che è stato dichiarato “presunto morto” e i suoi beni messi all’asta. Solo quest’ultimo dettaglio è uguale al film, il resto è stato del tutto omesso. E’ stata invece aggiunta la scena in cui Bilbo e Gandalf si salutano, e lo stregone dimostra di sapere che Bilbo ha con se un anello magico. Nel libro una simile scena sarebbe stata inutile, dato che Bilbo aveva già rivelato a Gandalf di aver trovato l’anello. Il film si conclude riportando la vicenda 60 anni nel futuro, con Bilbo anziano che finisce di scrivere le sue memorie proprio nel giorno del suo 111° compleanno. Gandalf bussa alla sua porta e Bilbo lo fa entrare, il film termina mentre la telecamera indugia sulla mappa della Montagna Solitaria. La scena fa da perfetto raccordo con il Signore degli Anelli ma anche ciò si distacca dai romanzi. Bilbo scrive le sue memorie molti anni prima, e il libro termina con un tè fra Bilbo, Gandalf e il nano Balin, venuti a trovare il loro amico hobbit. 

A ben vedere, può sembrare che le differenze fra questo terzo film e il romanzo non siano tantissime. Non è così: il distacco fra le due storie, iniziato in maniera lieve nel primo film, è esploso soprattutto nella seconda pellicola e questo film ha semplicemente portato a termine una storia che ormai aveva preso una strada tutta sua. Ora che la trilogia è terminata, è possibile riconoscere e ammettere che, a differenza che ne Il Signore degli Anelli, ci troviamo di fronte ad un vero tradimento dello spirito dell’opera, in particolare, e di Tolkien, in generale. La storia d’amore fra Kili e Tauriel, fra un nano ed un’elfa, è sicuramente il punto più basso di questa situazione e ogni altro commento del tutto superfluo. Il credito che Peter Jackson si era guadagnato presso i fan è stato dilapidato con questa trilogia dal sapore commerciale, da questo blockbuster hollywoodiano che ha poco da spartire con il suo illustre predecessore. Stiamo parlando di un prodotto che è comunque anni luce avanti rispetto a tanti altri film, ma il rimpianto per l’occasione sprecata è superiore alla qualità della trilogia.